Capitolo venticinque

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                        Dafne

Lunedì mattina torno alla Royal. Non ho notizie di Will da giorni, e sinceramente, meglio così. Non so neanch'io dove ho trovato la forza, se non il coraggio, di tagliarlo fuori dalla mia vita. L'ho distrutto, e farlo ha distrutto anche me.
«Chi non muore si rivede, Dafne.» Denver mi stringe in un abbraccio. L'accenno di barba sul suo viso mi pizzica le guance.
«Denver, ciao.»
«Come stai? Ho saputo del padre di Christopher, mi dispiace.»
Gli stringo le mani tra le mie.
«Sta leggermente meglio, ma abbiamo ancora bisogno di un donatore.»
«Appena stacco, vado in ospedale. Se posso aiutarti, lo faccio con piacere, ragazzi.» Ringrazio Denver con un sorriso e mi reco nel mio ufficio.
William fortunatamente ancora non c'è, e a quella consapevolezza tiro un sospiro di sollievo.
Non so se riuscirò ad affrontarlo oggi. O se lui vorrà ancora avere a che fare con me, dopo quello che ci siamo detti in ospedale.
Arriva mentre sono in pausa caffè con Addison. E dallo sguardo sul suo viso, mi rendo conto che il William che ero solita conoscere, ormai non esisteva più.
«Vi voglio a lavoro, immediatamente. Soprattutto lei, signorina Young. Si è presa troppi giorni di permesso.» Afferma, il tono freddo come il ghiaccio.
Addison mi guarda, io ricambio la sua occhiata. Ma non ho il tempo di indagare o fare domande perché così il fastidio di William è evidente. Torno nel mio ufficio, e  naturalmente William mi segue.
«Questo è tutto il lavoro arretrato di cui deve occuparsi. Lo voglio terminato entro due ore.» Un ammasso di documenti e fogli in disordine finisce sulla mia scrivania in perfetto ordine.
«Ma Will, è letteralmente impossibile.»
«Signor Cooper, signorina Young. Non siamo amici.» Mi corregge. Mi decido allora a sollevare lo sguardo dalle scartoffie e puntarlo nei suoi occhi verdi.
«Siamo a questo punto?»
«Dimmelo tu.» Replica, in tono di sfida, incrociando le braccia al petto.
Sospiro, ma non protesto. Con William è una battaglia persa.
Mi metto subito a lavoro, sotto l'occhio attento di William.
All'ora di pranzo, esattamente due ore e mezza dopo, ho terminato.
Porto i documenti a William che li esamina.
Mentre mi dirigo verso la porta per andare a pranzo, mi richiama.
«Li voglio al computer. Cartacei potrebbero andar persi.» Mi volto lentamente.
«Da quando?»
Nonostante l'atteggiamento serio e distaccato, noto un piccolo sorriso.
«Da adesso. Nuove politiche aziendali. Prego.» Mi indica nuovamente la mia postazione.
Alterno lo sguardo tra la sedia dietro la mia scrivania e William.
«Non ho tutto il giorno, signorina Young.» Torno al mio posto, e lui esce dall'ufficio.
Meno di un'oretta dopo, William torna. E non a mani vuote.
«Ho pensato volessi fare una pausa.» Mi porge il pranzo e nel farlo, le nostre dita si sfiorano. Scosse adrenaliniche mi attraversano il corpo, ma fingo sia un brivido di freddo.
«Grazie, Will.... Signor Cooper.» Mi correggo, ma lui non sembrava intenzionato a volerlo fare.
Mentre pranzo, Will stipula alcune call.
Sentirlo parlare e scherzare con i suoi interlocutori fa scendere un velo di tristezza su di me. Prima era con me che scherzava, ora a malapena mi rivolge la parola.
«Dorothea, che piacere sentirti.» Alzo lo sguardo e trovo quello di William piantato su di me.
«Anche a me farebbe piacere vederti.» Arriccio il naso.
«Quanto ti fermi a Londra?»
Un senso ingiustificato di fastidio mi assale, e devo mordere il tappo della penna per non farlo notare.
«Stasera è perfetto. Facciamo a casa mia?» Mi alzo di scatto dalla sedia, e lo sguardo di William scatta su di me.
«Vado in bagno.» Mi giustifico, piantandolo lì.
In bagno, cerco di darmi un contegno. Un conato di vomito mi assale, e faccio in tempo a chiudermi in uno dei gabinetti prima di rigettare tutto il mio pranzo nel water.
Devo aver preso l'influenza, non c'è altra spiegazione. Una volta fuori, mi bagno i polsi e le tempie, cercando di attenuare anche il mal di testa.
Mi infilo una mentina in bocca e mentre esco, mi scontro con Denver.
«Dafne, stai bene? Sei un po' pallida.»
«Sarà lo stress di questi ultimi giorni.»
Denver mi porge il braccio, aiutandomi a sedere.
«Ti porto qualcosa?» Al solo pensiero di mettere qualcosa nello stomaco mi torna la nausea.
«La borsa. Vorrei tornare a casa.»
Denver annuisce e va nel mio ufficio. Torna con le mie cose, ma al suo seguito c'è William. La sua impassibilità è rovinata dal cipiglio preoccupato sul suo viso.
«Ti senti bene?» Domanda, chinandosi alla mia altezza.
«È solo un po' di nausea.»
I suoi occhi incrociano i miei.
In quel momento, suo padre lo richiama per l'imminente riunione.
«Puoi occupartene tu?» Domanda a Denver, combattuto che non possa farlo lui.
«Senz'altro, capo. Vieni, Dafne.»
Denver mi porge il braccio.
«Will?» Suo padre lo chiama.
I nostri sguardi rimangono incastrati sino a quando Nathaniel Cooper non chiude la porta della sala riunioni dietro le spalle di William.

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