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Il suo respiro era affannato per lo spavento improvviso e, anche se sentiva la voce dell'uomo nell'auto che infieriva contro di lui, la sua attenzione si spostò subito di nuovo sul marciapiede, dove Yeonjun non era più. L'aveva capito, ormai, che lo stava evitando e per un mese aveva provato a capirne il motivo, giungendo alla conclusione di essere lui stesso il problema. Che si fosse stancato di lui? Forse pensava che fosse pesante o peggio: si era reso conto del suo disperato bisogno di passare del tempo con il più grande. Più passavano i giorni di distanza, più sentiva quella stessa paura che lo opprimeva al liceo, la paura di essere insignificante. Finalmente aveva trovato qualcuno che aveva bisogno di lui, ma sembrava che anche quest'ultimo potesse fare a meno della sua presenza.

Ma in quegli attimi in cui aveva scorto gli occhi di Yeonjun, mentre si illuminavano di colori, decise di mettere da parte i suoi stupidi e assordanti pensieri, rifiutandosi di cadere di nuovo in quel baratro di solitudine che tanto gli aveva fatto male qualche anno prima.

-Merda...-mormorò Beomgyu pensando a cosa fare. Intorno a lui si erano avvicinate persone curiose di capire cosa stesse succedendo in quell'incrocio.

-Hey ragazzino, stammi a sentire!

-Scusi, devo andare.- rispose lui all'uomo che era uscito dall'auto pronto a litigare. Dopo ciò iniziò a correre alla ricerca di Yeonjun, deciso a non fermarsi per tutto il tempo che sarebbe stato necessario.

Da un lato all'altro della città, esplorò tutti i luoghi che potevano essere passati per la mente di Yeonjun visto che era più che sicuro che il più grande non potesse e non volesse sparire completamente. Chiunque fosse superato da lui veniva avvertito del suo passaggio dal respiro affannato e dal tintinnio delle medagliette appese al suo collo. Quasi non badava a dove metteva i piedi e a ciò che lo circondava, tanto che quando iniziò a piovere non se ne accorse neanche. Aveva una singola preoccupazione e di sicuro questa non era l'acqua sul suo viso, e forse proprio per questo si ritrovò a scivolare in una curva. Il dolore di un taglio sullo zigomo e di qualche graffio sul mento e sulle mani lo costrinse a concentrarsi sulla strada che stava percorrendo. Una studentessa, coperta con un ombrello, si avvicinò velocemente e si propose di aiutarlo ad alzarsi.

-Sta bene? Vuole un cerotto?

-No, ma grazie- rispose Beomgyu di fretta per poi continuare la sua corsa. Il tempo di raggiungere la sua prima destinazione e gli era già passato di mente anche la stessa caduta.


Sentito il campanello, Soobin andò ad aprire la porta ritrovandosi davanti ad una scena a dir poco insolita e che lo turbava, per certi versi: sotto la tettoia di casa sua, son le mani appoggiate sulle ginocchia, c'era un gocciolante Beomgyu con il fiato corto.

-Hey, che ci fai qui... che hai fatto alla faccia?! Hai anche tutte le mani tagliate!- si allarmò il proprietario di casa afferrando le mani rosse dell'altro, -Entra, ti porto dei cerotti e il disinfettante.

-Yeonjun è qui?- tagliò corto Beomgyu rimanendo sulla soglia e lanciando qualche occhiata all'interno.

-No, perché?

-Credevo potesse essere da te.- decise di non far preoccupare Soobin, rimanendo sul vago. Poi si girò facendo per andarsene quando sentì una presa sul suo polso che lo invitava a voltarsi.

-Aspetta un attimo qua.

Soobin tornò poco dopo con un pacchetto di cerotti e un ombrellino pieghevole che infilò nelle tasche del cappotto fradicio dell'altro. Prese anche un bigliettino da una mensola di fianco alla porta e velocemente scarabocchiò su di esso un indirizzo.

-Questa è la posizione di casa sua. È un piccolo appartamento in un condominio, quindi cerca il campanello giusto. Di fianco all'entrata troverai un'altra porta, potrebbe essere lì se non lo trovi in casa.

-Grazie.

-Figurati.

Con un lieve sorriso forzato Beomgyu tornò sotto la pioggia e riprese la sua ricerca.

Arrivato davanti al condominio segnato sul biglietto, ormai fradicio, che teneva in mano si avvicinò alla porta e con un dito scorse tutti i campanelli, suonando infine ad uno con un pezzo di scotch attaccato per correggere l'etichetta. Suonò ripetutamente e con la mano tremante sul campanello "Choi Yeonjun", ma nessuno rispose. Era sconsolato e le gambe iniziavano a cedere sotto la pressione della fatica, che stava prendendo il controllo di tutto il suo corpo, menola mente. Quella rimaneva lucida anche se i suoi pensieri continuavano a girare e ad intrecciarsi tra di loro.

-Dai hyung, rispondi- mormorò mentre il campanello continuava a non dare nessun effetto. Indietreggiò con qualche passo rischiando di scivolare sui gradini bagnati nel tentativo di scorgere la porta di cui gli era stato parlato una decina di minuti prima. E in effetti notò un'entrata in fondo ad una rampa di scale che sembrava dare su una sorta di cantina.

La porta era mezza arrugginita, la pavimentazione all'ingresso scricchiolava, la luce scarseggiava e le finestre, che erano posizionate all'altezza del terreno esterno, erano rimaste aperte lasciando entrare la pioggia. Le condizioni della stanza trasudavano la vita, le esperienze positive e negative di qualcuno, qualcuno che non era lì in quel momento e che sembrava non voler essere trovato.

Beomgyu si avvicinò lentamente alle finestre e le chiuse, rimanendo fermo con le mani sul vetro e la testa bassa, mentre le gocce che scendevano dai suoi capelli alimentavano le pozze sotto le sue scarpe.

-È ingiusto- sussurrò, per poi lasciarsi sfuggire qualche lacrima di rabbia  -È così ingiusto. Mi hai sentito, universo? Il tuo piano fa davvero schifo! Tutti quei segni che mi hanno sempre convinto ad andare avanti sono completamente inutili se poi non mi permetti di aiutare lui. Che storia è questa? Ora il destino fa favoritismi su chi salvare? Se è così che dovevi lasciarmi morire tre anni fa!

Non c'era nessuno pronto a rispondergli e, forse, nessuno ad ascoltare il suo concepibile sfogo. Il silenzio aveva nuovamente attanagliato la stanza permettendo solo alla pioggia di insinuarsi nelle sue orecchie. Poi, in un istante, Beomgyu percepì davvero il silenzio assoluto, talmente assordante che si tramutò in un fischio che conosceva già. Un singolo pensiero: il liceo.

Arrivato davanti all'enorme edificio notò le luci della palestra accese e si ricordò che il gruppo di tiro con l'arco si allenava la sera: questo significava poter trovare un cancello aperto. Superata, quindi, l'entrata sgattaiolò verso una finestra che si ricordava essere sempre aperta dopo che un ragazzo aveva rotto la serratura. Aveva fatto promettere di non dirlo al personale scolastico e così la finestra rimase rotta per tutto il periodo in cui lui era stato in quella scuola. Si avvicinò al vetro e, cercando di non farsi sentire dagli atleti in palestra, lo forzò leggermente con i polpastrelli per non lasciare macchie delle sue ferite, e trattenne un urlo di gioia quando notò la finestra aprirsi come aveva sperato. Gli bastò un salto per intrufolarsi dentro la struttura e ritrovarsi nel corridoio del pianoterra, l'unico corridoio che aveva ospitato la sua classe durante il primo anno di liceo.

Camminò lentamente verso gli armadietti in fondo, cercando di riprendere fiato, e quando arrivò davanti a quello che era stato il suo, vide una chitarra azzurra disegnata sul legno. Era graffiata, come se qualcuno avesse provato a cancellarla, senza riuscire nel suo intento. Passò le dita sullo sportello rovinato e per la prima volta in anni non scacciò i ricordi tormentosi dei suoi quindici anni. Insieme alle serate cupe, ricordò anche quei pochi incontri che gli avevano cambiato la vita e, senza neanche pensarci, si ritrovò a toccare le medagliette che aveva al collo.

Fu in quel momento che sentì un lamento di dolore dalla classe alla sua sinistra, la sua classe.


Grigio chiaro di lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora