Capitolo 11

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Mentre impazzivo a cercare un modo per recuperare Ece, non sapevo che tutte quelle telefonate e tutte quelle preghiere erano del tutto inutili, perché il destino aveva deciso di servirmi la vittoria su un piatto d’argento.
Quella mattina mi arrivò una telefonata da un numero sconosciuto verso le sette del mattino. Solitamente, ignoravo questo tipo di chiamate ma, date tutte le sventure accadute in quel periodo, decisi di rispondere, indecisa se stavo per ascoltare un’ulteriore disgrazia oppure la prima lieta notizia. Fu la seconda opzione.
<<Pronto… Sono Serkan Polat.>>
<<Serkan Polat, come scordarsi di te… Colui che ha abbandonato la mia migliore amica, l’ha brutalmente investita e poi per concludere la sua opera di distruzione ha anche rapito la mia bambina… Qualche altra disgrazia?>>
<<La disgrazia è averti conosciuta, Hande Demir. No, credo che per te io oggi sia portatore di buone notizie.>>
<<Sono scettica ma sentiamo.>>
<<Quattro giorni fa Ece è venuta a vivere a casa mia.>> Non appena la nominò, il mio cuore iniziò a battere forte. <<Gli assistenti mi hanno detto che sono giorni che si rifiuta di mangiare e bere, che non parla con nessuno e quando è arrivata qui non è stata da meno… Le uniche parole che pronuncia sono “voglio Mami Hande”, costantemente, tutto il giorno. E piange ininterrottamente. Temo… Che la bambina senta la tua mancanza, e per non renderle eccessivamente traumatico il trasferimento, nonché la perdita della madre beh… Credo che dovremmo parlarne di presenza.>>
<<Mi stai dicendo che me la restituisci?>>
<<Non sto dicendo questo. Non la lascerò sola con una pazza. Vieni a casa mia e parliamone.>>
<<Serkan Polat, è la prima volta che vederti mi rende felice.>>
<<Per me resta comunque una tortura. Ti aspetto dopo lavoro?>>
<<Dopo lavoro?! Sono già in macchina, sto arrivando!>> E chiusi la chiamata. Il mio cuore aveva ripreso a battere, e improvvisamente sorridere divenne per me irresistibile. Il mio cuore si era rotto nel sentire Ece così triste, ma al contempo sapevo che vedendola avrei potuto fare qualcosa per riportarla a casa con me. Quel giorno diedi a Ferit tutto il lavoro che c’era da fare e per la prima volta nella mia vita non mi sentii in colpa nel lasciare i miei compiti a qualcun altro: in fondo, Ferit era stato spregevole e avevo ancora una questione aperta con lui… Lavorare un po' di più non gli avrebbe fatto male.
Arrivai a casa di Serkan che quasi volavo. La strada mi sembrò mille volte più lunga di quanto fosse in realtà, e i semafori sembrarono durare secoli. Suonai al citofono di Serkan, lui mi aprii subito e raggiunsi la porta d’ingresso di corsa. Quando mi aprì, era solo lui, Ece non c’era. Fui delusa, ed ebbi paura che fosse tutto uno scherzo.
<<Buongiorno Hande.>>
<<Dov’è Ece?>> Appena pronunciai il suo nome, sentii un grido provenire dall’altra parte della casa e una serie di passi venire verso di noi. Era la mia piccolina.
<<Mami Hande! Mami Hande!>> Gridava, correndo verso di me. Non appena la vidi, un fiume di lacrime sgorgò dalle mie guance, e anche dalle sue. Mi saltò addosso e la strinsi fortissimo. Mi era mancata come l’aria. Serkan distolse lo sguardo e guardò a terra per tutto il tempo. Stringere Ece era la sensazione più bella che avessi mai provato, mi riempiva di gioia.
In quel momento, capii di essere diventata madre.
 
Ece non si staccò di dosso per tutto il tempo, e rimase avvinghiata a me come un cucciolo di koala. Era adorabile. Serkan mi fece entrare nella sua lussuosissima villa, e mi fece accomodare nel suo salotto.
<<Come lo vuoi il caffè?>>
<<Doppio senza zucchero, grazie.>>
<<Vado a preparartelo, torno subito.>>
Detto questo scomparì nell’altra stanza.
<<Mami cosa ti sei fatta alle mani?>> Mi chiese Ece, vedendo le ferite fatte durante quella notte di sconforto che guarivano. In quel momento, capii quanto quel mio gesto sarebbe stato stupido e scorretto nei confronti di quella piccola creatura.
<<Mi sono tagliata in cucina, non ti preoccupare, non fa tanto male.>> Era la verità. Quelle ferite non erano nulla in confronto al dolore che provavo senza di lei. Serkan tornò con i due caffè, provammo a mandare via la bambina per parlare con più tranquillità ma lei non volle saperne, non si staccò nemmeno con le preghiere. Rimase avvinghiata a me e mi strinse fortissimo. Io non la lasciai andare e non l’avrei mai fatto.
<<Allora io… Avrei una proposta da farti.>> Io gli feci cenno di continuare, e lui riprese: <<Questa proposta per me è molto complicata e a dirti la verità nemmeno piacevole. Io voglio solo il bene della bambina, sono suo padre e piano a piano dovrà abituarsi alla mia presenza. Ma capisco che quello che le sta accadendo in questo periodo non rende favorevole la nostra conoscenza e credo che se avesse al suo fianco una persona amica si riuscirebbe ad ambientare meglio nel nuovo contesto a cui è destinata. Quindi, la mia proposta è semplice: vieni a vivere qui con me e la bambina per un po' di tempo, quando Ece si sarà tranquillizzata e ambientata, torneremo ognuno alle nostre vite, io qui con lei e tu a casa tua. Non preoccuparti, si parla di una cosa momentanea e provvederei io per te per tutto quello di cui hai bisogno: cibo, medicine, tutto ciò che vuoi. Al termine di questo periodo, potrai venire a visitare la bambina ogni tanto.>> Rimasi in silenzio. Ece mi strinse più forte, affondando il viso nel mio petto. Iniziò a singhiozzare.
<<Mi dispiace ma non posso accettare. Non posso accettare vitto e alloggio da te, e non è nemmeno corretto. Entri nella nostra vita, ce la distruggi e che cosa vuoi? Che la sconvolgiamo ulteriormente, vivendo in una casa non nostra, adattandoci alle tue abitudini e ai tuoi modi di fare. Io dovrei venire a vivere da te, lasciare la mia casa per aiutarti a fare quello che hai rifiutato di fare per cinque anni? Poi, una volta fatti i tuoi comodi, andare via e vedere la mia piccola ogni tanto. Assolutamente no.>>
<<Lo faccio per il suo bene.>>
<<No. Se volessi veramente il suo bene la lasceresti a me, e saresti tu ad adattarti a noi. Mentre eri chissà dove a fare chissà che, a crescerla insieme a Nila c’ero io, e sono io che ho il diritto di continuare a crescerla ed educarla, non tu. Sei il padre di sangue? Hai messo mezzo DNA dentro di lei? Bene, per ora sei solo questo. Se vuoi diventare suo padre, verrai tu a vivere da me, sarai tu a conoscerci, ad adattarti alle nostre abitudini e poi, quando ti sarai guadagnato l’affetto della bambina e avrai dimostrato di essere veramente affezionato a lei, te la lascerò, e mi farò da parte.>> Dissi, decisa. Lui sospirò. Si gettò indietro con la schiena nel suo divano costosissimo e nuovo di zecca. Si mise la mani in testa.
<<Hande se ti opponi a lasciarmela sarò costretto a chiamare…>> Ece lo interruppe e gli si scagliò contro.
<<Io voglio stare con la mia Mami nella mia casa! Io qua non ci voglio vivere. Voglio andare nella casa al mare e giocare con le conchiglie in spiaggia. Io non mi voglio separare dalla mia Mami, voglio tornare da lei!>> Disse piangendo, e rovesciando le parole dalla bocca velocemente, come il flusso di un fiume.
Di fronte a questo, Serkan si arrese.
Decidemmo quindi per la casa al mare: la casa era più grande e c’erano più posti letto, in più era in periferia, e non in centro città, dove Serkan si sentiva oppresso e disturbato. Io fui ben felice di sfruttare casa dello zio Emre, un po' meno di dover vivere con Serkan. Ma se era necessario questo per non perdere la mia piccola… Mi sarei adattata. Ero pronta a qualsiasi sacrificio per lei, perfino vivere con l’uomo che detestavo di più al mondo.
 

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