14. Battito di cuore

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Do you think you can hide?
Do you believe the lies?
Twist it up in your mind

Qualcosa tamburellava sulla mia tempia.

Sollevai le palpebre con una certa difficoltà.

Misi a fuoco con una lentezza sconveniente il sorriso tirato di Ivan: pelle ambrata, lentiggini intorno al naso, la luce chiara e dorata che gli accarezzava il profilo. Profumo di caffè.

«Ivan?» La voce impastata di sonno giunse distante, ovattata.

Mi resi conto con un secondo di ritardo che quello in cui mi trovavo era il suo letto e non il mio; la forma squadrata della finestra, l'inclinazione insolita del sole oltre le vetrate che illuminava la provinciale che si srotolava oltre i vetri opachi.

«Buongiorno, bella addormentata.» Mi accarezzò la guancia. «Ho atteso fino all'ultimo per svegliarti, ma sono quasi le sette e dobbiamo partire, ricordi?»

«P-artire?»

Mi massaggiai le tempie, scostai le lenzuola arrotolate tra le cosce nude e osservai i miei slip scuri e il reggiseno a fascia che avevo indossato la sera prima sotto il vestito verde che...

La sera prima. I ricordi mi trangugiarono il respiro. Ivan inginocchiato tra le mie gambe, la penombra della sua camera da letto, il suo non spingersi oltre ma il nostro svuotare la testa insieme.

Sorrisi, ma le mie labbra tremolarono, spezzate sull'apice...

Il bagno, Nicholas, il suo distruggersi quando gli avevo confessato che amavo lui e non Ivan. Il perdono che avevo confessato... il bacio, il pavimento... Ivan che spalancava la porta. La lotta.

Mi presi la nuca tra le mani, affannai, sopraffatta. Un turbinio di emozioni che non riuscivo a placare.

«Ehi, Scheggia.»

Qualcosa mi accarezzò la schiena nuda, aroma di lavanda che si accavalla a qualcosa di zuccherato.

«Ti senti bene?»

Lasciai cadere le mani sudate sulle lenzuola ruvide. Il bordo del letto mi stava segando il retro delle ginocchia.

«Ho preparato la colazione da portar via, dobbiamo andare.»

Cercai Ivan con lo sguardo, indugiai sulla mano che protendeva verso di me. Nessuna inflessione insolita nelle pieghe del volto, solo una ruga tra le sopracciglia nella confusione soggiunta alla mia curiosità.

Possibile che fosse tutto un sogno?

Ma era così reale, così...

«Scheggia, non abbiamo tempo, forza.»

Appoggiai le piante dei piedi a terra, l'odore del caffè che mi raggiungeva dalla cucina e quella confusione abissale che mi stava centrifugando la testa. Dovevo aver avuto uno di quei sogni talmente tanto vivi da dare l'impressione di non aver dormito abbastanza. Mi sentivo prosciugata, esausta, dolorante persino, la testa mi esplodeva dal dolore.

«Ivan?»

«Sì, Scheggia?»

Cercai nei suoi tratti luminosi qualcosa, un indizio, un suggerimento che quello che avevo sognato, così vivido e reale, fosse solo frutto del mio subconscio.

Ma lui mi aveva già voltato le spalle.

Non potevo essermelo sognato, non...

«Dieci minuti, Scheggia, non di più.» Ivan sparì oltre lo stipite, svicolando al mio sguardo confuso, la domanda sulla punta della lingua.

Black Moon ~ Come un'AquilaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora