Capitolo 6

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<<Nilufer! Aiutami a portare questi pacchi su’, sono troppo pesanti!>> Nila mi raggiunse e mi aiutò a portare al piano superiore gli scatoli. Stavamo allestendo la nostra nuova casa, era un’emozione immensa. Non avevo mai convissuto con nessuno di estraneo alla mia famiglia, a parte quella breve permanenza dallo zio Emre, ma niente di serio. E poi sarei stata ventiquattrore su ventiquattro con una bambina. Ece si era innamorata di me dal primo momento. Era una bambina dolcissima, talmente piccola che ogni volta che l’accarezzavo sembrava stesse per rompersi. Non assomigliava per niente alla madre, era scura e aveva due occhietti neri. Molto spesso la scambiavano per mia figlia, anziché di Nila. Era proprio vero: la piccoletta assomigliava più a me che alla madre biologica. Vedi la vita quanto è beffarda. Sei bionda con gli occhi azzurri e ti nasce una figlia con i capelli castani e gli occhi neri. Chissà come doveva essere il padre, pensai. Nila non mi aveva mai fatto vedere una foto oppure il suo nome, diceva che era troppo doloroso ricordare e io l’assecondavo, rispettavo il suo dolore. Non doveva essere facile crescere una figlia da sola.
Gli ultimi scatoloni da portare su’ erano quelli con la roba di Ece. Nila quel giorno era esausta, così decisi di aiutarla e di riordinare le cose della piccola. Ece era emozionatissima, adorava la nuova dimora. Casa nostra era un modesto appartamento in stile moderno, semplice ma funzionale. Ad essere onesta, sia io che Nila eravamo due persone che amavano i colori e le cose brillanti, ma i mobili che avevamo scelto erano neri e bianchi, in uno stile minimalista. L’unica cosa che dava colore alla casa erano le piante: piante ovunque, coloratissime, piene di fiori – rigorosamente non piante grasse con le spine, altrimenti Ece avrebbe potuto farsi male – che rendevano l’ambiente accogliente e rasserenante. Avevamo delle piante rampicanti che scendevano giù dal soffitto della cucina, sembrava di essere all’interno di una foresta - ovviamente l’idea delle piante che scendevano dal tetto era stata mia.
Perché limitarsi a dei vasi?
La stanza di Ece era coloratissima, invece: la stanza era un mix di verde, rosa, blu e bianco, tutti colori pastello delicati, aveva un letto a baldacchino bianco e un angolo pieno di giocattoli. Avevo intenzione di fare una sorpresa alla piccola, per renderle anche la mia presenza meno traumatica. Io e Nila ci conoscevamo da poco, e conoscevo da altrettanto poco tempo la bambina, non sapevo come avrebbe reagito ad avermi sempre intorno. Per consolidare la nostra nuova convivenza, decisi di disegnare delle nuvolette sul tetto. Il tetto della sua stanzetta era blu e pensai che delle stelle potessero ricordarle il cielo.
<<Ece, ho una sorpresa per te.>> Le dissi, mostrandole i miei pennelli e i colori. Lei non capii subito, poi la portai nella camera e iniziò ad intuire qualcosa. <<Guarda il tetto.>>
<<Non c’è niente.>> Si lamentò lei.
<<Hai ragione ma…Che ne dici se ci dipingiamo sopra delle belle stelline? >> Gli occhi della piccola si illuminarono. Strinse i pugnetti al cielo ed esultò, iniziando a saltellare. Io risi. Sulla soglia della porta, Nila ci stava osservando da un po'. Sorrideva. Il suo sorriso era come malinconico, quasi triste, come coperto da un velo di malessere. Mentre Ece esultava la guadai, e le sorrisi. Lei ricambiò, mettendoci un po' più di entusiasmo, poi tornò triste.
Coprii i mobili come meglio potei, per non macchiarli con la vernice, feci indossare ad Ece una sorta di impermeabile per non farle sporcare i vestiti e insieme iniziammo a dipingere. Ece mi indicava dove voleva che io dipingessi le stelle ed io eseguivo. Nila nel frattempo aveva cambiato stanza e non si era più fatta vedere, fino ad ora di cena. Cucinammo per la prima volta nella nuova casa, ovviamente non potevamo che partire dal piatto preferito di Ece: kofte. Era un’emozione indescrivibile quella di cenare per la prima volta nella nostra nuova casa, comprata con i risparmi di una vita, sia miei che di Nila. Volevamo assolutamente stare insieme, non solo al lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni. La nostra amicizia, seppur ancora giovane, era qualcosa di forte ed indescrivibilmente intenso. Ci raccontavamo tutto, eravamo affiatate e entrambe eravamo una figura positiva l’una per l’altra. Dopo cena, mettemmo insieme Ece a letto nella nuova cameretta dipinta da noi. Le raccontammo una favola e lei si addormentò beata. Ci alzammo silenziosamente e le spegnemmo la luce. Nila uscii dalla stanza, mentre io rimasi sulla soglia della porta a guardarla ancora per un po'. Era così piccola, così carina. Come aveva fatto suo padre ad abbandonarla? Come si può mettere al mondo un figlio e abbandonarlo senza dire nulla? Non immagino come debba essere ritrovarsi a vent’anni ad avere una figlia e crescerla da sola. Sapevo, però, che Ece era una bambina fortunata, aveva una madre che faceva per cento, che dico, per mille! Nila l’avrebbe educata, cresciuta ed amata come se quella fosse la creatura più preziosa del mondo. E per Nila, in realtà, lo era. Pensai a quanto doveva essere bello provare un amore così forte ed intenso; si sa, l’amore di una madre verso una figlia è qualcosa di unico e immenso, probabilmente la più pura forma d’amore che esista. Mentre stavo a riflettere sulla soglia della porta guardando Ece, Nila tornò indietro e si avvicinò. Io mi appoggiai su un lato della porta, mettendo le mani dietro il fondoschiena e poggiandomi alla cornice con il resto del corpo. La stessa cosa fece Nila, dalla parte opposta.
<<Eri triste prima.>> Iniziai io.
<<E’ vero.>>
<<Cos’è che ti turba?>> Chiesi, sottovoce. L’unica cosa che mi permetteva di decifrare i tratti del volto di Nila e le sue espressioni al buio era la fioca luce che arrivava dalla cucina, che a stento creava una debole penombra nella stanza.
<<Guardavo te ed Ece. Sembravate mamma e figlia.>>
<<Nah, la mamma sei tu. Io al massimo la zia single.>>
<<No, in realtà mi sembra che tu tratti Ece come se fosse figlia tua. Hai un istinto materno molto spiccato… E’ un lato nuovo di te che scopro.>> Sbuffai.
<<Io non voglio avere figli. Mi ci vedi con un marito? Dei figli? No, non fa per Hande. Io sono quel tipo di persona che non sta ferma un attimo, che ha sempre sogni, obiettivi, che vive la vita al 100%, capisci che intendo?>>
<<E cosa ti impedisce di essere tutto questo pur avendo un figlio?>> Rimasi un attimo in silenzio.
<<Tu sei una persona buona, Nila. Sei nata per essere madre. Faresti di tutto per questa piccola scimmietta. Io riesco solo a disseminare caos ovunque vado. Non riesco mai a mettere radici da nessuna parte. Fare un figlio significa avere delle radici per tutta la vita, un legame, un vincolo. Io non ho mai creato vincoli o legami in tutta la mia vita. Mi reinvento da zero ogni volta; vado in un posto, conosco qualcuno, ci creo un rapporto e poi tutto svanisce. Faccio le valigie, vado via e ricomincio d’accapo, una nuova Hande, una nuova vita.>> Avevo lo sguardo fisso a terra mentre pronunciavo queste parole.
<<Eppure con me hai comprato una casa, sei andata a convivere. Stai piantando radici. Questo vuol dire che appena ti scoccerai ci abbandonerai?>> Io non risposi. Non avevo risposta. <<Te lo dico io, se ti mancano le parole: tu non ci abbandonerai, mai. Hai semplicemente paura di piantare le radici, di crearti una stabilità. Hai paura di abituarti a stare bene e poi soffrire una volta persa questa sicurezza. E’ così che va la vita, ma non puoi privarti di essere felice solo perché hai paura di stare male.>>
<<Ma io sono felice. Conosco sempre gente nuova, posso creare mille versioni di me ogni volta che vado in un posto nuovo. Posso reinventarmi, viaggiare, amare, scappare, fare esperienze. Non è tutto così elettrizzante?>>
<<Oddio, forse è vero: la vita da libertine ha il suo fascino. Ma alla fine dei conti, con chi hai dipinto una parete? Con chi hai fatto il bagno al mare di notte? Con chi stai guardando questa piccola creatura mentre dorme? Con chi hai comprato una casa? Con me o con uno sconosciuto?>>
<<Non illuderti Nilufer. Potrei andare via quando meno te lo aspetti.>>
<<Non te ne andrai.>> Mi voltai di scatto verso di lei.
<<Ascolta, io sono questa. Non posso cambiare. Se ti piaccio così bene, sennò…>>
<<Fammi indovinare, scappi?>> Rimasi di stucco, era così serena, con quel sorriso sicuro. Era certa di quello che stava dicendo e questa sua sicurezza mi destabilizzò. Le volevo bene, ma non volevo che si illudesse. Aveva già sofferto troppo a causa del padre di Ece e non volevo che soffrisse ancora con me, ma non potevo neanche pretendere da me stessa di cambiare per lei.
<<Non cambierò mai Nila.>>
<<Non devi cambiare, tu sei già questo. Tu sei una che resta e resterai.>> Guardai Ece. Guardai Nila. Mi morsi il labbro. In quel momento, capii di essere stata incastrata.
<<D’accordo. Il tempo ci darà le risposte che cerchiamo.>> Lei annuì e se ne andò, quasi non curante del discorso che mi aveva appena fatto. Sapeva quanto quelle parole mi colpissero, eppure faceva finta di non accorgersene. Poggiai la schiena contro il muro, sospirai, guardai Ece ancora una volta che dormiva beata, chiusi la porta e andai a dormire anch’io.
Quella sera, capii che Nila avrebbe sconvolto la mia vita, per sempre.

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