Impreco mentre sfreccio fuori dall'auto accucciandomi alla velocità della luce sul ragazzino appena investito, Luke e le sue cazzate vengono buttati in un angolo della mente, così come il vociare dei curiosi riuniti a una distanza sufficiente per "godersi" la scena e giudicare.
Il ragazzino si lamenta mentre cerca di girarsi a pancia in su, sbatte più volte le palpebre mostrando un paio di occhi verdi magnetici, i capelli castano scuro sono pettinati così bene che non sembrano essersi scompigliati nemmeno dopo l'impatto. Butto velocemente un occhio agli abiti che indossa, gli stanno un po' troppo larghi ma sono sicuramente più costosi di tutto il mio armadio messo assieme. Ci mancava questa: investire il figlio di qualche riccastro con la puzza sotto il naso pronto a denunciarmi per avere attentato alla vita del prezioso erede. Già mi vedo sul lastrico.
«Ti senti bene?» chiedo portandogli una mano dietro la schiena.
Il ragazzino si siede lentamente, scuote la testa, gli occhi vagano a destra e a sinistra come a volere cercare qualcosa di prezioso. Adocchia la folla di curiosi stringendo i denti. «Ho sbagliato i calcoli.» si lamenta alzandosi, nel farlo usa la macchina come appoggio.
Ora che è in piedi noto con un certo imbarazzo che abbiamo quasi la stessa altezza, il mio metro e cinquantasei non è mai stato un vantaggio. Scuoto la testa per allontanare l'assurdo pensiero. «Di che stai parlando? Dobbiamo andare in ospedale, hai preso una bella botta.» cerco di sorridergli incoraggiante senza staccare la mano dalla schiena.
Lui mi guarda e l'impressione è quella di un padre che sta per sgridare la figlia. Insomma, il tipico sguardo da moccioso viziato che fa i capricci quando non ottiene quello che vuole. «Non c'è tempo.» mi rimprovera. Stringe i pugni così forte da fare sbiancare le nocche, sembra sforzarsi mentre abbassa leggermente il corpo e fa uno scattino in avanti. Ci prova altre due volte fino a quando, frustrato, non ringhia verso il cielo. «Sono scarico.» la sua fronte è imperlata di sudore, il fisico si abbandona all'indietro, come se il corpo reagisse solo ora all'impatto di poco fa. «Tu, dammi un passaggio.» ordina accennando alla sottoscritta con un cenno del capo.
Decido di sorvolare sulla sua strafottenza, anche se non so quanto durerò prima di esplodere. «Un passaggio all'ospedale.» preciso salendo in macchina, lui fa altrettanto senza smettere di usare il mezzo come appoggio.
La scenetta assurda e bizzarra ha allontanato i curiosi, o almeno la maggior parte, per fortuna non sono passata come una pirata della strada ma come brava ragazza pronta ad aiutare il prossimo e rimediare i suoi errori. Che poi in realtà è quella che sono veramente: troppo buona. E ne pago sempre le peggiori conseguenze. Spero solo che qualcuno testimoni a mio favore se mai paparino dovesse denunciarmi.
Metto in moto ma non faccio in tempo a ingranare la prima marcia che il ragazzino mi afferra il braccio, lo fa così in fretta e con tanta forza da buttare il cuore dentro un pozzo senza fondo. «No, devi portarmi...»
«All'ospedale!» grido con troppa energia, forse più per sfogare il misto di emozioni accumulato che altro. Non sono arrabbiata con lui, non ha senso, non lo conosco nemmeno anche se a pelle gli tirerei uno schiaffo su quel bel visino, tutti gli schiaffi che non gli hanno dato i suoi genitori quando era piccolo per insegnargli un briciolo di educazione o rispetto. In generale sono contro la violenza, ma quando ci vuole, ci vuole. «Stammi a sentire.» ringhio con una voce che riconosco a malapena come mia. «Ti ho investito, stai vaneggiando e stai iniziando a sudare. Hai bisogno di cure, chiaro?»
Purtroppo la mia minaccia non ha sortito l'effetto sperato.
Il ragazzino si gira per piantarmi gli occhi addosso, un sorrisino inquietante si è dipinto sulle labbra sottili. «No, tu stammi a sentire. Mi porterai a casa mia e poi te ne andrai con la stessa velocità con cui sei comparsa. Chiaro?»
Arrogante del cazzo. «E sentiamo, dov'è che abiti?» replico piccata, se vuole schiattare in casa allora è libero di farlo, anche se immagino che paparino lo porterà in qualche clinica privata, non in un ospedale pieno zeppo di comuni mortali.
«Tu parti, ti dirò la strada non appena riuscirò a orientarmi.» ordina abbassando il tono e guardando la strada.
«Potresti dire almeno grazie.» borbotto premendo leggermente sull'acceleratore.
Il suo sguardo assassino è sufficiente per farci passare il resto del tragitto in silenzio.
Una parte di me sente di avere fatto la cosa giusta – dopo tutto non si investe un ragazzino per poi lasciarlo in mezzo alla strada - l'altra non vede l'ora di scaricarlo nella speranza di non vederlo mai più!
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Battesimo - Cinque/The Umbrella Academy fanfiction
Fanfic29 settembre 1988. Liberty Leeree sta vivendo la giornata più "no" di sempre. In meno di un'ora viene lasciata dallo storico fidanzato, perde il lavoro e mentre torna a casa investe un ragazzino apparso dal nulla. Sconvolta dall'accaduto, Liberty sc...