Prologo

65 2 0
                                    


 
 
L'Amore, il destino, l'amicizia, la lealtà, il coraggio, la società, la corruzione, la sofferenza, l'Odio.
Ecco ciò che è questa storia. Il declino della società, il trionfo dell'Amore, la macchia della corruzione, la piccolezza dell'Odio. Di quello stesso Odio che cresce rigoglioso e indisturbato, ma minacciato dall'Amore, si lascia soffocare e distruggere dall'interno. In una società in cui tutti sono pronti a sbranarsi a vicenda per sopravvivere, in cui non esiste legge, non esiste regno o re, dove vige l'assoluta anarchia, una speranza, come una goccia in mezzo al mare, continua a brillare, rimanendo un privilegio per i pochi in grado di vederla fra la cattiveria del mondo. Questa è la storia di una persona onesta, che spenderà la sua vita in nome dell’Amore. Questa è la storia di una persona solitaria e diffidente, che verrà folgorata dalla realtà e dalla furia dell'Amore. Questa è la storia di chi si perde e ritrova la via.
Questa è la storia di Hande Demir.
Ma partiamo dal principio della fine.
 
 
 
 
 
6 novembre 2021, 7.03, Istanbul, Turchia.
 
Claudius mi aspettava dentro casa, sorseggiando il caffè caldo che gli avevo ceduto appena qualche minuto prima, stravaccato sul divano, in mutande. Sembrava proprio che stesse bene a casa mia, beneficiando del mio corpo e delle mie risorse. Di recente, infatti, avevo lasciato la casa in cui vivevo con la mia migliore amica a causa di un diverbio con lei ed ero, fra l’altro, stata lasciata esattamente lo stesso giorno dal mio fidanzato Vince, perciò da un momento all’altro mi ero ritrovata senza qualcuno con cui vivere e totalmente isolata. E quindi, nonostante non gradissi particolarmente la compagnia di Claudius, lo avevo invitato a stare da me, approfittando del rapporto esclusivamente sessuale che si era creato fra di noi dopo la rottura con il mio fidanzato.
Claudius era il classico ragazzo bello che non balla: attraente fisicamente, povero interiormente. Era la persona più vuota che avessi mai conosciuto: ogni conversazione con lui non era mai pienamente soddisfacente, sembrava sempre annoiato e senza voglia di vivere. Non aveva argomenti su cui dibattere, hobbie o qualcosa che gli interessasse davvero. Gli piaceva moltissimo dormire, mangiare e scopare. Un vegetale, praticamente. La sua emotività e la sua empatia erano paragonabili a quelle di un uomo cacciatore-raccoglitore del Paleolitico, ovvero molto scarse, se non addirittura inesistenti. Solitamente odiavo questo tipo di persone, eppure gli ultimi avvenimenti mi avevano portata a stare a stretto contatto con lui, e a condividere il mio tempo con un una persona così povera nell’anima. Io e Claudius avevamo questo rapporto di convenienza: lui per me era semplicemente un passatempo ed io per lui ero una persona capace di soddisfare i suoi bisogni primari - dormire, mangiare, scopare - , senza che ci fosse necessariamente qualcosa che ci legasse emotivamente.
Quella mattina Nila, la mia migliore amica, nonché ex coinquilina, era venuta a parlare con me presto, per risolvere la lite che avevamo avuto sei settimane prima ed avevamo intrattenuto una lunga ed emozionante discussione in spiaggia. Finalmente, dopo un mese e mezzo, lei era tornata da me, vogliosa di recuperare il nostro rapporto e la vita che avevamo costruito insieme. Non me lo feci ripetere due volte. Il dolore attraverso cui ero passata in quel mese senza di lei e la mia vecchia vita era stato sufficiente.
Entrai a casa con Nila, e Claudius non sembrava per niente turbato dalla sua presenza, nonostante fossero le sette del mattino e lui fosse in mutande. Noi ridemmo sotto i baffi, divertite da quell’essere che stazionava seminudo nel mio soggiorno. A Nila non era mai stato simpatico Claudius, e ogni volta che poteva gli affibbiava un appellativo nuovo, giusto per il gusto di prendersi gioco di lui. Non aveva tutti i torti in fondo: Claudius era proprio un tipo irritante.
<<Che avete da guardare?>> Iniziò lui, mentre sorseggiava il caffè. Mentre Nila tentava di trattenere il riso, senza dire nulla andai nell’altra stanza e presi i primi vestiti che trovai, glieli lanciai addosso e gli dissi:
<<Claudius, mi dispiace ma devi andartene. Torno a vivere con Nila.>> Lui guardò prima lei e poi me, sconvolto, e lentamente si iniziò a rivestire.
<<Mi sa che anche tu devi rivestirti.>> Biascicò, con sguardo sdegnato. Mi guardai. Effettivamente anche io ero in intimo, e fra l’altro ero perfino bagnata dalla nuotata in mare che mi ero appena fatta.
<<Quando ci rivedremo la prossima volta?>> Chiese. Sbarrai gli occhi. Nila mi affiancò, tenendomi stretto il braccio.
<<Non ci sarà una prossima volta. Mi dispiace, ma sento che questa… Cosa che stiamo vivendo debba finire qui.>> Lui fece spallucce e non sembrò essere particolarmente turbato; in fondo tutto era guadagnato, e non stava di certo perdendo la donna che amava. Sembrava una persona che trova una banconota per terra, e poco dopo incontra il proprietario che la reclama: per un attimo, si era illuso che potesse tenere quella fortuna trovata casualmente, ma nel momento in cui si era trovato costretto a restituirla, l’aveva fatto senza problemi: in fondo non era stata guadagnata con il suo impegno, non aveva vinto nulla e non aveva perso nulla. Claudius, era esattamente così. Non si lanciava mai, non osava mai, attendeva di trovare una banconota per terra, e raccoglierla nella speranza di non perderla. In questo caso, gli era andata male. Virgilio, se avesse potuto conoscerlo, avrebbe affermato: “non ti curar di lui, ma guarda e passa”. Claudius era esattamente questo: un ignavo senza coraggio, senza audacia, che si limita a condurre la sua esistenza nel modo meno difficile possibile. Ma non ci si può astenere per sempre dalle difficoltà della vita, perché un giorno arriveranno per tutti, e per quelli come lui sarà disastroso affrontarle.
Se ne andò, senza aggiungere nulla e chiudendo quella porta scomparve per sempre dalla mia vita. Era stata una piccola comparsa in mezzo ad un intero cast di protagonisti.
 
 
 
Non potevo essere più felice. Essermi separata per un mese da Nila era stata la cosa più dolorosa che avessi vissuto negli ultimi anni. Mi mancava lei, mi mancava la nostra routine e soprattutto mi mancava Ece. Ece era la figlia di Nila, aveva cinque anni e mezzo ed era cresciuta senza un padre. Nila era rimasta incinta ad appena vent’anni, e il suo fidanzato dell’epoca l’aveva abbandonata, rifiutandosi di crescere la bambina. Nila così aveva tirato su sua figlia lavorando come donna delle pulizie all’ospedale e guadagnando giusto il necessario per sopravvivere. Ece era la bambina più bella che avessi mai conosciuto: non assomigliava per niente alla madre, bionda, magra, con la pelle chiara e gli occhi azzurri: lei era castana, con gli occhi color cioccolato e la pelle olivastra. Era di una bellezza unica, era intelligente, solare, astuta, sensibile e dolce. Ero letteralmente pazza per questa piccolina, e la amavo come se fosse figlia mia.
Mi feci le valigie e decisi con Nila di tornare a vivere nell’appartamento in affitto che avevamo condiviso per tre anni al centro di Istanbul. Nila aveva posteggiato la sua auto nel vialetto fuori casa mia, e mi diressi verso essa trascinando rumorosamente la valigia sull’asfalto. Non appena mi avvicinai alla macchina, dove Nila aveva lasciato Ece per venire a parlare con me, lei scese e corse ad abbracciarmi. La sollevai e le feci fare un giro in aria. Era leggera come una piuma, e anche la mia anima adesso era così leggera. Ece rideva a crepapelle e il suo sorriso mi contagiò, accendendomi lo spirito.
<<Hande dove sei stata tutto questo tempo? Hai avuto tanti pazienti da curare?>> Ridacchiai. La piccolina non sapeva che io lavorassi come medico legale, le avevo solo detto di essere una Dottoressa, così da non spaventarla con la macabra immagine di me che disseziono cadaveri. Immaginai che Nila le avesse inventato questa scusa per rispondere alle sue domande riguardo la mia assenza, così le diedi corda.
<<Si piccola. Ho salvato un sacco di persone.>>
<<Lo sapevo che saresti tornata!>>
<<Non ti avrei mai abbandonato, Ece.>> Mentre lo dissi, guardai Nila e ci scambiammo un tenero sorriso.
La restante parte della giornata la utilizzammo per riportare le valigie a casa, andare a scuola e al lavoro. Finalmente riprendevo la mia vecchia routine dopo così tanto tempo, mi sentivo di nuovo a casa, con le persone giuste. Quella permanenza con Claudius era stata una sofferenza, avevo cercato per tutto il tempo di tappare quel buco lasciato da Nila dedicandomi al sesso e alla passione. Ma certe ferite non guariscono così facilmente e ti tormentano i pensieri giorno e notte e ovunque andrai saranno sempre con te.
Lavorai tutto il giorno nella sala autoptica con il mio collega Ferit Yesil, un tirocinante sotto la mia guida. Mi fidavo molto di lui, era all’ultimo anno di tirocinio ed era davvero molto promettente. Io e Nila lavoravamo nello stesso ospedale e ci eravamo conosciute proprio così. Io mi ero laureata giovanissima e subito dopo l’Università di medicina avevo deciso di intraprendere la carriera di medico legale: le cose ordinarie mi annoiavano parecchio. Io ero da sempre stata appassionata di crime e gialli, e il pensiero di poter contribuire nel mio piccolo alle indagini mi faceva sentire realizzata e soddisfatta. Prendevo con molta serietà e professionalità il mio lavoro, non lasciavo mai nulla al caso ed era mia premura assicurarmi che tutti i corpi venissero trattati con il massimo rispetto e cura possibile, non solo per aiutarmi ad eseguire l’autopsia, ma proprio perché loro erano delle persone e in quanto tali meritavano il massimo occhio di riguardo. Per questo, nonostante avessi ventisette anni e avessi finito il mio tirocinio da poco tempo, ero considerata una professionista a tutti gli effetti dai miei colleghi e ricevevo da loro moltissima stima e apprezzamento.                                      Una volta finita la mia giornata lavorativa ed essere tornata a casa, io e Nila passammo tutta la serata con Ece, a giocare, a guardare la TV e a ridere, come i vecchi tempi. Era da tanto che non passavo una serata così tranquilla: quelle con Claudius erano tutte uguali, trascorse a letto oppure a guardare lui sul divano che giocava a FIFA sulla Playstation, mentre di tanto in tanto bestemmiava e beveva un sorso di birra, arrivando a volte perfino a sbronzarsi. 
 
Nella mia vita, avevo sempre avuto paura di mettere radici con qualcuno e ad affezionarmi, ma per la prima volta sembrava che tutto fosse diverso. Con Nila, sentivo che la mia vita stava prendendo la piega giusta, che tutto era perfettamente al suo posto, iniziavo a sentire quel sentimento così raro, la felicità, serpeggiare dentro di me e riempire la mia anima. Nila ed Ece erano tutto ciò che avevo, erano il mio punto di riferimento in una città che non mi apparteneva – ero originaria di Gemlik, un paesino vicino la città di Bursa –, erano il motivo per cui tornavo a casa tutte le sere, erano il motivo della mia gioia e le persone che amavo di più in assoluto. Una famiglia non deve per forza essere composta da mamma, papà e figli e una casa non è per forza fatta da quattro mura: si può essere famiglia anche senza essere consanguinei e si può essere a casa anche sotto un ponte, l’importante è stare con le persone che ami. Quel giorno, mi convinsi veramente di aver ritrovato la felicità, e che non l’avrei mai più persa. Ma ovviamente la felicità ha vita breve, come una rosa che fiorisce in primavera, cresce, sboccia e subito appassisce, lasciando dietro di sé una scia di petali rinsecchiti, che mai nessuno potrà riportare in vita. Così la mia felicità, come una rosa, appassì immediatamente.

Fra le pieghe dell'odio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora