Capitolo 10

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Quella sera conobbi un ragazzo. Si chiamava Vince. Una mia collega di lavoro mi aveva invitata a cena da lei per festeggiare il suo trentesimo compleanno, ed io avevo deciso di partecipare. Quel giorno, fra gli invitati, c’era questo ragazzo. Un anno più piccolo di me, poco più basso di me, capelli neri, occhio castano tendente al verde scuro, pelle chiara, viso pulito e magro come un grissino. Assolutamente il contrario del mio prototipo di uomo, chiaro e con capelli rossi o biondi e con una corporatura robusta; di lui, però, mi colpì la gentilezza e la cordialità. Nonostante non mi conoscesse, si era subito gettato a capofitto in una conversazione, e subito entrambi avevamo percepito l’alchimia che c’era fra noi. Mi trovai bene a parlare con lui, avevamo tantissimi cose in comune e non potevo fare a meno di notare la nostra sintonia. Così, dopo quella sera, lui mi mandò un messaggio e da lì iniziammo a frequentarci: in un mese eravamo già fidanzati. Non avevo mai avuto vere e proprie storie serie prima di allora, ero sempre stata uno spirito libero e indipendente, ma con Vince non potei fare a meno di incastrarmi in una relazione seria. Insomma, a venticinque anni, quasi ventisei, tutte le mie coetanee erano già sposate e con figli… Io invece mi divertivo a dissezionare cadaveri. Ci stava imbattersi in una cosa seria, no? Nella mia vita avevo avuto pessime esperienze con gli uomini, ero sempre stata delusa e ferita, fin da ragazzina, e quindi avevo creato intorno a me questa corazza che Vince sembrava oltrepassare. Lui mi sembrava un tipo innocuo, un tipo che non mi avrebbe fatto del male e che potevo facilmente gestire. Insomma, quale migliore persona per intraprendere qualcosa di serio? Ma fra il trovarsi bene con qualcuno e l’innamorarsi c’è un abisso. Lui era un bravissimo ragazzo, una persona amabile, e per questo, col tempo, imparai anche a volergli bene, quasi ad amarlo. Ma era un sentimento  conseguenza della mia scelta di stare con lui, non era un qualcosa di sincero e viscerale, era un sentimento di circostanza. Nella mia relazione con lui, non ebbi particolari problemi: non litigavamo mai, eravamo sempre d’accordo, tutto filava liscio; e l’espressione “filare liscio” non può stare insieme alla parola “Hande”. Io ero una persona problematica, difficile, con un carattere impossibile da gestire… Invece pareva che per lui fosse semplicissimo. Forse, il suo problema, era che nemmeno ci provava ad affrontarmi, per questo non sentiva il mio peso e nemmeno prova a dialogare con me. Questo suo aspetto era insoddisfacente, come insoddisfacente era la nostra vita intima: non amandolo sinceramente e non essendo il mio prototipo di uomo, non provavo nemmeno una spinta verso di lui. Io ero una persona estremamente fantasiosa, stravagante e innovativa, ma lui non sembrava stare al mio passo nemmeno sotto l’aspetto sessuale. Lui era semplicemente inadatto a me. Eppure, stavamo insieme e potevamo dire di portarci serenità a vicenda.
Di Vince non ne avevo parlato con quasi nessuno. Mia sorella Sanem sapeva giusto appena che ero fidanzata, ma nulla di più. Era come se volessi tenere Vince segreto, quasi sotterrato.
Molto spesso mi capitava di pensare al futuro, e lui raramente era incluso nei miei progetti: era una presenza “comoda” nella mia vita, non ne era parte integrante. Il problema di Vince era sostanzialmente uno: io ero una persona dinamica, attiva, avevo sempre progetti e nella mia vita avevo avuto sempre degli obiettivi ben fissati, lavoravo ogni giorno ed ero indipendente e sicura di me. Vince era disoccupato, non aveva sogni nel cassetto, era una persona abitudinaria e semplice, si svegliava la mattina senza un vero e proprio scopo, si limitava ad esistere e non a vivere a pieno la sua vita. Evitava al massimo le discussioni, evitava persino i confronti, ed io non riuscivo a sopportare questo suo menefreghismo: avevo bisogno di sapere se nella coppia c’erano problemi, avevo bisogno di sentire il suo parere, di affrontare discussioni e di capire se c’era qualcosa che potevo migliorare o se qualche mio comportamento lo faceva stare male. Quando esponevo qualche problema, lui si limitava a darmi ragione sempre e comunque e a tagliare corto la discussione. Capitava spesso che me la prendessi con lui senza motivo, e anche in quelle circostanze lui mi dava ragione, non gli importava se avessi fatto cadere a terra un bicchiere, se mi fossi offesa per qualcosa di assurdo o se avessi ucciso qualcuno: per lui avevo sempre ragione io. Io ero una persona piena di vita e di iniziative, e lui non sembrava essere disturbato da questa cosa. Non gli importava cosa facessi, con chi mi vedessi o per quanto tempo non mi facessi sentire, lui era sempre tranquillo. Molti uomini ci avevano provato con me anche davanti a lui, e lui non ci aveva nemmeno fatto caso; al massimo mi aveva detto che quella persona non gli faceva particolare simpatia. Non gli importava nemmeno di andare a convivere insieme a me, io preferivo stare con Nila e lui non sentiva la necessità di avermi a fianco tutti i giorni. Ci vedevamo quando il mio lavoro permetteva e spesso ero io stessa a chiedergli di venire a salutarmi, giusto perché mi andava di vederlo.
Tutto questo non significa che ero pazza o che non avevo il coraggio di lasciarlo: io volevo molto bene a Vince, perché era un ragazzo educato, galante, gentile e premuroso, mi lasciava molta libertà e mi dava serenità. Sono anche convinta di essermi innamorata di lui per un periodo, o perlomeno, di aver provato qualcosa di simile all’amore, molto simile: ma la verità era che lui non mi aveva mai presa del tutto, e c’erano dei tratti della sua personalità che cozzavano con i miei. A ventisei anni, intrappolata un po' in quello che provavo, Vince mi sembrava la persona adatta con cui passare il resto della mia vita. Vince era il meglio del peggio. Ovviamente di tutto questo non ne avevo mai parlato con nessuno, dicevo a tutti che lui mi rendeva felice e che tutto andava benissimo, come potevo spiegare tutto quello che mi passava per la testa e la solitudine che spesso provavo al suo fianco? Avevamo sempre bisogno degli altri per passare il tempo e se non era possibile stare insieme con gli altri, ci separavamo, preferendo gli amici alla coppia. Ci vantavamo di essere una coppia libera, ma la verità è che fra di noi non c’era un vero e proprio legame, ed era proprio per questo che riuscivamo a mantenere questa libertà. Ne parlai pochissimo con Nila di tutto ciò, anche se era la mia migliore amica. Lei mi chiedeva spesso di lui, ed io rimanevo sempre vaga e particolarmente ottimista, persino Ece si era accorta che non ero sincera: mi limitavo a sorridere e cambiare discorso ogni volta che Vince veniva pronunciato. A lavoro nessuno sapeva della mia relazione, a parte gli uomini che avevano fatto avance, e che avevo rifiutato, quasi a malincuore. Nila percepiva che non ero del tutto felice come facevo apparire, lei mi conosceva benissimo e per questo non mi aveva mai chiesto di conoscerlo, entrambe sapevamo perfettamente che in questa relazione c’era qualcosa che non andava.
 
Dopo dieci mesi, decisi che era arrivato il momento di presentarglielo.
 
Non avevo mai permesso a Vince di venire a casa mia e di Nila, mi sembrava quasi una forzatura quella di farlo entrare nella mia più intima dimensione, non mi sentivo così connessa con lui da permettergli di violare il mio equilibrio, di introdursi nel luogo dove io ero più felice. Alla fine, però, chiesi a Nila il permesso di portare Vince a cena una sera da noi e lei, leggermente restia, accettò. Tutte e tre ci vestimmo carine per l’occasione e quando Vince entrò, Nila ed Ece lo accolsero calorosamente. Lui fece altrettanto e la serata passò tranquilla. Vince alla fine era un tipo alla mano, ed era anche simpatico e divertente. Ece lo prese subito a genio, Nila un po' meno. Vedevo che mi osservava costantemente, come se volesse percepire ogni singolo pensiero che mi passava per la mente. Mi sentivo in soggezione, perché non volevo che si accorgesse del disagio che avevo. Dopo cena, Vince ed Ece si misero a giocare, mentre io e Nila sparecchiammo la tavola e lavammo i piatti. Stavamo entrambe in silenzio, e evitavo il suo sguardo il più possibile. Ma alla fine, vinse lei.
<<Non capisco perché tu non me lo abbia presentato prima… Vince è un bravo ragazzo, è simpatico ed è carinissimo con Ece… Perché hai aspettato così tanto?>>
<<Beh perché sai come sono io… Non voglio piantare radici e quindi presentarvelo significava in qualche modo farlo entrare sempre di più nella mia intimità, non mi sentivo pronta.>> La mia fu una mezza verità. E lei come sempre lo capì.
<<Io sono convinta che ci sia di più, e il fatto che tu non voglia parlarmene mi preoccupa.>>
<<Non devi.>>
<<Non ti vedo sincera. E’ come se non fossi te stessa quando c’è lui nei tuoi paraggi o quando lo si nomina. E’ una cosa che ho percepito fin da subito e stasera ne ho avuto la conferma. La Hande che conosco io stasera si sarebbe vestita sensuale, sarebbe stata spavalda, avrebbe tenuto botta molto meglio di come stai facendo tu adesso. La Hande che conosco me lo avrebbe presentato dopo due minuti, orgogliosa della persona che ha al suo fianco. Sembri intimorita, spaventata, preoccupata, non ti avevo mai vista così.>> Non risposi. Lei continuò a rigirare il coltello nella piaga. <<Anzi non lo sembri… Lo sei.>>
<<Nila quando sarò pronta ti spiegherò tutto. Ti chiedo solo di darmi il mio tempo e di lasciarmi i miei spazi.>>
<<Come ho sempre fatto, Hande Demir. A volte sei così complicata che è impossibile capirti. Vorrei entrare nella tua testa per comprendere che inferno c’è lì dentro.>>
Il problema era proprio questo. Lei leggeva la mia mente con la facilità con cui si leggono le fiabe ai bambini. Aveva capito tutto senza che io dicessi niente. Me ne andai, per interrompere la conversazione.
Quella sera diventai così piccola che quasi scomparii. Non mi ero mai sentita così oppressa da una persona che in realtà per opprimermi non stava facendo nulla. Avere Vince al mio fianco mi sminuiva e mi spegneva, e Nila l’aveva capito.
A volte quasi la odiavo per come riusciva a capirmi, ma le volevo bene proprio per questo.

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