Capitolo 11 Di parole non dette e di doverosi addii

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Passato

«Sarà stata Bo-Katan a tradire?» le parole del maestro Qui-Gon sussurrate al padawan durante il triste volo verso Mandalore rimbombavano ancora nella testa di Satine.

Di più la risposta di Kenobi, ai comandi dello Shuttle, particolarmente sulla difensiva «Probabile, maestro. Ho insistito per catturare la sorella della duchessa e non lasciarla andar via. Ho sbagliato, fidando nell'istinto di Satine e non nel mio, ti chiedo perdono. La nostra amicizia è stata fuorviante».

«Non crucciarti, ho deciso io di restare su Draboon e non tu. Di certo non c'era una donna fra gli avversari affrontati oggi. Ho combattuto con Bo-Katan, saprei riconoscerla» Jinn aveva messo un punto alla sterile conversazione, dubbioso sull'effettiva spiata. Perché tradire la sorella dopo tanto tempo e, soprattutto, perché non partecipare all'imboscata ai suoi danni?

Fissando il soffitto della propria stanza dal letto, la duchessa cercava un riposo lontano dall'arrivare. La giornata era trascorsa tra decine di impegni ufficiali. Tornata sul suo pianeta, aveva dovuto affrontare richieste politiche e diplomatiche di ogni genere, cercando di non tralasciare nessun interlocutore o udienza.

Occupare così tutto il proprio tempo la aiutava a non restare troppo da sola con Obi-Wan, muto spettatore delle popolose riunioni.

Non le erano rimaste impresse esclusivamente le frasi del padawan sulla sorella e sull'amicizia ma pure l'immagine della lama implacabile - più azzurra degli occhi di entrambi - che trafiggeva i componenti della Ronda della Morte.

Obi l'aveva difesa strenuamente, come gli altri amici, ed era viva grazie al loro coraggio e alle loro doti. Tuttavia, un senso di profonda amarezza, un nodo in fondo alla gola, aveva chiuso il suo fiato in una morsa gelida.

«Posso, Altezza?» un potente bussare alla porta, accompagnato da una voce facilmente riconoscibile, la destò dalle elucubrazioni.

Sospirò. Un barlume di raziocinio la illuminò; in fondo aspettava il suo adorato ospite, nell'attesa resa dei conti «Vieni, Obi-Wan». I problemi andavano affrontati e non sfuggiti, doveva smettere di nascondersi.

«Buonasera. Zara mi ha detto che cenerai per tuo conto pure oggi. Non ti senti bene?» era pallida, e nervosa. Più di qualcosa minava l'equilibrio del suo spirito, ma l'intuito non lo aveva supportato a comprendere pienamente cosa la turbasse, tranne ciò che angosciava anche lui. L'occhio vagò sui topazi azzurri sfavillanti e poi sul tavolino apparecchiato per desinare; il pasto nel vassoio era intonso, segno che non lo avesse toccato.

I capelli biondi disordinati intorno al volto, una camicia da notte lunga di un tenue beige rosato di seta pura, impreziosita da ricercati elementi in macramè applicati a frastaglio, la rendevano di una bellezza unica, incantevole. Una bellezza che provocò al padawan un giramento di testa.

«Ho una lieve indisposizione, nulla di cui preoccuparsi» la ragazza mentì di una piccola bugia subito intercettata.

Kenobi sedette al bordo del letto, assai vicino, pur senza invito esplicito. La mano destra corse a carezzare la guancia di Satine «Sei distante da giorni, ormai. È per quello che hai visto su Draboon o perché devo partire?». Il Consiglio dei Jedi aveva ritenuto che il compito di protezione alla duchessa di Mandalore fosse terminato. La guardia militare del palazzo era stata aumentata nel numero dei soldati e addestrata per essere autonoma nella difesa di Satine stessa. Obi-Wan e Qui-Gon avrebbero ricevuto un altro incarico dal Consiglio, presso cui sarebbero tornati il giorno successivo. Due, erano, pertanto, i pesi piuttosto gravosi, che Kenobi portava nel petto.

La frase del suo maestro, unica che avrebbe udito sul suo legame con la duchessa da parte di un uomo introverso e non avvezzo a pettegolezzi l'aveva annientato e, ovviamente, non aveva ribattuto: Obi-Wan, allievo mio prediletto, ti attendono giorni oscuri se cederai all'amore. Tutto lo studio, la pratica e l'impegno messo nella tua preparazione in questi anni sarebbero buttati al vento per una donna, pur se eccezionale. Non predico il futuro e non l'ho mai visto, ma conosco le tue possibilità, le tue abilità, so che potrai fare del bene. Tu e Satine siete destinati a perseguire un fine più elevato, ognuno nel suo ambito, altruistico, non a vivere una banale e comune vita di coppia. Si vi dedicaste a voi due, la galassia intera ne uscirebbe impoverita.

«Obi, è difficile per me» Satine mordicchiò il labbro superiore coi denti. Era abituata a orazioni formali, aveva pure provato a preparare un discorso da sciorinare, ma non c'era riuscita. Fece parlare il cuore, mediato dall'intelletto «Su Draboon ho visto un ulteriore lato di te, del cavaliere jedi che diventerai presto» toccò la treccina legata alla sua ciocca bionda «Sei stato educato al rispetto della spada e a modo tuo, per ora, sei un difensore della pace. Ma usi quella. Forse unicamente se ci sei costretto. Io no» abbassò gli occhi cerulei sulla manico metallico della spada alla cinta di cuoio del padawan e un bagliore nefasto sembrò dipanarsi da essa, alla luce artificiale della stanza.

Il silenzio assordante di un Obi-Wan incapace di replicare invase l'ambiente. Il drappo blu scuro delle tende tirate alle finestre apparve come una tenebra.

Kenobi avrebbe voluto colmare l'assenza di rumore con qualcosa di sensato da controbattere. Erano diversi ma anche tanto simili, invece. Voleva gridarlo. Aspettò che la burrasca nel torace si placasse «Ho cercato di tutelarti con tutto me stesso, non avrei mai permesso che ti facessero del male. Per il resto... sono diventato una persona migliore per la tua vicinanza, Satine, non potrò mai ringraziarti abbastanza per la tua amicizia, mia forte, dolce e testarda amica. Sei l'unica amica che abbia mai avuto, l'unico affetto. Credimi, ho apprezzato moltissimo l'affetto che hai avuto per me» non poteva chiamare il loro sentimento col nome reale, si contenne. Percepiva un sapore salino sul palato e un forte pizzicore agli occhi, gemme liquide di dolore che non si permise di mostrare; la debolezza non apparteneva alla sua vita «Devo continuare a essere coerente, trasparente e corretto col mio cammino come finora sono sempre stato» confessò «Il mio cuore è coinvolto e lo è stato fin dall'inizio, ma ho sbagliato: avrei dovuto frenarmi e non trasgredire le promesse fatte» voglio provare a vivere il nostro amore senza sublimarlo, senza allontanarlo, questo avrebbe desiderato dire. Ma non lo fece «Satine, domani mattina partiremo molto presto, quando ancora dormirai. So che il maestro Qui-Gon ti ha già salutato e...».

«Sì, ci siamo detti addio» bisbigliò la duchessa.

«Addio? Davvero pensi questo? Che non ci vedremo più?» Obi vacillò, all'idea.

Obi-Wan era ancora chiuso nel suo guscio interiore. Forse era cresciuto davvero, nell'anno trascorso insieme, forse era diventato più uomo, ma la felicità vissuta assieme non era stata sufficiente per distrarlo dalla strada intrapresa, era rimasto colpito da una disabilità affettiva complessa da allontanare. L'inconfessabile avrebbe potuto trattenerlo? Per la duchessa il ricatto morale non era proponibile e tacque sul suo vero trasporto «Se sarà nel nostro destino ci rivedremo» amore mio. Non resistette all'impulso della sua anima; di scatto gli buttò le braccia al collo, e lo fissò negli occhi con tutto il sentimento che la faceva bruciare per lui, un attimo prima di sigillare le loro labbra con un bacio. Ti amo, Obi-Wan, non lasciarmi, resta con me, saremo tanto felici assieme.

Miele stillato, lingue rincorse, arabeschi accennati, giri immensi di desideri inespressi finirono in un lungo infinito bacio. L'ultimo. 

«Cosi partirai più contento e meno amareggiato. Dormi bene e fai buon viaggio. Addio, Obi-Wan, mio jedi». Passò le dita sulla morbida treccina per l'ultima volta, abbozzando un sorriso forzato. Restare è più difficile che partire, lo so, non ce l'ho con te, ti amo comunque.

Chiedimi di rimanere, Satine, dimmi che mi ami come io amo te e l'addestramento da jedi sarà solo un ricordo. Dimmelo, dimmelo «Addio, Altezza» rimessosi in piedi come un automa, Kenobi si inchinò, baciandole il dorso della mano. Addio, amore. Si voltò, uscendo dalla stanza, per un secondo.

Satine lo fissava, un lieve tremore sulle labbra definitivamente serrate.

Lui, gli occhi sulla porta esecrata, strinse fra le dita il pettinino aureo portato in tasca, con una rabbia tale da far sanguinare la carne sotto le unghie, in una tortura meritata e inutile. Sempre meno di quanto sanguinava il suo cuore infrantosi in mille cristalli di strazio.

 Sempre meno di quanto sanguinava il suo cuore infrantosi in mille cristalli di strazio

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