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Manuel mette a letto Bruno, e si rigira il telefono tra le mani, seduto sul suo divano. Quella sera non riesce nemmeno a telefonare alla madre, tanto è impegnato a ripercorrere la giornata con la mente.

Mentirebbe se dicesse che Simone non gli ha reso le cose estremamente semplici, riguardo la questione mamma di Bruno, ma mentirebbe anche se dicesse di non star morendo dalla voglia di sapere come lui si senta.

Decide di cedere alla tentazione.

"Grazie per oggi, stai bene?" digita e invia. Poi nasconde il telefono come se potesse esplodere da un momento all'altro.

Riceve una risposta dopo circa cinque minuti.

"Sto bene, e poi abbiamo mangiato il gelato ;)" legge, e sorride, come se l'altro potesse vederlo.

Sorride perché se le ricorda tutte le volte in cui aveva propinato a Simone un gelato al cioccolato, dopo aver trascorso del tempo al cimitero da Jacopo, con il semplice obiettivo di far tornare un sorriso sul suo volto. Gli scalda il cuore sapere che Simone abbia pensato di fare lo stesso con suo figlio.

Non ha il tempo di rispondere che subito sente una nuova vibrazione.

"Mi dispiace davvero, Manuel" legge ancora, e vorrebbe teletrasportarsi in quel preciso istante tra le braccia di Simone.

Opta per un "grazie" accompagnato da un cuore rosso, e riceve un rapido "buonanotte Manu", al quale risponde altrettanto velocemente.

Va a dormire con la speranza di poter, un giorno, colmare il vuoto che sente in quel letto, e nel suo cuore, senza sapere che c'è qualcuno che lo sta già facendo.

La mattina seguente è sabato, la scuola è chiusa e Manuel ha il giorno libero. Dopo aver preparato la colazione, come da tradizione, sveglia Bruno.

«Topo, sveglia, è sabato!» lo avverte, sedendosi accanto a lui.

Come da copione, il bambino subito spalanca gli occhi, felice di quella specie di routine del sabato mattina.

«In braccio?» chiede, e Manuel sbuffa divertito.

«Ma non sei troppo grande per questo tu Bru?» ridacchia.
«No, Simo mi prende sempre»
«Eh Simo Simo, sempre a lui pensi»
«Mi piace Simo» confessa placidamente Bruno, chiudendosi nelle spalle, con l'innocenza tipica dei bambini.

«Eh, pure a me» sospira Manuel, sovrappensiero.

«Che facciamo papà?»
«Ora mangiamo le crêpe»
«E poi?»
«E poi non lo so Bruno, vediamo, mh?»

Quella mattina suo figlio sembra straordinariamente impaziente, e Manuel nemmeno capisce il perché.

Mentre cerca di lavare le stoviglie appena utilizzate, sente Bruno abbracciare la sua gamba, e sa che in questi casi è in procinto di avanzare una richiesta scomoda.

«Papi Manu» si sente chiamare, e sbuffa un sorriso, perché suo figlio di quattro anni sta letteralmente cercando di arruffianarsi il padre.

Abbassa lo sguardo, incrociando quegli occhi furbi.

«Topo, dimme» sospira.
«Chiami Simo?» chiede, sorridendo dolcemente.

Manuel strabuzza gli occhi. Telefonare a Simone implicherebbe un livello di confidenza che non avevano raggiunto, prima di quel momento.

«Perché non andiamo al parco invece? Ti faccio fare due giri sulle giostre!» propone entusiasta Manuel, cercando di dissuaderlo.

Pensa anche di esserci riuscito, perché scorge un luccichio negli occhi di suo figlio, che sembra riflettere sulla proposta.

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