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Hondu e Arya lanciavano frecce una dietro l'altra, Volstagg fracassava ossa con mazza e ascia, Fandral e Lady Sif si facevano largo a forza di spadate, Loki attaccava usando affilati pugnali e magie, infine Thor abbatteva ogni nemico con Mjolnir e con fulmini saettanti. Erano uno squadrone formidabile che, pur con tutte le divergenze che c'erano state e che tutt'ora c'erano tra loro, si coprivano le spalle gli uni con gli altri. Ma per quanto fossero combattivi e determinati a sopravvivere, i Giganti di Ghiaccio sembravano moltiplicarsi e intenzionati a non farli tornare ad Asgard.

L'elfa scoccò una freccia colpendo in pieno petto un nemico, poi si voltò per affrontarne un secondo, che la stava raggiungendo con una clava chiodata di denti affilati. Arya allungò un braccio dietro la schiena per prendere un dardo dalla faretra, ma la sua mano si chiuse nel vuoto: aveva appena usato l'ultimo. Si piegò per evitare il colpo sferzato violentemente dal gigante, poi fece una capriola per evitarne un secondo. Doveva cercare una freccia nel campo di battaglia, e anche rapidamente, altrimenti quel gigante l'avrebbe spappolata con la mazza. Balzò oltre un corpo e si protesse dalla sferzata successiva coprendosi la testa con le braccia e nascondendosi dietro una stalagmite, che andò in frantumi, schizzando schegge di ghiaccio ovunque. Strinse i denti per trattenere un grido quando dei frammenti affilati come rasoi le graffiarono la pelle, mentre altri le si conficcarono sulle braccia. Si lanciò in avanti quando il gigante cercò di colpirla ancora una volta picchiando e scalfendo il pavimento roccioso.

Arya corse al riparo dietro a un masso e si osservò le braccia: sembrava essere vittima di un istrice dagli aculei di ghiaccio. Cominciò a estrarli uno ad uno, poi si tolse il tessuto di lino e canapa dalle spalle, lo strappò in due e si fasciò gli avambracci. Si affacciò oltre il masso per osservare la situazione e per poco non rimase schiacciata sotto la clava del gigante che la stava perseguitando. Ebbe i riflessi abbastanza rapidi da gettarsi di lato appena in tempo per schivarlo.

«Credevi di sfuggirmi?» ghignò quello, soddisfatto di averla ormai in pugno.

Arya era, difatti, con le spalle al muro in una nicchia della caverna. Si guardò intorno in cerca di una via di fuga che non c'era, poi il suo sguardo si alzò sugli occhi rossi del Gigante di Ghiaccio. Si crucciò e il suo cuore si riempì di determinazione: non era sua intenzione morire in quel regno desolato, con quelle pozze rosse come il sangue come l'ultima cosa che avrebbe visto in vita sua.

D'un tratto, fu come se il tempo procedesse al rallentatore: al centro del suo petto sentì un ruggito incendiario urlare la sua ribellione a quel destino. Un calore rovente divampò in tutto il suo corpo, emettendosi all'esterno e provocando una corrente ascensionale d'aria ardente che le sferzava i capelli sciogliendoli dalla treccia. Protese le braccia in avanti e ghignò vedendo l'espressione del gigante mutare: non rideva più della sua preda diventata predatore. Il terrore si impossessò degli occhi rossi del nemico quando vide il fuoco divampare dai palmi dell'elfa.

Arya sentiva di avere il controllo della fiamma, di poterla gestire e indirizzarla dove voleva. Sapeva che l'avrebbe protetta, che non avrebbe permesso che morisse. Era come un parassita che proteggeva il suo ospite per la propria sopravvivenza: se l'elfa cadeva in quella battaglia, la fiamma si sarebbe spenta per sempre.

Il gigante indietreggiò, il ghiaccio si scioglieva e l'acqua cominciava a gocciare dalle pareti tutt'attorno a loro, finanche a evaporare laddove si trovava Arya.

«Che razza di mostruosità sei?» ringhiò il nemico.

La ragazza strinse le labbra e scagliò una palla di fuoco contro il gigante, che subito cominciò a colpirsi addosso per soffocare le fiamme, gridando dal dolore.

«Quella che vi sconfiggerà» disse lei.

Notò subito altri due giganti correre verso di lei con le armi in pugno e Arya ripeté il gesto di lanciare fiamme incandescenti. Poco a poco, la caverna raggiunse temperature cocenti, il ghiaccio scomparve da ogni angolo roccioso e i nemici indietreggiarono per il timore e per l'incapacità di sopportare il calore raggiunto.

Aria scottante turbinava intorno alla ragazza, i capelli le frustavano il viso, le fiamme le bruciarono e incenerirono il tessuto con cui aveva bendato gli avambracci.

Con ormai la tribù dei giganti in fuga, gli asgardiani erano gli unici rimasti nella grotta, tutti con la fronte imperlata di sudore e le vesti incollate addosso.

«Arya! Fermati!» le disse Thor cercando di avvicinarsi.

La ragazza strinse i denti e cercò di ordinare a se stessa di estinguere il fuoco, senza successo. Aveva perso il controllo. O forse non lo aveva mai avuto: era stata la fiamma a controllare lei.

«N-non ci riesco!» gridò disperata, la voce che echeggiò tra le pareti roventi della caverna.

Loki si avvicinò fin dove l'aria bruciante glielo permetteva. «Sì che ci riesci!» le disse.

Arya lo guardò, poi abbassò lo sguardo sui palmi infuocati. Strinse i pugni e si concentrò sulla fonte della fiamma: era al centro del petto che la sentiva nascere; era lì che doveva trovare il modo di spegnerla. Chiuse gli occhi e guardò dentro di sé.

Adesso basta, pensò. Spegniti.

Il fuoco continuò a danzare allegramente dalle sue mani.

Ho detto: spegniti!

Sentì un fischio acuto nella testa, talmente stridente da farle male. Cadde sulle ginocchia, ma cercò di mantenere la concentrazione.

Spegniti!

La fiamma protestò ancora, pungolandola con quel grido rabbioso e tagliente come una lama incandescente. La ragazza non si sarebbe lasciata sottomettere, altrimenti la fiamma l'avrebbe tramutata in un Demone del Fuoco e avrebbe avuto il totale controllo del suo corpo.

Arya sbarrò gli occhi: per la prima volta le fiamme la scottavano. Vide le lingue di fuoco ustionare e bruciare le sue mani, poi i polsi e pian piano risalire sulle braccia.

Urlò di dolore, non aveva mai provato nulla del genere.

«No!» esclamò qualcuno degli asgardiani.

Arya stava per svenire. Trovò allettante il pensiero di abbandonarsi: sarebbe stato più semplice perdere i sensi e morire senza sofferenze, mentre il fuoco divorava il suo corpo. Fu quando stava per cedere che un paio di mani fredde come il ghiaccio la afferrarono all'altezza dei gomiti, dove erano appena arrivate le fiamme risalenti. Guardò di fronte a sé e incrociò lo sguardo di Loki.

«Serve un po' di refrigerio?» le disse, la carnagione che per reazione cominciava a tingersi di blu.

«Stammi lontano! Morirai!»

Loki ghignò. «Fiammella, io sono un dio» disse con alterigia.

La sua vanagloria era ben riposta: il fuoco smise di arrampicarsi sulle braccia della ragazza, ritraendosi al tocco gelido di Loki. Lui fece scorrere le mani dai gomiti ai polsi di Arya, poi fissò l'elfa negli occhi. Ora toccava a lei.

La ragazza annuì, poi ritentò quanto fatto poco prima. Chiuse gli occhi e si concentrò con la mente al centro del suo petto.

Spegniti.

Sentì ancora una volta il grido perforante della fiamma, ma era debole e quasi supplichevole.

Vattene, il mio corpo non ti appartiene. Non mi trasformerai in un Demone del Fuoco!

La fiamma si lamentò ancora.

«Vattene!» gli ordinò infine a gran voce.

Ci fu un grande boato, l'aria calda che turbinava intorno all'elfa esplose tutt'attorno e Arya sentì come un nastro infuocato scivolare via dal suo corpo e disperdersi nell'ambiente come fumo.

Ce l'aveva fatta. Ce l'avevano fatta, lei e Loki.

Arya sorrise al Dio dell'Inganno, poi, spossata e dolorante, perse i sensi e cadde tra le sue braccia.

***

Afa, afa... tanta afa! 🥵


LOKI - Set me on fireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora