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Goccioline d'acqua scendevano dalle ciocche libere sulla fronte della capigliatura di Callum, per rotolare lungo il collo spesso e scivolare sui trapezi, giù tra le clavicole, dove cominciava l'incastro armonioso e artistico dei tatuaggi. Osservai ammaliata quelle linee, dalle forme geometriche sinuose, scattare ad ogni suo movimento, la peculiarità di ogni soggetto magistralmente riportata e la varietà. Ogni immagine era diversa dall'altra, ciascuna con il proprio significato, eppure ognuna si incastrava all'altra infondendo un senso di armonia, bellezza, fierezza, possanza, orgoglio, equilibrio, tutte qualità che corrispondevano alla sua personalità, al suo modo di essere e di approcciarsi alla vita. E a congiungere ogni immagine, c'erano linee precise e nette, ombreggiate, che formavano ulteriori immagini intricate di cui non conoscevo il significato, ma affascinanti e audaci. Callum aveva davvero trasformato il suo corpo in un'opera, ma la magnificenza di tale opera non constava semplicemente nei tratti ben delineati e nella meticolosità che l'artista, o gli artisti, erano stati in grado di infondere nel compito, ma in lui, perché constatai definitivamente che quelle piccole opere fossero riflessi della sua anima e che fosse così fiducioso e puro da metterli in mostra agli occhi del mondo intero. E lo ammirai per il suo grande cuore, tracciando con i polpastrelli delle dita le linee scure che aveva tatuate tra le clavicole.

«Quando hai cominciato a farti tatuare?» gli chiesi, con un bisogno improvviso di saziare la mia curiosità e sapere di più su di lui.

«A diciotto anni.» mi rispose con un sorriso, probabilmente in ricordo di quel momento, di quella sua prima volta. «Mio padre ne aveva di diversi e da ragazzo gli avevo chiesto spesso di volerne fare alcuni anche io. All'epoca della scuola, potevo già vedere ragazzi, miei coetanei, o ragazzi conosciuti in giro, sfoggiare con arroganza e superbia i loro e mio padre pensava che volessi semplicemente imitarli, che fosse quella la ragione per cui insistevo. Così, un bel giorno, sfiancato dalle mie continue richieste mi disse che avrei dovuto aspettare di compiere diciotto anni prima, che allora sarei stato maggiorenne e abbastanza consapevole di me stesso da sapere se fosse effettivamente quello che desideravo, e non solo un capriccio passeggero.»

Sorrisi nel sentirlo raccontarsi, sorrisi per l'amore che provava per suo padre traboccare in ogni sua parola. «Non era un capriccio passeggero.»

Allontanò lo sguardo dal mare per affondare le sue pozze cristalline nei miei occhi. «No, decisamente non lo era.» Mi sorrise, accarezzandomi il viso. «E mio padre se ne accorse, vide che studiavo i vari stili, i simboli e cercavo informazioni su ciascuno per sapere esattamente cosa poi avrei portato per sempre con me sulla pelle, ed iniziò ad indagare con me. Lui aveva questi, esattamente nello stesso punto.» Mi indico i mandala dalle forme floreali tatuati su entrambi i dorsi delle mani. «Mi spiegò cosa significavano, confidandomi che appena li avesse visti e saputo cosa rappresentassero li aveva voluti subito. Lui diceva che nella vita ogni azione necessitasse di equilibrio, di armonia e forza, che per affrontare ogni sfida, o anche la più semplice delle giornate, ci fosse bisogno di perseveranza e coraggio, di fiducia. Lui pensava che la superficialità fosse un peccato capitale. Che la maturità di una persona avvenisse quando questa raggiungeva la consapevolezza di sé stessa e che chi si rintanava negli inganni, nei raggiri e nella superficialità, non fosse altro che un debole. Diceva sempre che nulla durava per sempre e costringersi a non essere liberi e fieri di sé stessi fosse una disgrazia peggiore di ogni male che potesse capitarci.» Gli angoli delle sue labbra si piegarono in un sorriso sbilenco e malinconico. «Forse, alcuni suoi pensieri, erano un tantino drastici, ma metteva il cuore in tutto quello che faceva ed era l'uomo più umile che io abbia mai conosciuto. Ad ogni modo, pensò che i mandala fossero l'elemento che più lo rappresentavano e che raccontassero di lui verità che solo i più saggi e attenti avrebbero saputo leggere. Il giorno dopo i miei diciotto anni, gli chiesi di accompagnarmi dal suo stesso tatuatore, a cui commissionai lo stesso lavoro che aveva fatto a mio padre, ma con qualche elemento che simboleggiasse la mia aspirazione a diventare un uomo forte e giusto, un uomo di cui mio padre potesse essere orgoglioso.»

Come ti vesto per San ValentinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora