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Quando ero bambino avevo paura del buio.

Il buio per me non era solo un colore, un intenso nero che se lo guardavo potevo fuggirgli disegnandoci sopra le cose belle con qualsiasi altro colore. Il buio per me era il parco giochi dei miei mostri. Ogni notte, quando il cielo si copriva con la sua coperta scura scura, anch'io prendevo la mia coperta e, come il Sole, mi ci nascondevo sotto sperando che loro stavolta non mi vedessero, che loro stavolta non mi prendessero.
Ma 'stavolta' non arrivava mai.
Scendeva il buio, si sospendeva la luce della Luna e il grido del vento era il via libera dei miei mostri che fremevano dalla voglia di giocare sulla loro attrazione preferita,
un bambino di nome Simone che ogni mattina si svegliava con una nuova ferita.

Quando ero bambino avevo paura del buio perché io di cose belle da disegnarci sopra non ne avevo.

Stavo sempre lì
stesso letto singolo, stessa coperta impregnata di lacrime, stessi pensieri affilati a ferirmi il cervello. Stessostessostessostessostesso. Stavo sempre lì a interrogarmi ore ore e altrettante ore quale mostro mi facesse sentire così, insomma, divorato. Cosa stava accadendo?
Volevo porre fine a tutto, volevo essere divorato del tutto. Lasciare a questo mondo il solo ricordo sfocato di un bambino di nome Simone che all'arrivo del buio cominciava pian piano a morire.

Ero solo un bambino.
Mi domandavo quanto crudeltà dovesse avere in serbo il buio per me, per un corpo che a 7 anni già non ce la faceva più che, anzi, non si ricordava nemmeno una volta in cui ce l'aveva fatta.
Io non li vedevo, capite? Non vedevo chi mi stava uccidendo. Ma li sentivo. Era in quella prigione d'aria che, senza stancarsi mai, rimbombava l'assillante frastuono delle loro urla di entusiasmo rovinato dalle mie mute urla di terrore.
Se solo l'omino dei sogni fosse mai passato anche da me, io avrei espresso un solo desiderio: essere ritrovato tra fiori di lavanda e margherite esauste a canticchiare alle anime desolate cento e passa favole, nella macabra speranza di salvare quel bambino che io non sono riuscito a salvare che nessuno ha deciso di aiutare.

Io mi provai a salvare, Simone io ci provai.

Per fuggire dai miei mostri nel buio imparai a giocare con le ombre. Danzavo con loro, sussurravo loro i miei segreti che nessuno mai mi aveva chiesto di svelargli, mormoravano loro le storie dei miei ultimi e antichi sorrisi nascosti dal sole e spariti nel vento.
A volte, riuscivo a toccarle.
A volte, riuscivo a diventare come loro.
Lasciavo che mi avvolgessero in un freddo abbraccio a cui non potevo ribellarmi poiché era l'unico che avessi mai ricevuto. Ricordo il primo piacere di sentirsi il fiato mancare a causa di un'abbraccio troppo stretto e, per la prima volta, non della paura.

E così mi arrendevo.
Mi preparavo ad arrendermi ai miei mostri nel buio.
Mi sentivo come se il mondo volesse vedere fino a che punto sarei resistito.

Finché una notte non trovai più la mia coperta allo scoccare dell'urlo del vento.
Finché una mattina non trovai più il mio cuore e quel bambino che parlava con le ombre capí
d'esser ombra lui stesso.

Un piede nell'incubo e l'altro nella favolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora