CAPITOLO SETTE

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Le porte principali della centrale di polizia si spalancarono svelando una marea di gente che aspettava solo noi.
Stropicciai gli occhi alla vista dei tanti flash dei fotografi, la folla iniziò quasi ad accalcarsi impazienti ormai nel sentirci parlare.

Ero al fianco di Chris mentre lui si avvicinava allo stand dove avrebbe tenuto il suo discorso, aggiustò il piccolo microfono lì presente e si guardò intorno. Io feci lo stesso.
Delle transenne dividevano i cittadini tra i fotografi e giornalisti che erano in prima fila.

Le urla delle persone erano più forti di quanto pensassi, notavo la rabbia e lo spavento nei volti degli Inglesi, chi stringeva tra le mani cartelloni d'odio nei nostri confronti e chi gridava di dire la verità che stavamo nascondendo.
Mi sentii soffocare per un momento da tutto quel casino. La verità era che non c'era ancora nessuna verità, ma come si poteva spiegare tutto questo a delle persone impaurite?

Strinsi tra le mani l'orlo della camicetta bianca che indossavo, deglutii voltandomi verso Chris che con gentilezza zittiva il popolo. Ci riuscì, nonostante qualche fischio e un 'ritiratevi' dalla folla.

«Concittadini, con il cuore in mano, oggi, sono qui per annunciarvi che non c'è ancora nessuna novità riguardante il Killer...» un boato di parole si alzò nuovamente interrompendo per un secondo il discorso di Chris, chi fischiava e chi urlava cose inudibili. «La pista che abbiamo su di lui o su di lei ci porta a varie strade cui non hanno fine... pertanto vi chiedo pazienza.»

«Un pazzo va in giro a uccidere persone e voi ci chiedete di essere pazienti?» urlò qualcuno tra la folla preceduto dal silenzio e seguito da urla di incoraggiamento. «Non dormo la notte sapendo che mio figlio è in giro la sera e un assassino è a piede libero per la città!» continuò l'uomo urlando.

Notai Chris in difficoltà, portò una mano alla barba iniziando a massaggiarsi lentamente il mento, scrutò la folla agitata e innervosita.
Lo spostai prendendo il suo posto di fronte al microfono, mi schiarii la voce che rimbombò per tutta la piazza e iniziai il mio discorso con una semplice domanda: «Signore, vuole venire qui e provare a fare il nostro lavoro? Lo può fare meglio di noi?»
«Chelsea!» disse Chris con tono di rimprovero, mi afferrò un braccio ma io opposi resistenza.
«Sono stremata, amareggiata e arrabbiata quanto voi...» calò il silenzio mentre tutto il pubblico iniziò, con i loro tempi, a prestare attenzione.

I microfoni dei giornalisti iniziarono a farsi lentamente più vicini, le videocamere erano puntate tutte su di me mentre i fotografi continuavano a scattare imperterriti ogni mio movimento.
Sentivo il battito accelerare, quasi il cuore volesse saltarmi dal petto. Non ero abituata a tutti quegli occhi addosso, a quegli obbiettivi che continuavano a moltiplicarsi per cogliere l'attimo di quel momento.
«Tra di voi c'è chi ha perso un figlio, un fratello o una sorella per mano di questo assassino... io ho perso la mia migliore amica... era come una sorella per me, siamo cresciute insieme e dopo anni che sono ritornata a Londra non ho potuto rivederla perché mi è stata portata via, è stata portata via dalla sua famiglia senza alcuna ragione...» lo stomaco mi si restrinse nel parlare di lei, la voce mi si bloccó in gola mentre ero sul ciglio di piangere ma mi trattenni.

«Voglio essere pienamente sincera con voi... abbiamo trovato ben poco riguardo l'assassino, è bravo a nascondere le sue tracce? Si.
Noi non sappiamo fare il nostro lavoro? Può darsi, ma qualsiasi essa sia la risposta, questi tipi di casi richiedono tempo, sopratutto se colui che ha il coltello dalla parte del manico è bravo a fare il suo gioco!» dissi sbattendo ripetutamente un dito sul ripiano dello stand.

«Ciò che noi vi chiediamo è, non solo di portare pazienza ma anche di avere fiducia in noi...» nel mentre che i miei occhi scrutavano la gente, caddero su una figura conosciuta che, fermo tra la folla, mi sorrideva.
Harry era lì, in mezzo a quel casino e mi sorrideva come per incoraggiarmi nel continuare e cercare di mantenere la calma mentre mi mostrava i suoi pollici per dirmi che andava tutto okay.
«Chelsea!?» disse mio padre che era al mio lato destro, mentre mi riprendeva dai miei pensieri.
Chiusi per un secondo gli occhi e bagnai le labbra inumidendole, presi un grande respiro inalando più aria possibile e ripresi a parlare.

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