Capitolo 34 • Altair

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Quando mi svegliai, il freddo siderale che mi aveva congelato fin dentro le ossa era quasi sparito. Rimaneva però la sensazione di essere stato rotto in miliardi di pezzi.

Mi sentivo uno schifo.

Sbattei le palpebre. Ci misi qualche secondo per ricordarmi che cosa mi fosse capitato quella notte. Strabuzzai gli occhi per qualche secondo, prima di accorgermi della mano calda di Evelyn rinchiusa dentro la mia.

Spostai lo sguardo sul suo viso. Aveva la testa appoggiata al braccio, la mano tesa a trovare la mia sotto quelle quattro coperte con cui avevo cercato di trovare sollievo.

Aveva la bocca leggermente dischiusa, e gli occhi si muovevano veloci sotto le palpebre, segno di un sonno disturbato.

Dolorante e indolenzito, mi raddrizzai, liberando la mia mano dalla sua e sedendomi con la schiena contro la testiera del letto.

Non appena mi mossi, Evelyn si svegliò. Rimasi a guardarla raddrizzarsi. Quando il suo sguardo si posò su di me, arrossì leggermente, come se fosse imbarazzata dalla situazione.

Rimasi in silenzio, in attesa che parlasse. Ero arrabbiato, deluso. E non lo ero per me: non mi importava nulla di quello che avrebbero detto a me, le loro parole mi sarebbero entrate e uscite dalle orecchie.

Io non dovevo rispondere a loro delle mie azioni, ma Evelyn sì.

E, giustamente, loro non sarebbero stati contenti di quello che era successo. Nemmeno un po'. Evelyn ci aveva fatto correre un pericolo inutile, un assurdo pericolo che avrebbe potuto finire nel peggiore dei modi.

Avrei dovuto prevederlo subito, nel momento in cui mi aveva detto «dobbiamo fare una cosa, Will». Avevo fatto l'errore di acconsentire senza fare domande, non pensando nemmeno lontanamente a un gesto così stupido, così impulsivo.

Avevo capito solo dopo il perchè lo avesse fatto. Solo nel momento in cui mi aveva detto che quella donna era sua nonna, la madre di Alya Lewis.

Come se si accorgesse solo allora di averla distesa sul materasso, Evelyn ritrasse di colpo la mano, arrossendo ancora di più.

Si guardò attorno come per cercare una via d'uscita da quella situazione, sfregandosi le mani sulle ginocchia.

«Beh, come stai?» esordì per rompere il silenzio.

«Sono vivo» risposi, lasciando ricadere sulle gambe le coperte, che ormai facevano addirittura caldo.

Rimasi a torso scoperto: la donna aveva strappato le maglie che avevo addosso con un coltello. Fortunatamente ci trovavamo nell'Altopiano del Fuoco, posto in cui durante il giorno, inverno o estate che fosse, c'era tutt'altro che freddo.

«Hai ancora freddo?» deglutì, distogliendo lo sguardo.

«No.»

«Will...» cominciò. «Lo so che sei arrabbiato, ma dobbiamo parlare di quello che ti è successo.»

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