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Se vuoi perdiamo del tempo, oppure fermiamolo.

Allora, rimanere un'ombra.
Ero sempre stato invisibile dalla morte di mio fratello Jacopo. Invisibile agli occhi di mamma e agli occhi di papà, che da quella notte non mi hanno più guardato. Da allora, rinchiusi nella nostra bolla di dolore che nessuno aveva il coraggio di scoppiare, stavamo fermi, immobili, mentre il mondo continuava a correre. Dio se correva, pareva ogni giorno più veloce e noi sempre più lenti. Poi finí che ci stancammo di rincorrere quel bastardo del mondo, o che lui si stancò di aspettare noi, e così lasciammo che il Sole ci scolorisse fino a perdere del tutto colore.

Mi è successo di pensare di suicidarmi.
Mi chiedevo se non lo faccio per me oppure per gli altri. Ma penso non sia tanto triste, che succede a tutti quanti e che dire certe cose ad alta voce è un passo avanti, da giganti.
È normale se ti senti sempre sbagliato a furia di sentirti dire «Non ci riesco, hai gli occhi di Jacopo» un po' te ne vorresti andare.
È normale se ti senti sempre solo a furia di sentirti dire «Non sei solo» un po' ti stanchi.

Ero sempre stato quasi invisibile anche all'istituto e mi andava bene così, credo.
«Simone Balestra, ti ho cercato ovunque»
E poi era arrivato Manuel.
Mi attraeva nei suoi spazi e non di rado finivo col camminargli a fianco.
Siamo distanti sempre qualche palmo e non ci sfioriamo mai per caso.
Ti sei avvicinato alla finestra da cui guardavo i nuvoloni che si avvicinavano.
Hai annusato la pioggia. Ho chiuso gli occhi e ho tenuto la mano fuori dalla finestra.
Ho sentito la prima goccia cadere.
Era come un bacio.
Il cielo mi stava baciando.

«La pioggia scappa dal cielo» dici «non ti senti come pioggia che scappa dal cielo?»
Ho sentito un'altra goccia cadere.
«Scappiamo da questo cielo» hai messo anche tu la mano fuori dalla finestra «è questo cielo che ti fa gli occhi tristi Simó»
«Non ho sempre gli occhi tristi»
«No, ma non dovresti mai averceli»
Poi hai sorriso.
«Triste, triste, triste» hai detto.
«Triste, triste, triste» ho detto.
E poi siamo scoppiati a ridere. Era bello ridere. Avrei voluto ridere e poi ridere e poi ridere ancora fino a farmi trasformare dalle risate. Ridere mi faceva dimenticare quella sensazione strana e terribile nello stomaco.
Anche se era solo per un minuto.
«Lo faresti?» ho chiesto «Scappare, intendo»
«Da questo istituto di merda si»
«E dal mondo?»
«No»
«Perché no?»
«Vuoi sapere un segreto?»
«Si»
«Non riuscirei a vivere lontano da mia mamma e da mio papà»
Non avevo mai sentito nessuno dire una cosa del genere. Davvero, nessuno andava pazzo per i propri genitori. Tranne Manuel.
«Soprattutto da mio papà, al mio babbo voglio proprio bene» hai detto.
Mi sono chiesto se suo papà era bello come Manuel. E poi mi sono chiesto perché me lo sono chiesto.
«Posso farti una domanda io adesso?»
«Si»
«I tuoi genitori?»
La pioggia inizia a cadere pesante sulle strade di Roma. Vorrei dirle che fa bene a scappare dal suo cielo, ma non è che qui si stia molto meglio.
«Mia mamma è andata in overdose dopo la morte di mio fratello» un'altra goccia «E mio papà non so dove sia andato»
Non ho più voglia di niente.
Un'altra goccia e poi un'altra ancora.
Vorrei un bacio.
Stupiscimi tu, che ti sento anche quando resti in silenzio accanto a me, mentre fatichiamo a parlarci perché abbiamo capito che abbiamo tanto da dirci.

Ho sentito il tuo dito sfiorarmi la mano.
Mi sono domandato se era come un tuo bacio.
«I cambiamenti stanno per arrivare» hai detto
«Cambiamenti?»
«Cambiamenti» hai detto.
Ho sentito la tua mano cercare la mia. Cercavi proprio le mie dita.
Un bacio.
Viviamo d'istanti
non ci teniamo le mani però ci teniamo in mente.
In quel momento mi hai sussurrato all'orecchio «La signora con il cappotto rosso appena scesa dall'auto nera. Penso che abbia un amante»
«Come lo sai?» gli avevo sussurrato
«Si è tolta l'anello quando è scesa»
La pioggia, fortunata lei che poteva, scappava.
Noi invece ci inventavamo storie sugli altri, scrivevamo i copioni della storia della loro vita perché quel poco di gioia che ci era rimasta ci faceva uscire da qui.
Per quel che ne sapevamo, loro scrivevano storie su di noi.
Su Manuel e Simone.
Mi hai stretto la mano. Ecco un vero bacio.
E sorridevamo. Dio sorridevamo di continuo.
Forse scrivevano davvero di noi, Manuel e Simone, capaci di tenersi sempre la mano.

Un piede nell'incubo e l'altro nella favolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora