Ero un medico legale. Sapevo esattamente come funzionava la polizia, e la negligenza che avevano nel trattare i casi. Ovviamente con quello di Nila non sarebbero stati da meno. La denuncia sarebbe rimasta lì a marcire per chissà quanti mesi, finché le scartoffie nuove non l'avrebbero completamente ricoperta e tutti se ne sarebbero dimenticati. Sapevo perfettamente che se volevo che quel caso fosse preso in considerazione avevo due opzioni: andare a fare casino in caserma oppure affidarmi alle mie conoscenze.
Il giorno dopo saltai il lavoro e feci dimora alla stazione. Gli agenti di turno mi invitarono ad andarmene e mi liquidarono dicendomi che "ci voleva il tempo che ci voleva" e di tornare fra un mesetto o due. Non appena sgancia un profumato gruzzoletto mi assicurarono che si sarebbero occupati subito del caso.
Il pomeriggio stesso fu effettuata l'autopsia sul corpo di Nila.
Mi venne chiesto dai miei superiori di non eseguire l’autopsia, dato che ero molto legata a lei: magari i miei sentimenti mi avrebbero potuto influenzare. A malincuore, accettai quello che mi fu chiesto e cui felice di sapere che a svolgere l'autopsia sarebbe stato Ferit. Mi fidavo di lui e lavoravamo fianco a fianco da parecchio tempo. Ero consapevole delle sue capacità ed ero sicura che sarebbe stato in grado di svolgere un esame accurato e oggettivo.
Lo aspettai davanti alla sala. Quando entrò in reparto, nonostante indossasse la mascherina, potei percepire il suo viso pallido e spaventato. Le mani gli tremavano visibilmente, e camminava stretto nelle spalle. Evitava il mio sguardo, preferendo piantare gli occhi sul pavimento. Camminò velocemente fino all'ingresso della sala, mi salutò fugacemente e fece per entrare, ma io lo bloccai.
<<Ferit...>> esordii, mentre lo tenevo per il braccio. <<Sono felice che sia tu a compiere l'autopsia. Sono sicura che farai un ottimo lavoro.>> lui annuì e fece di nuovo per scappare. <<Ferit.... Un ultima cosa.>> Lui annuì di nuovo e continuai: <<Posso vedere un momento Nila prima che venga aperta?>> Chiesi, con voce languida.
Ferit sbiancò.
<<N-non è possibile. Mi dispiace, sono regole.>>
<<Ferit, io sono un medico, e il fatto che io non possa operare Nila non mi impedisce di entrare nella mia sala. Ci metto solo un minuto.>>
Non poté rifiutare.
Entrai nella sala e Ferit sembrava particolarmente turbato da questa cosa. Chiuse la porta dietro di se e rimase vicino ad essa a sentire se si avvicinava qualcuno. Era guardingo, era sospetto. Ma non diedi più di tanto peso ai suoi atteggiamenti e mi affrettai a vedere il corpo. Il mio intento era duplice: vedere un’ultima volta la mia migliore amica e soprattutto accertarmi che non ci fosse nulla di strano. Ovviamente solo un’autopsia approfondita avrebbe potuto darmi delle informazioni complete, ma già uno sguardo dell’esterno poteva dirmi tante cose, e così successe. Ferit non si schiodò dalla porta, perciò aprii io stessa la cella di Nila e la guardai. Era immobile, ancora perfettamente intatta. Sembrava stesse solo riposando, invece quel corpo che io avevo tanto ripudiato era lì, inerme, senza vita, senza l’anima che, al contrario, avevo tanto amato. Ebbi l’impulso di accarezzarla ma non riuscii a farlo, perché mi sembrava quasi un insulto toccarla in un simile stato. Rispettavo talmente tanto il suo corpo e la sua persona che l’idea stessa che fosse aperta in due mi faceva venire la nausea. E ne avevo aperti, io, di corpi. Fortunatamente sarebbe toccato a Ferit l’infausto compito.
Non ci volle nemmeno un minuto per capire che quel corpo aveva qualcosa che non andava.
Sengul aveva descritto così il suo decesso: Nila era entrata in sala operatoria con tutti i valori nella norma e idonea per essere operata. Sengul aveva reciso la schiena, all’altezza della vertebra L3 e L4 e aveva iniziato la sua operazione. Il processo si era rivelato abbastanza difficile dato che i parametri di Nila di tanto in tanto schizzavano, ed erano palesemente instabili. Ma la situazione, a detta di Sengul, era perfettamente sotto controllo. Dopo sette ore di operazione, i parametri di Nila erano precipitati ed era avvenuto l’arresto cardiaco. Mezz’ora di massaggio cardiaco, tutto inutile. Una persona, seppur soggetta ad un’operazione, se muore per arresto cardiaco non dovrebbe perdere nemmeno una goccia di sangue. Invece, appena sotto il braccio di Nila, all’altezza della schiena, intravidi un livido violaceo. A malincuore, le spostai il braccio per vedere meglio e le sollevai leggermente la schiena, per quanto mi fosse possibile. In tutta la lombare e parte della dorsale della schiena, Nila aveva un livido gigantesco, sembrava avesse perso moltissimo sangue. La macchia copriva quasi tutta la schiena, ed era impressionante quanto fosse estesa. Ovviamente i lividi si formano solo quando una persona è in vita, quindi era da escludere che fosse accaduto qualcosa post mortem. Quell’enorme ematoma andava assolutamente in contrasto con quello che aveva descritto Sengul. Avvertii subito Ferit della mia scoperta, e sbarrò gli occhi appena si accorse di quello che avevo notato. Si staccò bruscamente dalla porta, mi prese per il braccio e mi disse che il mio tempo era scaduto.
<<Ferit ha un ematoma gigantesco nella schiena, c’è qualcosa che non torna! Mi fido di te.>> Gli dissi, prima che mi sbattesse fuori dalla sala e iniziasse a lavorare. Lo attesi fuori dalla porta e, quando lessi il referto che aveva redatto rimasi senza parole. Nel suo referto, Nilufer Yildiz era deceduta per arresto cardiaco dovuto alla mancanza di sangue provocata dall’incidente. In corpo erano stati trovati solo tre litri di sangue.
Peccato che Nila, nei giorni precedenti, avesse ricevuto talmente tante di quelle trasfusioni da avere sei litri e mezzo di sangue in corpo al momento dell’ingresso in sala operatoria e, nonostante fosse stata devastata dall’incidente, non presentava quel tipo di livido.
La mattina dopo andai al lavoro, approfittando di lavorare fianco a fianco con Ferit per parlargli di quello che era successo il giorno prima. Così, mentre stavamo eseguendo un’ordinaria autopsia, gli feci una domanda a bruciapelo:
<<Ferit, sei davvero sicuro del referto che hai scritto ieri?>>
Lui mi guardò perplesso, ma continuò a lavorare a testa bassa. Ripetei la domanda. A questo punto lasciò sul tavolo gli attrezzi che teneva in mano e mi rispose.
<<Sì, Hande. Non ti fidi di me per caso?>>
<<Sei un professionista, Ferit. E in quanto tale mi aspetto da te un referto quantomeno realistico.>>
<<Che cosa stai insinuando, Hande?>>
<<Che è letteralmente impossibile che con un emorragia con conseguente ematoma di tali dimensioni tu abbia scritto che è morta per arresto cardiaco.>>
<<Senti, so quanto stai soffrendo, e so che vorresti dare la colpa a qualcuno per quello che è successo, ma ti assicuro che è morta per quello.>>
<<Io non voglio dare la colpa a nessuno. Voglio solo la verità. Ti conosco, e so che mi stai nascondendo qualcosa.>>
Lui non replicò. Mi diede la conferma di quello che pensavo.
<<Sai che non mi fermerò qui, vero?>>
<<Lo so.>>
<<E sai che se scoprissi che mi stai mentendo il nostro rapporto sarebbe rovinato?>>
<<Lo so.>>
<<Non guarderò in faccia nessuno pur di sapere la verità. Lo sai vero?>>
<<So anche questo. E so anche che hai una bambina adesso a cui pensare. Pensa a lei e al suo bene. Ha una mamma dentro la cella frigorifera, non vorrei ne avesse due.>>
<<Che cosa significa Ferit?>> Chiesi, confusa. Non mi rispose, e non toccammo più l’argomento, almeno per un po'. Quelle parole, tanto strane quanto agghiaccianti, le avrei comprese solo molto più avanti.
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Fra le pieghe dell'odio
General FictionHande Demir è un medico legale di ventisette anni, convive con la sua migliore amica Nila da tre anni e crescono insieme la figlia di quest'ultima, dopo che suo padre l'ha abbandonata. La loro vita sembra andare a gonfie vele, se non fosse che la lo...