CAPITOLO TREDICI

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«Detective Pearson, mi dica cosa è successo!» esclamò un uomo muscoloso mentre reggeva tra le mani un libretto.
Tremavo dal freddo seduta nel retro di un'ambulanza, avvolta da una coperta isotermica e con lo sguardo perso nel vuoto mentre la pioggia continuava a cadere fitta sulla strada.
I lampeggianti blu della polizia erano accesi, accecandomi di tanto in tanto gli occhi.
La scena dell'incidente era circondata da un nastro giallo e da pompieri che spegnevano le ultime fiamme.
Il corpo di Dayenne era stato adagiato su una barella, coperto da un telo nero.
«Detective...» mi richiamò l'agente facendomi sussultare e portare lo sguardo su di lui.
L'uomo sospirò stufato senza ricevere alcuna risposta da parte mia, non avrei detto una parola senza prima aver visto Jay che non tardò ad arrivare.

La sua macchina frenò bruscamente, scese da essa lasciando lo sportello aperto e, insieme a lui, scesero Chris e Connor.
«Le stia lontano!» disse Jay mettendosi fra me e l'agente mentre sventolava in alto il suo distintivo.
«Signore, credo capisca che sto seguendo la procedura, devo sapere cosa è successo!» spiegò l'uomo gesticolando.
«Ci lasci un attimo da solo con lei» disse Connor avvicinandosi a lui, teneva le mani poggiate sulla cintura e la stringeva mentre si drizzava con le sue larghe spalle.
L'uomo chiuse il suo libretto prendendo un grosso respiro, dall'aria sembrava essere al quanto scocciato ma si arrese allontanandosi da lì.
Lo sguardo di tutte e tre i ragazzi si voltarono contemporaneamente su di me.
«Cos'hai fatto al collo?» domandò Christopher avvicinando una mano ma la spostai bruscamente, non volevo essere toccata.

«Chelsea...» iniziò Jay prendendomi il viso tra le mani, rabbrividii al suo tocco tirandomi di poco all'indietro ma non appena i miei occhi si scontrarono con i suoi, una piccola fiamma in me si riaccese. «Dimmi che cosa è successo...»
«È stata legittima difesa Jay...» sussurrai con occhi pieni di lacrime. «Vogliono me!»
Jay schiuse le labbra iniziando a metabolizzare l'accaduto, sul suo viso leggevo delusione mista al conforto.
Mi fece rialzare avvolgendo un braccio intorno la mia vita, mi strinse al suo fianco mentre iniziammo a camminare verso la sua auto ma venimmo fermati dall'agente di polizia.
«Non può portarla via, deve essere visitata e interrogata!» disse lui con tono acuto.
«Adesso ci pensiamo noi a lei, continuate a fare il vostro lavoro... o vuoi che faccia rapporto al tuo capo?» sbottò irritato Jay.
Non ricevendo alcuna risposta, esclamò un 'bene' secco, salendo successivamente nella sua auto.

Non potevo dire di essere scossa dall'accaduto, era stata una mia decisione lanciarmi dalla macchina facendo si che continuasse a correre per la sua strada.
Mi sentivo in colpa? No. Non importava chi Dayenne fosse o quanti anni avesse, non restai neanche a rimuginare sulla sua piccola età, maggiorenne o minorenne non erano il fulcro della faccenda, ma bensì che essa era l'assassina, una dei tanti, complice di quel caso.
«Chelsea?» neanche la voce ovattata di Jay, che mi richiamò per la milionesima volta, mi fece riprendere dai miei pensieri, con la testa poggiata al finestrino e a guardare il mondo che scorreva veloce tra la pioggia fredda.
Ero troppo concentrata a ripensare all'adrenalina che mi aveva procurato l'uccidere una persona. Continuavo a dare le colpe ai miei sentimenti, a ciò che avevo provato in quel momento: paura, dolore, tristezza, ansia e rabbia. Emozioni contrastate tra loro che mi avevano portata nel prendere una decisione drastica, pericolosa e che avrebbe potuto cambiare la mia vita con uno schiocco di dita. Ma dopotutto, era pura legittima difesa.

Jay si arrese nel farmi le domande, capì che avevo bisogno del tempo e me ne diede fino a quando non arrivammo alla centrale di Isle of Dogs, un'altra stazione di polizia ad Est di Londra.
Ci recammo in una sala riunioni e solo allora, rimasta da sola con Jay, ebbi il coraggio di mostrargli un piccolo registratore poggiandolo su un tavolo.
«Cos'è?» domandò accigliandosi.
«Ho registrato tutta la conversazione tra me e Dayenne, aveva sedici anni...» dissi sedendomi ancora in uno stato di shock.
«Porca miseria...» sussurrò l'uomo strofinandosi una mano in viso. «Chelsea, mi devi dire cosa è successo altrimenti non saprò come proteggerti, capisci che la NCA ci sta addosso?» continuò sbattendo le mani sul tavolo.

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