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Quella mattina mi era ritrovata davanti allo specchio con un sorriso ebete e gli occhi insolitamente luminosi. Di solito avevo gli occhi limpidi quando avevo la febbre e avevo subito temuto che potesse essere per quello, quindi, oltre a tastarmi più volte la fronte, avevo chiamato la reception per chiedere se avessero un termometro. Ma sia la mia capacità di misurazione della temperatura col palmo della mano che il misuratore elettronico, che un cordiale facchino mi aveva consegnato alla porta, standomi ad almeno un metro e mezzo di distanza e porgendomi il congegno stringendolo da un'estremità piccolissima per evitare al massimo un possibile sfioramento e contagio, entrambi avevano segnalato concordando che non avessi la febbre. Inoltre, se la causa del luccichio negli occhi fosse davvero stata una questione di salute, non riuscivo a spiegare il sorriso che continuava imperterrito a starsene sulle mie labbra. Poi era arrivato un rintocco alla porta inaspettato. Secondo la scaletta, quella mattina non ci sarebbero state altre scene da girare né scatti fotografici che includessero gli abiti che avevo confezionato, almeno non prima dell'ora di pranzo, dunque avevo la mattinata libera. Ma alla porta mi ritrovai Callum appoggiato allo stipite, i capelli legati in un man bun con alcuni ciuffi che gli ricadevano sulla fronte e le sopracciglia cespugliose inarcate in un cipiglio pensieroso. Era incredibilmente bello con indosso una felpa bianca di maglina che gli fasciava perfettamente il torace e che evidenziava il solco tra le clavicole grazie allo scollo a V; le maniche, che delineavano i lineamenti dei muscoli, erano tirate su e i tatuaggi spiccavano risaltati dal colore chiaro dell'indumento sembrando più nitidi, vivi.

«Ehi» mi salutò appena i nostri occhi si allacciarono.

«Ehi» ricambiai il saluto. Iniziai inspiegabilmente a sentirmi imbarazzata e mi chiesi, senza ricordare, se fossi decente nell'aspetto. Avevo lavato i denti?

«Hai già fatto colazione? Vorrei uscire da questo posto e prendere un po' d'aria prima che qualcuno venga a rapirmi.»

Sorrisi davanti alla sua espressione contrita, in effetti, dai modi circospetti sembrava che stesse tentando di passare inosservato. «Non ancora.»

«Perfetto, andiamo allora.» Senza darmi neppure il tempo di controbattere, si sporse oltre l'uscio, verso la poltrona accanto alla porta su cui la sera prima avevo lasciato il mio cappotto e la scheda elettronica per accedere alla camera, e mi trascinò fuori.

«Aspetta, non ho il cellulare» protestai invano. Aveva già richiuso il battente alle nostre spalle e a lunghe falcate si dirigeva agli ascensori, tenendomi per un polso.

«Meglio, così non potranno rintracciare nessuno dei due» mi confessò con espressione seria.

Scoppiai a ridere mentre lui mi sospingeva delicatamente nell'ascensore. «Se ti conoscessi meglio, potrei affermare che stai tentando di scappare, Callum Thompson.»

«Sta a te, Anna. Se lo vuoi, io sono qui» mi rispose osservandomi di profilo, con uno sguardo profondo e limpido, e lasciandomi senza fiato.  Cosa voleva dirmi? Mi stava forse proponendo di approfondire la nostra conoscenza? Rimasi sbalordita e paralizzata, cosa che lui notò subito. «E comunque sì, sto scappando», confessò in tono cospiratorio. Il suo tentativo di sviamento fu piuttosto lampante e gli fui grata del salvagente che mi lanciava, per cui cercai di tornare a sorridere. Non ero mentalmente pronta per simili discorsi, oltretutto stavo ancora cercando di sciogliere la matassa che annodava i miei pensieri e cercare di capire cosa mi stesse accadendo.

Giunti alla hall, Callum bloccò al volo un inconsapevole facchino, a cui affidò subito il compito di perlustrare il territorio e di informarlo se fosse in vista un membro qualsiasi della nostra compagnia. Quando ricevemmo il segnale per il via libera, Callum quasi mi sollevò di peso perché uscissimo indisturbati. Ci ritrovammo in una caffetteria seduti ad un tavolo appartato, con me che ancora non riuscivo a smettere di ridere.

Come ti vesto per San ValentinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora