Capitolo ventiquattro

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                      William

L'indomani, ancora assonnato, tasto il letto alla ricerca di Dafne. Ma lei non c'è. Apro un occhio e mi accorgo che effettivamente il letto è vuoto. Mi tiro su, e prima di controllare se sia in bagno, mi infilo qualcosa addosso.
Ma non è neanche in bagno.
«Signor Cooper, buongiorno.» Il mio autista mi saluta, cordiale.
«Nolan, hai visto Dafne?»
«Ho riaccompagnato la signorina Young a casa sua qualche ora fa.»
«Ti ha lasciato detto qualcosa?»
Scuote la testa, ed io stringo le labbra in una linea.
Torno in camera e mi infilo in doccia. Lì, ripercorro la notte appena trascorsa. Un brivido mi corre lungo la spina dorsale al pensiero delle nostre scopate clandestine. Una volta vestito, e seduto al tavolo della colazione, le scrivo.
Speravo di trovarti al mio risveglio.
Invio, ma non ottengo risposta.
Controllo il telefono tutto il giorno, ma Dafne non risponde a nessuna dei miei messaggi. Ignora anche le mie chiamate.
Cerco di ingoiare la sensazione strana sulla bocca dello stomaco, e provo a concentrarmi a lavoro.
Ma è del tutto inutile. Dafne mi ha fottuto il cervello.
«Will, sei assente. Che ti succede?» Mio padre si siede davanti a me.
«Sto bene.» Ma non mi crede.
«Abbiamo l'incontro con i portoghesi tra qualche ora. Ti voglio concentrato.» Ma tutto riuscii ad essere tranne che concentrato.
Sì, chiusi l'accordo. Sì, finsi un interesse che non dimostravo in quel momento. Sì, non delusi mio padre. Sì, mi assunsi le mie responsabilità, ma non riuscii a distogliere il pensiero da Dafne neanche per un istante.
A fine riunione, provo a richiamarla, ma nuovamente non ottengo risposta. Decido allora di presentarmi in ospedale.
Salgo le scale del secondo piano dove scorgo Dafne massaggiare le spalle di Christopher intento a parlare con sua madre e qualche altro familiare.
Provo a chiamarla, e allo squillo del telefono, Dafne lo estrae dai jeans. Letto il mittente, chiude la telefonata.
Mi sta evitando, eccome se mi sta ignorando.
«Vado a prendere qualcosa da mangiare.» Chris le bacia la mano e Dafne sorride. Si avvia in corridoio ed io la seguo.
«Sbaglio, o mi stai evitando, Dafne?» Si blocca in mezzo al corridoio.
Si volta lentamente, guardandomi.
«Che ci fai qui, Will? Sai che non puoi stare qui.»
«Sei letteralmente sgattaiolata via, stamattina.»
«Non volevo svegliarti. E dovevo tornare a casa mia nel caso in cui Christopher decidesse di rientrare.»
Annuisco, non del tutto convinto.
«Ti ho fatto male in qualche modo?» domando, preoccupato.
«No, Will. Non è questo.» Mi rassicura.
«E cosa, allora? Perché ti giuro non capisco.»
«Io...» Sospira. «Non possiamo più vederci, Will.»
«Perché?»
«Sto per sposarmi.»
«Te ne sei ricordata presto.» Dafne mi rivolge una mezza occhiata.
«Ho scelto Christopher, Will. Mi dispiace.»
Un sorriso divertito mi incornicia le labbra.
«Il fatto che ti faccia pena non significa che devi stare con lui per forza, Dafne.»
«Non sto con lui perché mi fa pena, Will. Sto con lui perché lo amo.»
Incrocio le braccia al petto.
«Hai uno strano modo di dimostrarlo, lasciatelo dire.»
«Devo andare.» Fa per svincolarsi da me, ma la trattengo.
«Non abbiamo ancora finito.» Osserva la mia mano sul suo polso.
«Christopher mi sta aspettando.»
«Può stare senza di te altri dieci minuti, non penso muoia.»
«A differenza tua.» Aggiunge, facendomi sorridere.
«Voglio stare con te perché sono innamorato di te, Dafne. E dopo i nostri trascorsi, credevo che stessi iniziando a farlo anche tu. Ma a quanto pare, mi stavi solo usando.» Le ciglia lunghe le accarezzano le guance quando sbatte più volte le palpebre.
«Non ti ho usato, Will.»
«No? Mi scopi, mi illudi e poi mi ignori. Questo come lo chiami?»
Dafne mi fronteggia.
«Sapevi a cosa andavamo incontro, Will.»
«Speravo di ricredermi.»
«Non è stato così. Oltre attrazione fisica, non c'è stato altro, Will.»
Sentirglielo dire mi spezza il cuore. E in qualche modo, mi riporta indietro di qualche anno.
«Parli sul serio?»
«Mai stata più sincera.» Le sue parole mi colpiscono come uno schiaffo in pieno viso.
Ingoio il boccone amaro, e fingo che le sue parole non mi abbiano minimamente toccato.
«Ieri, quando sei venuta da me, sapevi che sarebbe stata l'ultima volta?»
La durezza nei suoi occhi si incrina.
«Ho bisogno di saperlo.»
«Sì, Will. Avevo già deciso.» Annuisco.
«Perfetto, allora.» Le lascio il polso.
«Faresti meglio ad andartene.»
«Con piacere.» Mi sistemo la giacca, e mi schiarisco la voce.
«Buona fortuna, Dafne. Ad occhio e croce, te ne servirà parecchia.»
«L'uscita è da quella parte, Will.» Sento il suo sguardo addosso mentre imbocco il corridoio.
In macchina, colpisco il volante.
«Cazzo!» Lo sconforto si unisce all'incazzatura, e qualche lacrima mi riga le guance.
È trascorsa un'ora quando decido di andarmene a casa mia.
La governante mi saluta, accogliente, ma non sono in vena di trattenermi. Comunico che non ho voglia di cenare e di non voler esser disturbato, e mi chiudo in camera.
Lì, mi butto sul letto e mi copro la faccia con un cuscino.
Affogo tutta la mia frustrazione nel tessuto del cuscino.
Dafne non poteva essere sincera.
Non può non aver provato nulla.
Colpisco il letto con un pugno, impotente.
L'ho persa ancor prima che potesse esser mia.

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