Capitolo 9

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Erano passati dieci giorni da quando Ece mi era stata portata via, e immaginai che fosse già arrivata a casa di Serkan da due o tre giorni. Avevo fatto tutto quello che era in mio potere per cercare di riprendermela: avevo parlato con avvocati, altri assistenti sociali e con chiunque potesse aiutarmi. Nessuno, però, era riuscito a darmi una mano: Ece era figlia di Serkan e, anche se così non fosse stato, io non avevo nessun diritto su di lei, non avendo legami di sangue e non avendo una dichiarazione scritta di Nila con le sue volontà, io non ero nessuno per lei, secondo la legge. Serkan sembrava, per i servizi sociali, il tutore perfetto di Ece e l’unico che potesse prendersi cura di lei. Ma ovviamente non mi arrendevo.
Ripresi ad andare a lavoro, dato che era l’unica cosa che mi era rimasta. Yesil, come sempre, quella mattina, era in ritardo. Nila era ancora nella cella frigorifera dell’ospedale perché purtroppo non ero riuscita ad organizzarle un funerale e renderle giustizia per un ultimo saluto. Ero stata troppo occupata a cercare di riprendermi Ece, lei adesso era la priorità, e anche Nila avrebbe voluto che lo fosse. Mentre aspettavo Ferit, mi venne un’illuminazione: perché non approfittare del ritardo del mio compagno per eseguire un’autopsia su Nila? Onestamente, da quando Ferit aveva eseguito l’autopsia era stato molto schivo con me, e i nostri rapporti si erano raffreddati. Lo conoscevo molto bene ed ero consapevole che mi stava nascondendo qualcosa. Decisi, così, di eseguire io stessa l’autopsia su Nila. Cautamente, mi introdussi nella sala autoptica, con il corpo di Nila al mio seguito, e mi preparai ad eseguire il mio compito.
Avevo svolto centinaia, se non migliaia di autopsie in tutta la mia vita, ma mai nessuna mi aveva provocato le emozioni che avevo adesso. Recidere Nila mi sembrava come farle del male, e non potevo accettarlo. Sapevo che quell’autopsia era per il suo bene, ma d’altro canto mi sembrava come una violenza. Lei era stata così importante per me, e intaccare il suo cadavere era come un sacrilegio. Ma mi feci forza, la guardai, le chiesi perdono e iniziai.
 
A prima occhiata mi resi subito conto che ci fosse qualcosa di strano nel suo corpo: non aveva i tipici tagli di chi è stato reciso per un’autopsia e, se le regole della vita non erano cambiate nel giro di qualche settimana, quel corpo non era mai stato esaminato realmente. Un’ondata di delusione e sgomento mi pervase, perché Ferit non aveva eseguito il suo dovere? Perché mi aveva mentito? Iniziai a pensare realmente che questa morte fosse stata provocata, e che non fosse frutto della debolezza di Nila. E di certo, Ferit sapeva qualcosa riguardo a questa storia. Proseguii con l’autopsia, e mi accorsi, man mano che mi addentravo negli esami, che effettivamente Nila non era morta di arresto cardiaco. Quando esaminai la sua schiena, ed eseguii il primo taglio, subito notai una fuoriuscita di sangue anomala: di solito i morti non hanno tutto quel sangue. Mi resi subito conto che nella schiena, in particolare nella parte cervicale, era presente un grosso coagulo di sangue, simbolo di una grossa emorragia interna. Man mano che tagliavo, mi resi conto che quello che aveva dichiarato Sengul riguardo all’operazione era tutto errato. A Nila doveva essere asportata la L3, ovvero la terza vertebra lombare, mentre invece le era stata asportata la C2, ovvero la seconda vertebra cervicale. L’operazione era stata del tutto sbagliata, e quella emorragia era stata provocata da una vena che era stata completamente recisa accanto alla vertebra cervicale asportata. Mentre scoprivo queste cose, sentii Ferit chiamarmi da dietro la porta.
<<Hande? Stai già lavorando?>>
<<Sì, ho già iniziato.>> Tremavo, mentre iniziavo a ricucire Nila. Fortunatamente, non entrò nella sala e si limitò a parlarmi da dietro la porta.
<<D’accordo, mi preparo ed entro.>>
<<Ti aspetto.>> Dissi, e sentii i suoi passi allontanarsi. La ricucii in fretta e furia e la rimisi al suo posto, tirando fuori un altro cadavere totalmente a caso. Dieci minuti dopo, Ferit mi raggiunse e continuammo a lavorare come se nulla fosse. Nel vederlo, così tranquillo nella sua disonestà, fui assalita dalla rabbia. Lui non aveva nemmeno analizzato Nila, qualcuno gli aveva suggerito cosa scrivere nel referto, non importava quale fosse la verità. Iniziai a pensare che Sengul forse aveva qualcosa da nascondere riguardo questa operazione e che avesse corrotto Ferit.
 
Quel giorno, capii di essere sola, e che se volevo fare luce su questa storia dovevo necessariamente cavarmela da sola e indagare per i fatti miei. La polizia non mi avrebbe aiutata. L’ospedale non mi avrebbe aiutata. Io e Nila eravamo sempre state sole, e anche nella morte continuavamo ad esserlo. Persino le persone che avevamo amato, persino i nostri amici ci avevano sempre voltato le spalle e non avevo altra scelta se non rimboccarmi le maniche e andare avanti.

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