Capitolo sette

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                          Dafne

Seduta al tavolo della sala riunioni, provo a controllare il battito cardiaco. Se ripenso a ciò che è successo poco fa, o meglio, a cosa poteva accadere, sento una morsa allo stomaco. Sono arrivata alla Royal felice per via di Christopher mentre adesso ho il cuore che batte all'impazzata a causa di William. Che diavolo mi prende?
«Ti vengono le rughe se pensi troppo.» Addison prende posto accanto a me.
Accenno un piccolo sorriso, e la tensione si scioglie. C'è qualcosa che ti turba?» mi domanda nell'esatto momento in cui Marisol e William fanno capolino nella sala. William mi cerca con lo sguardo, ma io lo tengo fisso altrove tutto il tempo.
«Ne parliamo dopo.» bisbiglio, e Addison annuisce. Marisol presenta, in un ottimo francese, William ai suoi futuri soci. Involontariamente, i miei occhi cadono su di lui che con le labbra, le stesse labbra che poco prima erano ad un soffio dalle mie, mima una semplice frase.
Non sbaglio mai, dolcezza.
«I risultati parlano chiaro. Di questo passo, la Royal sarà tra le più rinomate aziende del 21esimo secolo, se non la più prestigiosa. Ed è per questo che per noi è così importante arrivare nella città della moda per eccellenza, Parigi.»
I soci francesi ascoltano interessati ciò che William ha dire tramite la traduzione perfetta di Marisol.
«Cosa stiamo aspettando, allora? Vi aspettiamo in Francia per promuovere il vostro marchio.» William sorride soddisfatto mentre stringe la mano ai suoi nuovi partner in affari. Ogni fibra del suo corpo trasuda sicurezza, voglia di fare, e brama di arrivare al successo.
«Sarà anche uno stronzo per come ha trattato Lucas, ma è sexy da paura quando mette in chiaro ciò che vuole.» Addison guarda William con adorazione. Ed è quando incrocio nuovamente il suo sguardo che mi accorgo che lo guardo nello stesso modo.
Quando la riunione termina, dubito se raggiungere Addison o restare a parlare con William. A salvarmi dal decidere è lui che si dirige verso di me.
«È o non è la migliore?» Incrocia le braccia al petto, e a quel movimento la stoffa dei vestiti si stropiccia per via dei muscoli.
«È stata eccezionale.» Guardo Marisol accompagnare i francesi alla porta.
William si fa più vicino.
«Ti fidi di me, allora?» Mi rivolge uno dei sorrisi del suo repertorio.
«Sto iniziando a farlo.» replico, pensandolo davvero.
«Dove vuoi pranzare?» mi domanda, curioso. Ora che la riunione è terminata anche lui è più sereno.
La sua domanda mi spiazza. Nonostante ci fossimo accordati poche ore prima, ora la sua proposta mi sembra assurda, quasi indecente.
«Vuoi ancora andare?»
«Tu no?» Tentenno, e lui lo nota.
«Se è per prima, mi dispiace. Non volevo metterti a disagio o altro, anzi. Vorrei che il nostro rapporto fosse il più trasparente possibile, Dafne. Sei l'unica qui su cui so di poter contare, e non voglio in alcun modo rovinare le cose tra noi.» Mi spiega, guardandomi negli occhi.
«Non mi hai messa a disagio, Will. Non credo potresti mai.» Sorride.
«Ti piace la cucina italiana?» Mi domanda, e al solo pensiero di mangiare pasta il mio stomaco brontola.
«L'adoro.» William ridacchia. 
«Seguimi, allora. Conosco un posticino davvero carino.» Con un piccolo sorriso lo seguo fuori.       Il ristorante in cui pranziamo è gremito di uomini d'affari, donne in carriera e imprenditori vari. In un'altra occasione mi sarei sentita un pesce fuor d'acqua, ma accanto a William no. Al suo fianco, mi sento esattamente dove dovrei stare.
«Parlami di te, Dafne.» William mi versa il vino, gentile.                              «Cosa vuoi sapere?»                     «Ogni cosa.» replica, facendomi sorridere.                                                Gli racconto allora della mia infanzia, dei miei studi, e del mio sogno di lavorare per la Royal.    «Alla facoltà di economia non si parlava d'altro. Era l'obiettivo di tutti, là dentro.» William sorride, soddisfatto. Deve esser un grande orgoglio per lui esser arrivato a questi livelli. «Se ti avessi conosciuto prima, avrei mandato mio padre in pensione anni fa.» Ridacchio, divertita.     
«Non ti ho mai visto alle sue cene.»  «Non è mai stato un mio interesse partecipare. Finora, almeno.» Sorrido. Ci conosciamo solo da pochi giorni eppure ho come l'impressione di conoscerlo da sempre. Non ho idea di come sia possibile, ma non mi sarei mai aspettata di instaurare un legame simile con lui. Credevo che non gli avrei neanche mai rivolto la parola, e invece siamo a pranzo insieme.                                «Tu, invece? Scommetto che l'università pubblica non sai neanche che cosa sia.» William sorride, e le sue adorabili fossette compaiono.                                              «Ho studiato ad Harvard, lo ammetto, ma mi sono laureato prima di chiunque altro nel mio corso. Anche se per molti è così, non sono soltanto un bel faccino.»          «Non l'ho mai pensato.» Si lecca le labbra quando qualche goccia gli inumidisce la bocca. Mi concentro sul menù, evitando di guardarlo ancora. Non capisco cosa mi prende. O perché distogliere lo sguardo dal suo sia più difficile a dirsi che a farsi. «Voglio che diventi un'abitudine, la nostra.» Accenna, ammiccando a noi due.                        «Voglio che tu sia i miei occhi, quando io non ci sono.» Aggiunge, sistemandosi i polsini della camicia. La sua proposta mi lusinga, ma al tempo stesso mi mette in una posizione scomoda.       
«La gente chiacchiera, Will. Non voglio che pensino che tu abbia dei favoritismi. Diventare la tua assistente personale, pranzare insjeme...»                                     
«Ma ce li ho.» Sorride.                          «Sapevo che quei cupcakes sarebbero stati una pessima idea.» Replico, e William scoppia a ridere. Il pranzo prosegue in maniera tranquilla. Mi racconta della sua infanzia, di come suo padre lo abbia influenzato nella scelta degli studi e di come lo abbia aiutato a diventare la persona che è oggi. Mi racconta che nessuno credeva in lui, se non se stesso e che ha dovuto faticare il doppio, per ottenere il minimo riconoscimento da parte dei suoi compagni di corso. «Quando sei ricco, le persone credono che la tua vita sia perfetta e che tu abbia la via spianata. Ma non è così, non lo è mai. Soprattutto se per vivere in pace con te stesso devi guadagnarti il rispetto ogni giorno. È vero, sono nato fortunato, ma tutto quello che ho avuto dopo, me lo sono guadagnato. Non mi hanno mai regalato nulla, mai. Se ho tutto questo oggi, è a me che lo devo. A me, e a nessun altro.»                             «Devi esser molto fiero di te.» Annuisce.                                              «Ho lavorato sodo per arrivare dove sono, e tutto ciò che adesso desidero è godermi il mio successo. Ho in mano un impero, Dafne. Il mio.»  Il modo in cui parla del suo lavoro è maledettamente sexy, ma questo me lo tengo per me.                                 «Sei una persona parecchio determinata.» William si inumidisce le labbra.                                                «In un modo o nell'altro, ottengo sempre ciò che voglio. Soprattutto se lo desidero da morire.» Sorride mentre pronuncia l'ultima frase.        «C'è qualcosa che desideri in particolare, Will?»                             «Non in questo momento. Attualmente, ho tutto ciò di cui ho bisogno.» Replica, ma mi dà come l'impressione che non si stesse riferendo alla sua vita in generale, ma a me, seduta lì con lui, a quel tavolo.         

                                                                                        ***      

Torno alla Royal con il sorriso stampato sulle labbra e William al seguito. Quando mi fa passare per prima, sotto lo sguardo divertito degli addetti alla sicurezza, sento le guance tingersi di rosa.
In corridoio fortunatamente c'è Addison che vedendoci insieme, schiude le labbra, sorpresa. Saluto William e vado da Addison che freme dalla voglia di sapere tutto.
«Che mi sono persa?» Addison sposta lo sguardo da me a William, ora intento a discutere con Marisol e altri.
«Niente, che ti sei persa?»
«Te la fai con il capo? Da quando?»
«Era solo un pranzo di lavoro, Addie. Non viaggiare.»
«Non me la racconti giusta.» La guardo, ma sta sorridendo quindi mi sta prendendo in giro.
Torniamo a lavoro e senza neanche accorgercene arriva l'orario di chiusura.
«Torni con me?»
«Passa a prendermi Christopher.» Addie sorride.
«Ci vediamo domani, allora. Ciao tesoro.» Mi bacia le guance e con la sua lunga chioma scura si avvia verso l'uscita. Esco dall'ufficio e imboccando il corridoio, passo inevitabilmente davanti lo studio di William. La porta è socchiusa, ma non è solo, nella stanza. Marisol è lì con lui. E dalla vicinanza, capisco che se entrassi sarei soltanto di troppo. Da qui non sento cosa si dicono, ma con Marisol che gli liscia la cravatta e gli fa gli occhi dolci non ho problemi ad intuire la natura dei loro discorsi. Senza farmi notare, mi dileguo, ma una volta all'aria aperta non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione di fastidio. Come se William mi dovesse qualcosa, quando in realtà, tra noi non è mai successo e non dovrà mai succedere niente.

                                                                            

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