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Ancora una volta l'esito di Patrizio venne rinviato.
"Ebbene?" chiese adirato Patrizio quando il secondino gli fece sapere la notizia.
"Ebbene, signor Zani, il giudice dice che al momento lei non può essere fucilato" disse l'uomo incassando la testa nelle spalle.
"Sono qui da cinque mesi, non so neppure che colore abbia il cielo" "Sempre un azzurro limpido e lucente, anzi no, in questi giorni si sta annuvolando"
"Lei è molto spiritoso, sa?"
"E lei troppo insistente" rispose con una smorfia di disgusto e allontanandosi.
"Non ho più forze per reggere. Fucilatemi ora o mai più" disse Patrizio dilatando le parole annunciando che forse la buona sorte si era stancata di cercarlo.

Ai primi di novembre al Regina Coeli arrivò un gruppo di medici. Si mormorava che a Trastevere, da un po' di tempo,fosse esplosa una piccola epidemia di colera fra coloro che vivevano in quelle zone. Uno ad uno i detenuti vennero prelevati e controllati.
"Che senso ha controllare se abbiamo il colera se non siamo usciti" si lamentò Patrizio con un mingherlino vicino la sua cella.
Venne controllato alla gola e nel naso. Inizialmente ci fu il sospetto che fosse infetto perché da un paio di giorni manifestava della tosse, pericolo che venne scongiurato.
"Perché è qui?" chiese amorevolmente un uomo in camice e con pochi capelli. Erano lui e il medico che lo controllava completamente soli in una stanza che affacciava su via della Lungara, sommersi dal buio. A far luce c'era solo una piccola candela usata molte volte.
"Mi hanno ingannato" rispose per poi raccontare tutta la storia. Terminato, l'uomo si tolse gli occhiali, afferrò una penna e iniziò a scribacchiare su un foglio.
"Ha una leggera tosse ma il suo organismo sembra resistere bene" disse congedandolo con un sorriso. Un attimo prima che Patrizio aprisse la porta, l'uomo lo bloccò con un fischio. "Come ha detto di chiamarsi?" disse. L'interessato rispose.
"Io sono il dottor Umberto Orsini" disse sorridendo caldamente e tendendogli una mano. Poi, improvvisamente, l'uomo sgranò gli occhi e si girò verso una scrivania
"le devo assolutamente scrivere il mio numero di telefono"
"Io non possiedo un telefono"
"Ho visto che dal portinaio uno c'è, chiamerà da lì" disse Orsini tutto euforico.
"Non credo mi permetteranno di usarlo" disse Patrizio con una risatina.
"Riferirò io di chiamarmi"
"Perché mai dovrei chiamarla?" Orsini si girò e gli strinse in mano un foglietto piegato
"a tempo debito saprà tutto" disse guardandolo intensamente.

La famosa telefonata sembrò non arrivare mai fino a quando il 10 novembre Patrizio, un pomeriggio, venne chiamato dal secondino. Molto garbatamente, venne portato in portineria che altro non era che una stanza molto piccola con solo un tavolo contro il muro. La stanza era spoglia, c'era solo un calendario. Sopra il tavolo, c'era quel famoso oggetto che Patrizio bramava da sempre di usare.
Il portinaio, un uomo della sua età, gli spiegò come usarlo. Una volta finito, uscì lasciandolo solo. Gli sembrò che improvvisamente la calma scemasse facendo spazio all'agitazione della chiamata, il cuore galoppava. Aprì il biglietto leggendo uno a uno i numeri scritti da Orsini. Aspettò che gli venisse data la linea con il centralino. Una volta avuto una breve discussione con la graziosa voce di una donna, sentì uno strano ronzio all'altro capo del filo. Poi un rumore assordante che gracchiava, infine la voce del dottor Orsini che chiedeva chi fosse.
"Sono io, si ricorda di me?" "Certamente, Signor Zani. Sa, l'ho pensata molto in questi giorni" "Voleva dirmi qualcosa?"
"Certamente figliolo, certo" la voce si interruppe "pensavo, però, che sarebbe stato meglio parlarne nel mio studio. O a casa mia"
"Dottor Orsini, la ringrazio tanto. Ma io non capisco proprio dove lei voglia andare a parare. Il telefono, il suo studio, la casa, non penso mi permetterebbero di uscire"
"ma neanche pensa di realizzarlo. Al giorno d'oggi c'è così tanto pessimismo" disse l'uomo saccente. "C'è stata una guerra, è normale ..." "Ma basta con questa guerra!" disse Orsini urlando "I – io ... lasciamo stare, ne parliamo a casa mia" disse risoluto.
"Le ho detto che non mi lasciano uscire ..." urlò, ma le parole gli morirono in bocca perché Orsini aveva staccato.
Quello è fuori come un balcone pensò.

Orsini non si arrese e due giorni dopo, come al solito, il secondino svegliò Patrizio dicendogli che il dottore desiderava vederlo a casa sua.
"Mi lasciate uscire?"
"Il giudice l'ha permesso solo perché Orsini è una delle persone più influenti di Roma. Verrai prelevato alle dieci e mezzo"
E così fu. Misero le manette a Patrizio e lo scortarono sotto gli occhi invidiosi degli altri detenuti che gli lanciarono qualche insulto. Ma a lui non importava, si sentiva libero. Non gli sembrava vero rivedere la strada, il cielo, l'erba.
Venne fatto salire su una jeep rossa che partì verso Trastevere. Da lì raggiunsero via dei Coronari nota per i numerosi negozi di rigattieri che la caratterizzavano nelle cui strade riecheggiavano storie e leggende in cui sacro e profano si mescolavano in una dimensione che catturava e trascinava Patrizio in tempi lontani e sconosciuti.
Si fermarono davanti un piccolo cancello in ferro che portava ad un abitazione molto signorile con la facciata di un color rosa molto acceso nonostante fossero presenti dei segni dei bombardamenti.
"Io ti aspetto qui. Il dottor Orsini vive al terzo piano" disse colui che guidava la jeep.

Scendendo dal mezzo, l'odore di libertà si fece sentire più forte; fu come se stesse per prendere dimora di una nuova abitazione, di gran lunga migliore rispetto alle precedenti. Nell'atrio, molto calmo e silenzioso, partiva una rampa di scale contornati da un corrimano color oro che andava mano a mano ad aggrovigliarsi a un ascensore su cui erano incise delle decorazioni floreali, un foglietto avvisava che era guasto. Al terzo piano trovò il cartellino contrassegnato con Orsini.
Suonò. Pochi secondi dopo, aprì Orsini in persona.
Dismesso dal camice sembrava molto più formale, portava una camicia bianca e un gilet scuro.
Il suo viso si illuminò.
"Sono veramente molto contento che siate qui, venite" disse per far accomodare l'ospite.
Lo condusse verso un soggiorno e lo fece accomodare su una poltrona color porpora. Accanto alla poltrona c'era una sedia con una pila di giornali, in cima faceva bella vista un'edizione di una rivista di sport.
Di fronte la poltrona, c'era un tavolino di legno intagliato, un divano e dietro due librerie piene di libri e qualche soprammobile.
Le mura erano ricoperti da una carta da parati bianca. Dalla piccola finestra vicino la libreria si vedeva una porzione di Piazza Navona.
"Lei mi aspetti qui" disse amorevolmente Orsini. Patrizio annuì e continuò a stare seduto sulla poltrona a contemplare un vaso sopra il tavolino.

Ma poi si stufò, non c'era rumore, sembrava scomparso. Decise di alzarsi. Si avvicinò alla libreria, motivo che l'aveva incuriosito fin da quando era entrato. Passò il dito su vari titoli composti principalmente da libri in inglese e francese, a lui lingue incomprensibili.
Quelli in lingua italiana erano pochi e si trattavano solo di libri di medicina. Il suo sguardo fu attirato da una piccola cornice in argento su cui era tenuto il foglio di un giornale ingiallito che portava la data sbiadita del dicembre 1938.
C'era la foto in bianco e nero di un giovane uomo con i capelli scuri e un gilet.
Aveva uno sguardo serio, quasi compassionevole. Accanto, erano indicati il nome, il cognome, l'età, l'altezza e il giorno della scomparsa. Si chiamava Carlo Levi e aveva 26 anni.

"Lo conoscete?" chiese Orsini che era ritornato. Si girò con sorpresa e iniziò a chiedere scusa.
"Quel ragazzo in foto è mio figlio" disse il dottore.
"Suo figlio?" chiese sorpreso il giovane "lei ha un figlio?" "Scomparso. È scritto lì. Mancavano pochi giorni a natale" disse l'uomo con la voce rotta.
"E poi?"
"Io e mia moglie l'abbiamo cercato dovunque, abbiamo sporto denuncia ma la polizia non ha ricavato nulla" "C'è scritto che di cognome andava Levi, non Orsini" disse Patrizio titubante di voler contraddire la sensibilità di quello strano uomo che lo stava incredibilmente aiutando.

"Io non mi chiamo Umberto Orsini" disse sedendosi sulla poltrona, la voce tremava, era lui stesso che stava per rivelare una verità "il mio nome è Umberto Levi. E sono ebreo" disse.

ANGOLO AUTORE
Vi presento il nuovo personaggio: il dottor Levi. Cosa vuole da Patrizio? E perché?

In pace e in conflittoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora