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L' estate arrivò come una sorgente sparata a velocità, e, di conseguenza, anche il ritorno di Gaudenzio a Torino. Si era reso conto che la sua permanenza romana stava durando troppo. Jacobi lo lasciò con un nulla di fatto, la sera prima della sua partenza, si era presentato a Tiburtino III, luogo che non faceva minimamente per lui. Gaudenzio e Giorgio passeggiavano per la strada, vicino alle altre persone, carrettieri, bambini che schiamazzavano e vecchi seduti davanti la porta. Improvvisamente, la folla si andò a raggrupparsi in un unico punto. Gaudenzio e Giorgio si avvicinarono cercando anch'essi cos' era quella curiosità. In mezzo alla strada era ferma un automobile, grande, luccicante, di certo una macchina da gran signori che si vedeva raramente, una Lancia Artena, imponente e sontuosa, con i suoi grandi paraurti in cui i bambini, attratti dalla novità di vedere un automobile davanti a loro, cercavano di specchiarsi. La folla iniziò a diradarsi mentre sopraggiungeva un uomo, che, nonostante il caldo, indossava un lungo cappotto grigio e un cappello marroncino: era Jacobi. Con spavalderia entrò in auto, seguito da tutti. Il rombo della macchina spaventò i presenti che si scansarono appena in tempo quando l'auto sfrecciò lungo la strada. Veloce, ma al tempo stesso lenta
" Era Jacobi" gli disse Giorgio mentre continuavano la loro passeggiata
" Lo so. Chissà cosa ci fa qui"
Giorgio stette zitto

Davanti al portone, ritrovarono la macchina, la riconobbero subito per il colore, un bordeaux. Jacobi li vide dallo specchietto e uscì dalla macchina
" Vi ho trovati"
" Come sapevi che viviamo qui?" Chiese Giorgio irrigidendosi
Jacobi si sistemò i baffetti a manubrio che gli conferivano un aria misteriosa e al tempo stesso seduttrice
" Ho i miei informatori"
Notò che Gaudenzio ammirava a bocca aperta la grande macchina
" Ti piace?" La domanda suonava strana, quasi fosse una minaccia che avrebbe fatto morire Gaudenzio
" Ti sarà costata molto" gli disse continuando a guardare
" Ho lavorato sette anni per averla" disse con una punta di orgoglio " comunque" continuò " sono qui per parlare del tuo affare"
" Non qui. Entriamo in casa" disse Giorgio iniziando a salire per le scale buie e strette. Jacobi si accomodò sulla sedia come se fosse a casa sua
" Il tuo amico si trova al carcere di Regina Coeli"
Gaudenzio si girò verso suo cugino quasi a chiedergli di accompagnarlo
" Non c'è un modo per incontrarlo?"
" Gli incontri si tengono solo il lunedì mattina. Oggi è venerdì"
" Va bene ci andrò"
Jacobi si alzò
" Bene. Incontriamoci qui lunedì mattina alle 10"
Gaudenzio si buttò su Jacobi piangendo e ringraziandolo. Jacobi lo spinse in malo modo, facendolo cadere nel tavolo. Il tutto sotto lo sguardo di Giorgio. Gli occhi di Jacobi sprizzavano odio e fiamme
" Non permetterti mai più!!" Gli urlò stravolto dalla rabbia
" Sei impazzito!?" Gli chiese Giorgio, il suo animo stava iniziando a scaldarsi
" Tuo cugino..." tentennò Jacobi " sembra..."
" Cosa?" Sussurrò Giorgio
Jacobi si ributtò sulla sedia sbuffando.
Nel frattempo Gaudenzio cercava di alzarsi, molto stordito e confuso da quei pochi secondi. Nessuno dei due badò a lui, i due uomini sembravano dei lupi pronti a scattare subito per una belva. La ferocia dell' essere umano.
" Che è successo?" Sussurrò Gaudenzio. Esattamente quando Gaudenzio terminò la frase, Jacobi emise un urlo drammatico e lacerato dalla rabbia e dalla frustrazione. Alzandosi la sedia cadde pesantemente sul pavimento e Jacobi si avventò su Gaudenzio buttandolo a terra. Nel parapiglia in cui Gaudenzio cercava di liberarsi dalla morsa di colui che lo stava aiutando e Giorgio cercava di staccare Jacobi da suo cugino, Jacobi prese un coltello dal taschino destro del soprabito. Cercò di tagliare la gola a Gaudenzio, poi cercò di colpire Giorgio. Ci riuscì. Alla fronte. Lo infilò nella fronte di Giorgio, Jacobi si buttò al tavolo in preda alla disperazione urlando, Giorgio infilò la testa in un sacco di juta e estrasse il coltello. Manico scuro, lama affilata e densa del suo sangue. Si guardò le mani, stava quasi per ridere, le mani, piene di sangue, puzzavano, la fronte sanguinava. Come se non fosse successo nulla, prese il sacco,uscì in strada verso la fontanella d'acqua e si asciugò la fronte e tamponandola con il sacco. Le donne urlavano, i bambini piangevano, gli uomini si avvicinarono cercando di mostrarsi coraggiosi
" Che ti è successo?" In pochi secondi questa domanda la sentì almeno cento volte. Senza rispondere a nessuno, rientrò in casa. La gente non sapeva che fare, di certo non avevano dimenticato il terrore che provarono quando un anno prima i fascisti avevano ucciso in modo crudo e brutale la popolana Caterina Martinelli durante una manifestazione davanti ai forni per protestare contro la riduzione della razione di pane, unico alimento fondamentale in un quartiere povero come quello. Molti, specialmente le anziane, andavano dai suoi sei figli, che, naturalmente, erano rimasti scioccati dalla morte della madre, ma forse al tempo stesso non se ne accorgevano, erano piccoli. Ritornò in cucina e chiuse la porta dietro di sé: sapeva che tutti sarebbero voluti entrare. Si avviò con passo deciso verso Jacobi che nel frattempo era a terra. Colpito dalla rabbia, si avventò su di lui, iniziando una battaglia per tramortirlo.
" Sei un bastardo!! Vattene! Via!"
Confuso, pieno di sangue, quasi zoppicante, Jacobi si alzò uscendo dalla casa. Due minuti, e si sentì il rombo della macchina che piano piano svanì.

A sera, i due erano a tavola. Entrambi si erano medicati. Nella stanza regnava un silenzio irreale, rotto solo dal vociare della gente in strada.
" Sei impazzito" disse Giorgio, senza accorgersene e tenendo il capo verso il piatto. Gaudenzio alzò lentamente la testa. Un occhio nero e un po'di sangue figuravano nella sua faccia
" Che hai detto?" sembrava che si sentiva in colpa
" Te l'avevo detto di non andare da quel fascista e strozzino"
" Fascista e strozzino ma mi ha dato un ottima informazione"
Calò di nuovo il silenzio
" Perché ha reagito così?"
Giorgio sospirò
" Lui..." E si bloccò " lasciamo stare"
" Voglio sapere"
Giorgio si alzò e iniziò a sparecchiare, in attesa di una risposta. Giorgio ritornò al tavolo con una mela. Iniziò a sbucciarle
" Nel '30 incontrai Jacobi ad una festa: all'epoca lui era già camicia nera e camerata, era un convintissimo fascista. Già all'epoca era molto violento" si avvicinò a suo cugino " ha cercato di uccidere quella donna" gli disse, in gran segreto, come se nella stanza ci fossero molte persone
" Quale donna?"
" Giulia Bretelli"
Gaudenzio era sconvolto. Alla prima impressione sembrava che Jacobi e Giulia stessero insieme, ma si vedeva che lui la trattava con indifferenza.
" Facemmo amicizia subito" continuò Giorgio " eravamo così intimi che mi rivelò di avere dei disturbi psichiatrici"
" Come?" Sussurrò Gaudenzio ancora più sconvolto
" Si, non ricordo come si chiamasse, ma mi disse che due volte all'anno andava in Francia in una clinica psichiatrica, una delle migliori d' Europa"
" Quindi credi che il suo comportamento di prima sia dovuto all'aggravarsi della malattia?"
" Si, credo di sì. Quando l'Italia entrò in guerra, delirava che Mussolini sarebbe morto di maledizione, iniziò ad aggredire tutti. Giulia era spaventata, una sera è venuta da me a chiedermi se poteva dormire a casa mia: nella sua faccia si leggeva il terrore"
" Ma quindi, Giulia e Jacobi stavano insieme?" Stavolta Gaudenzio ebbe il coraggio di realizzare quella domanda che non riusciva a idealizzare
" So che hanno avuto una storia, qualcosa di breve. Ma a giudicare da ciò che mi ha raccontato Giulia, lui era violento"
Gaudenzio sospirò. Un'altra volta. Ancora. Il mondo gli era ricaduto addosso. In maniera lieve, ma gli era caduto.
Nell'angolo della stanza c' era la valigia di cartone di Gaudenzio, immobile, muta e sorda. Lo sguardo di Giorgio si posò sulla valigia, come se fosse l' unica salvezza in quella situazione
" Vado a dormire. Domani dobbiamo alzarci presto" Giorgio si alzò e si ritirò in camera

Grande e immensa, così appariva la stazione principale di Roma agli occhi di Gaudenzio. Era l'alba, frizzante e serena. In stazione c'erano solo poche persone. La valigia di Gaudenzio era sul marmo, grigio e duro
" Addio" gli disse Giorgio triste e ameno accarezzandosi un po'il mento su cui figurava una piccola barba.
" Non dirlo così" gli rispose Gaudenzio accennando a un piccolo sorriso " non è la fine del mondo, la situazione si sistemerà, vedrai..." cercava di farsi infondere un pizzico di coraggio, ma sapeva che non ci riusciva. Senza una parola, i due cugini si abbracciarono, forti, deboli, amorosi. Un abbraccio da qui  entrambi non sarebbero riusciti a staccarsi, a idealizzarlo e conservarlo nella loro mente. Poi il treno arrivò fischiando. I due trasalirono e si staccarono. Il momento dell'addio era arrivato. Gaudenzio salì sul treno. Prima di chiudersi alle spalle la porta, sorrise a suo cugino. Giorgio non ebbe il tempo di rispondere che il treno, lentamente, iniziò a sferragliare. I due cugini, prima persi e poi ritrovati, si lasciarono in un normale mattino, per molti, e difficile per loro, di un alba romana. Il grande orologio segnava le 05:38

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