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"Ho trovato due biglietti" disse trionfante Elena mettendo i due pezzi di carta sotto il naso di Gaudenzio. Era una mattina fredda e lei si era presentata a casa sua pur di dimostrargli che lei era qualcosa. Era riuscita a procurarseli la sera prima e la felicità fu così tanta che non resistette a farli vedere al suo rivale maschile.
All'impatto lui non riuscì a vederli, assonnato perché era stato svegliato dall'insistente bussare alla porta. Fece solo una smorfia. Questo non è niente, voglio vederti quando saremo a Roma. "Non restare lì al freddo, entra" disse lui con un sorriso. Erano in una gara ma non per questo non doveva conservare un po' del suo essere gentiluomo.
"Grazie" disse lei leggermente abbozzando un sorriso e mettendo piede nel corridoio ancora buio.
Era passato così tanto tempo da quando era entrata in quella casa che da tempo non trovava amore, o almeno solo un pizzico di dolcezza. Sarebbe potuta essere lei la selezionata, ma sapendo del carattere schivo di Gaudenzio, poteva solo sognarselo.
Rimise i biglietti nella borsa e si accomodò in una sedia che dava su una finestra con una tenda giallina tirata a coprire l'esterno.
"So che sono una maleducata a presentarmi alle sette di mattina qui, ma volevo solo avvisarti che partiremo domani mattina"
"Domani mattina?" chiese lui come se fosse appena stato disturbato da un sogno ad occhi aperti "avresti potuto dirmelo oggi pomeriggio"
"Hai impegni questa mattina?" chiese lei tanto per togliersi la curiosità.
Si chiese se avrebbe sopportato l'idea che il suo cuore appartenesse già ad un'altra.
"Andare al lavoro, come al solito" rispose lui con naturalezza ma mantenendo un pizzico di sospetto in quella domanda "Ti offrirei qualcosa ma ho soltanto del caffè d'orzo comprato al mercato nero" concluse ridacchiando.
"Caffè d'orzo?" chiese lei sgranando gli occhi e rivoltando la testa verso la porta della cucina in cui si trovava Gaudenzio "no, grazie. Dall'inizio della guerra non bevo altro che quell'odioso caffè d'orzo. Fa così schifo che preferisco l'olio di ricino che ci danno in convento"
"Olio di ricino? Mi hai appena riportato ai tempi di quando da piccolo frequentavo il collegio. Faceva così schifo, lascia un sapore disgustoso" disse divertito ritornando nel piccolo salone dove si trovava Elena.
Prese una sedia e la mise davanti la donna e si sedette. Incurvò la schiena, mise i gomiti sulle ginocchia e le mani sul mento. Tolse una ciocca di capelli che gli coprivano gli occhi e assunse uno sguardo serio fissando dritto negli occhi Elena; fu come se più si avvicinavano i loro cuori si allontanassero lasciandoli senza fiato.
"Ascoltami bene" esordì lui "come sai qualche mese fa sono già stato a Roma, senza concludere nulla. In compenso ho trovato uno che potrebbe aiutarci. Bene" disse incantandosi su qualcosa di indefinito che sembrò palesarsi sulla parete "Roma è una città pericolosa, non stiamo facendo una gitarella fuori porta, ma dobbiamo salvare un mio amico e un matrimonio. Chiaro?"
"Mi hai preso per una bambina?" chiese lei ridendo "so benissimo come dovrei comportarmi in una città come quella, ti starò incollata come se io fossi Nancy Barbato e tu Frank Sinatra" disse soffocando una risatina isterica.
A questa affermazione Gaudenzio rimase sorpreso al paragone.
"Credi che io sia Frank Sinatra?" chiese aggrottando le sopracciglia. "No, devo dire che tu sei più affascinate di lui" disse ridendo sommessamente.
Gaudenzio, dopo quel momento di sospensione, ritornò serio pronto per congedare la donna
"Lasciamo stare i coniugi Sinatra, è una cosa molto seria, va bene?" richiese più risoluto.
Elena si alzò e si diresse alla porta. Senza niente, neppure un saluto, solo con la speranza di fare breccia nel cuore di Gaudenzio.
Ancora meglio dopo aver scagionato Patrizio.

Elena aveva prenotato un posto in terza classe. I sedili erano in legno e molto scomodi, la carrozza sembrava ballare costantemente come in una giostra; sembrava stesse cadendo a pezzi.
"Non mi hai detto dove alloggeremo" biascicò lei mentre sistemava una piccola valigetta malconcia sotto il sedile.
"Da un mio cugino"
"Oh, un tuo parente, quindi. Dove vive?" chiese lei emozionata.
"A Tiburtino III" rispose serio.
"Non lo conosco. Oh, è la prima volta che esco da Torino. Mi aiuterai?" chiese abbassando il tono di voce e avvicinandosi all'interlocutore.
In quel momento Gaudenzio stava fissando il finestrino con il paesaggio circostante che andava a scorrere velocemente come in una pellicola di un film.
Si girò verso di lei con aria stranita. Cosa avrebbe mai voluto dire con quella richiesta d'aiuto?
"Sei in pericolo? Non mi sembra che tu esca molto per cacciarti nei guai" Disse con indifferenza.
Lei scosse il capo
"vuoi finirla o no?" si lamentò "ricominci a litigare, non sai fare altro?"
"Saprei fare molte più cose senza che tu stia lì a criticarmi"
"Sei un essere vergognoso. Mi fai schifo!" urlò svegliando tutti quelli che erano lì vicino e che schiacciavano un pisolino.
Elena voleva finirla di essere clemente con lui, si rendeva conto che in momenti come quelli lei era lì per superarlo, senza pentimenti. Ma, come al solito, gli uomini non capivano. Era una donna dura.
Si alzò offesa e si andò a sedere da qualche altra parte, pur di dimenticare.
Quando arrivarono a Roma, poco dopo mezzogiorno, Elena non si alzò per scendere.
"Siamo arrivati" disse Gaudenzio una volta che raggiunse Elena seduta sulla panca, come una statua.
"Io non vengo" disse guardando il finestrino, una piccola lacrima spuntò da sotto l'occhio destro che era illuminato da una strana luce rossastra.
"Il treno ritornerà a Torino"
"Infatti è lì che me ne ritorno, a Torino" disse seccata.
Chissà, pensò lui, basterebbe una frase giusta e lei la smetterebbe di pensare che io sia così cattivo come crede.

In pace e in conflittoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora