Capitolo 4

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Quando avevo iniziato a lavorare ad Istanbul, avevo riallacciato i rapporti con un mio vecchio zio, il fratello più grande di mio padre, che aveva 82 anni. Era l’unica persona che conoscessi che vivesse ad Istanbul in quel periodo perciò, appena seppe del mio trasferimento, mi invitò nella sua casa al mare alla periferia della città. Andavo spesso lì da lui, per aiutarlo e per fargli compagnia. In più, amavo il mare, e quella casa mi era subito entrata nel cuore. Consolidammo ancora di più il rapporto, e divenne quasi come un nonno per me, e io una nipote per lui. Lui non aveva figli né nipoti, era solo, esattamente come me. Perciò, decise di lasciarmi in eredità la casa, così da avere sempre un punto di riferimento nella capitale. Un anno dopo, all’età di 83 anni, morì a causa di un infarto, e mi rimase quella splendida casa come ricordo. Mi trasferii lì per un po', nonostante fosse lontana da lavoro, e quando conobbi Nila, decisi di trasferirmi con lei in centro, abbandonando temporaneamente la mia residenza marittima.
Ogni tanto, però, quando avevo bisogno di una pausa dalla città, andavo qualche giorno lì, e spesso vi portavo anche Nila. Quella sera andò proprio così.
Io e Nila ci conoscevamo da qualche mese, e ancora non eravamo andate a convivere. La casa era ad un solo piano, gialla, con un giardino immenso e ben curato. Era davvero una casa stupenda, e mi dava molta serenità. La dimora distava dal mare nemmeno dieci metri, bastava uscire dal cancello e ci si ritrovava subito con i piedi immersi nella sabbia. Quella sera ero uscita di casa per fare una passeggiata, mentre Nila metteva a letto Ece. Ero sola sulla spiaggia, ed era notte fonda. I piedi sfioravano la sabbia fresca, e l’unica cosa che si poteva sentire era il rumore del mare, le onde che si abbattevano energiche sul litorale e qualche grillo in lontananza. Respirai. Adoravo il mare, era il mio luogo preferito al mondo, se avessi potuto avrei voluto passare il resto della mia vita lì, in quella spiaggia, in riva al mare. Sentii come il richiamo dell’acqua, delle onde, del silenzio, perciò mi spogliai, rimanendo in intimo, e mi gettai in mare, fra le onde. L’acqua era fresca e l’unica cosa che illuminava quella notte era la fioca luce di Venere, che già calava all’orizzonte. La Stella della Sera, unica in cielo, ad indicarmi la via per il mare. Mi distesi a pancia in su, galleggiando e guardando quella stella solitaria. Quel senso di pace unico che si prova quando ti abbandoni alle onde, galleggiando a pelo dell’acqua, mi inondava l’anima. Lo zio Emre me lo diceva sempre, e aveva proprio ragione: i veri amanti del mare non lo frequentano quando il sole picchia forte sulle loro teste, in afose mattine o pomeriggi estivi, quando le spiagge sono affollate di turisti, ma in momenti e condizioni di cui la maggior parte delle persone ha paura, o semplicemente non ha voglia di affrontare. I veri amanti del mare si svegliano quando il sole non è ancora sorto, vanno in spiaggia, e ammirano l’alba, immergendosi in quelle acque tinte di arancione dai primi raggi della giornata; oppure si immergono al tramonto, quando il rosso fuoco del sole dipinge il cielo insieme al primo bagliore delle stelle, e al blu intenso della notte; oppure, per i più temerari, quando il mare è nero, illuminato solo dalla luna, nella notte profonda; oppure, per coloro che vivono la vita al massimo, senza risparmiarsi, nuotare durante un temporale, sotto la pioggia battente, con le onde che ruggiscono. Chi dice di amare il mare e ci va solo a mezzogiorno o alle quattro del pomeriggio, non può dire di amare il mare. Il vero fascino del mare va colto, e può essere colto solo quando mostra la sua selvaggia bellezza, quando il blu si mescola al rosso e al nero e al blu ancora più scuro, e al grigio. In mezzo a quel silenzio, galleggiando fra quelle onde, ti senti finalmente in pace.
Nila uscii dal cancello e mi raggiunse in spiaggia. Quando mi vide in acqua, entrò in agitazione.
<<Hande?! Esci di lì, è pericoloso!>> Gridava dal litorale. Io risi.
<<Nila, non sai cosa ti perdi!>>
<<Hande tu sei pazza!>> Farneticava, mentre io ridevo a crepapelle. Perché avere paura di una cosa così bella, solo perché è notte? Solo perché non lo fa nessuno? Si avvicinò al bagnasciuga e immerse i suoi piedi in acqua, alzandosi il vestito, per evitare che si bagnasse.
<<Hande esci ti prego… A me doveva capitare l’amica folle!>> Si lamentava.
Io mi avvicinai a lei e la presi per mano.
<<E cosa vuoi che sia la vita senza un pizzico di follia?>>
<<Il mare è agitato, è notte e Ece dorme di là, e per di più non c’è nessuno! Vuoi che ci ritrovino domani annegate sulla spiaggia?>> Ridacchiai ancora.
<<Hai ragione, ma ti dico subito una cosa: ci conosciamo da poco, e probabilmente non hai ancora compreso con chi hai a che fare. Io sono fatta così: sono un concentrato mortale di razionalità assoluta e follia incontrollata. Io voglio vivere, Nilufer. Tu vuoi vivere o vuoi limitarti ad esistere?>>
<<Quando diventi mamma, la vita assume un altro significato, e vivere si trasforma in esistere per tuo figlio.>> Scossi la testa.
<<Errato Nila, errato. Un figlio dovrebbe essere una ragione in più per vivere, non una in meno. Io voi genitori non vi capisco proprio. Devi vivere la tua vita al cento per cento, devi sperimentare, amare, lanciarti in imprese mozzafiato per insegnare a tua figlia il vero significato di questo nostro misero passaggio sulla Terra: Vivere! Abbiamo una sola possibilità Nila. Oggi siamo qui e domani potremmo non esserci più. Il momento di vivere è ora. Esistere e basta significa aver fallito.>> Rimase in silenzio, mentre la tenevo ancora per mano. Mi guardò, mi disse di nuovo che ero pazza, e si buttò a mare con me, con tutti i vestiti. Si tuffò, nuotò, rise a crepapelle. <<Eccola l’amica che voglio al mio fianco. Un essere vivente, non esistente!>> Le dissi, ridendo. Lei gettò un grido liberatorio, schizzando l’acqua in alto, che poi ricadde come pioggia su di lei. Quella sera fu magico, assolutamente magico. La nostra amicizia neonata partiva così, al mare, di notte. Ci bilanciavamo perfettamente a vicenda: io così folle, così rivoluzionaria, così sensibile e così tormentata, mentre lei era così tranquilla, così solare, così pacata, così responsabile. Nila mi dava quella quiete che mi mancava, mentre io le davo quella goccia di follia nella sua monotonia. Ma pacata non voleva dire morta. Ogni tanto anche lei doveva lanciarsi con me e fidarsi, così come io dovevo rimettere i piedi per terra quando necessario. Io ero i colori e lei era la tela bianca, e non esiste nessun dipinto che si rispetti senza una delle due cose. Era l’accoppiata vincente, l’intesa perfetta, l’incastro giusto. Nila era l’acqua ed io ero l’incendio: lei spegneva le mie fiamme ed io facevo bollire le sue acque.
Ci abbracciammo. Iniziammo a cantare quella canzone italiana di Domenico Modugno che ci piaceva tanto, con una pronuncia penosa, ma cercando di enfatizzare al massimo ciò che stavamo dicendo.
<<Meraviglioso, ma come non ti accorgi, di quanto il mondo sia Meraviglioso! Meraviglioso! Perfino il tuo dolore, potrà guarire poi, Meraviglioso! Ma guarda intorno a te, che doni ti hanno fatto, ti hanno inventato il mare…>> Canticchiavamo in coro, abbracciate mentre ballavamo in acqua. Era poesia, era vita.
Uscimmo dal mare e ballammo un valzer sulla sabbia, accompagnate da Modugno. In quel momento, ballando sulla spiaggia di notte, capii che Nila sarebbe stata la mia migliore amica per sempre. Oddio, attenzione, io non credo nei “per sempre” ma Nila… Nila mi ispirava quello. Nila era un eterno per sempre.
<<La notte era finita, e ti sentivo ancora, sapore della vita… Meraviglioso…>>

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