II

161 19 13
                                    

L'insostenibile ombra delle piccole cose.

È sempre un passo avanti e tre indietro. Un passo avanti e tre indietro. Ed è buffo non trovi? Perché, cazzo, magari fossero solo tre i passi indietro. Stava andando bene, l'ha detto pure Anna con le sue fossette cazzo che dovevo essere fiero di me perché stava andando bene. Ma eccola che torna: l'insostenibile ombra delle piccole cose. È così che chiamo la bastarda. A te l'ho mai spiegata, Jacopo? Sai cos'è l'insostenibile ombra delle piccole cose, Jacopo?
È la merda che provo.
È la merda che mi sta incollata alla pelle, che mi logora dentro, che arriva fino al cuore, o quel che ne rimane, per ricordarmi che esiste l'ombra di mille cose, pure di quelle piccole, ma non esiste la tua. Non esiste più Jacopo. Tu un'ombra non ce l'hai piu. E quindi persino l'ombra della piccole cose diventa insostenibile per me.
E sai qual è la cosa più struggente, Jacopo?
Che seppur consapevole dell'inesistenza della tua ombra, da bambino danzavo con ognuna di loro sperando che arrivasse la notte in cui l'ombra a chiedermi di danzare fosse finalmente la tua.
L'insostenibile. Ombra. Delle piccole cose.

«Grazie per la bella accoglienza del cazzo» Manuel è sul ciglio della porta della mia camera. Me ne ero andato da stanza 27 colpito dalla consapevolezza di essere un intruso in mezzo a quei corpi dipinti di sorrisi. Me ne ero andato da stanza 27 colpito dalla certezza che, anche oggi, la felicità rimane ancora inafferrabile. Me ne ero andato da stanza 27 colpito dalla realizzazione che l'amico di cui Manuel ha bisogno non sarà mai un bambino di nome Simone. Non sono in grado di essere l'amico di nessuno.
E dunque me ne andai avvolto da un silenzio sporco, passo dopo passo sparpagliavo frammenti di quello che era il mio cuore.

Simone? Nonononono non incominciare. Che ti prende ora? Sei deluso? Credevi davvero che ci fosse qualcuno come te? Stai zitto. Credevi davvero di non essere l'unico pesce palla destinato ad annegare nel suo incantevole oceano di merda? Oh Ingenuo. Ingenuo Simone. Stai zitto ho detto. Hai visto come sorrideva gli altri? E tu non sorridi? Certo, lo so io perché: potrai anche non essere l'unico rotto qua dentro, ma almeno gli altri un amico ce l'hanno. Zitto. Un amico che gli fa sorridere ce l'hanno. Un amico in vita ce l'hanno. Stai zitto! E tu Simone? Il tuo amico dov'è ora? Jacopo dov'è ora? Zitto cazzo! Non lo sai? Oh certo che non lo sai, come potresti, infondo è morto. Nonononono zittozittozittozittozitto. E te lo ricordi com'è morto Simone? Ti ricordi perché è morto, Simone?
Incominciai a sbattere la testa contro il muro una, due, tre volte. Era lì, in mezzo a quegli sbagliato grumi di pittura verde, il famoso posto di silenzio, no? Se ne stava lì. E quindi bastava solo continuare a farmi male fino a quando non sarei riuscito ad ammazzare la fottuta voce, bastava solo continuare e il posto di silenzio l'avrei trovato prima o poi, a meno che non mi avrebbe ammazzato prima lei.
«Che cazzo stai facendo?»
A meno che non mi sarei ammazzato prima io.
Uno. Due. Tre. Quattro. Mi fa male la testa. Cinque. Sei. Che stai cercando di fare Simone? Sette. Cerchi di uccidermi? Otto. Lo sai che non puoi farlo, vero? Oh ingenuo. Ingenuo Simone. Nove. O quello che cerchi di uccidere sei tu, Simone? Dieci.
Il dolore nel corpo zittisce il dolore nella testa.
«Oh! Ma che cazzo fai? Fermati! Fermati ho detto!»
Almeno ad ucciderti ci riesci, Simone?
Undici.
Diedi un colpo così forte che il mio corpo si abbandonò al pavimento, sfinito di provarci.
Manuel mi soccorre abbracciandomi, mi cantilena un «Fermo, ci sono io. Va tutto bene, ci sono io con te» e così perdo la forza di divincolarmi da lui. Mi fa male la testa. Mi fa così male la testa. Mi fa così male tutto. Mi illude con un «Non ti lascio» e il mio corpo crolla così sulla sua spalla.
«Scusa» gli dico, ma lui non risponde, prende qualcosa dalla tasca dei pantaloni e mi porge un pacchetto di fazzoletti.
Solo ora mi accorgo che sto piangendo.

Mi risveglia lo scatto con cui si accende la polverosa lampadina, sono le cinque del pomeriggio. Nella mia testa sembrano ssserci le montagne russe da quanto mi fa male, ma riesco a riconoscere una figura seduta sull'altro letto.
«Ciao Simone»
«Ciao Luca» gli dico «Tuo fratello?»
«È andato via. Sono andati tutti via. Manuel? Com'è?» mi domanda. Io non gli rispondo, perché di Manuel non so niente, perché io con Manuel non ci ho parlato, non l'ho aiutato ad ambientarsi, non l'ho proprio aiutato a fare un cazzo. Io non ho aiutato nessuno, come sempre, perché non sono in grado di aiutare nessuno. Nemmeno me stesso. «Simone stai bene?» la sua domanda mi colma gli occhi di lacrime, «Sto bene» dico e corro via.
Sto bene.

Lo trovo in stanza 27 seduto di fianco a Martino.
Manuel si porta un'emozione indistinguibile addosso che se ne sta tra i suoi capelli ricci, spettinati e arruffati. Sta disegnando. Mentre mi divora il desiderio di vedere la sua arte sopra quei fogli lo vedo alzarsi e avvicinarsi al cestino. Inizia a temperare una matita, i suoi occhi sono imprigionati dal taglio di quella lama e seguono poi il dolce schiantarsi dei resti sul fondo.
«Quello non puoi tenerlo» Manuel mi guarda e vedo fuoco ardere nelle sue iridi «Senti- ascolta, non so nemmeno come ti chiami quindi vedi di farti i cazzi tuoi e di non rompermi i coglioni»
«I coglioni li romperanno a te se scoprono che hai un temperino» 
«Me serve per disegnare»
«Mi prendi per il culo?»
«Ma te voi fa i cazzi tua o no?»
«Stiamo in un cazzo di istituto neuropsichiatrico e mi credi così deficiente da crederti quando dici di averlo rubato perché ti serve per disegnare?»
«Ma che ne sei tu coglione!»
«Lo so perchè nel cazzo di istituto neuropsichiatrico ci sono anche io, coglione»
Gli stringo il braccio e tiro su la manica della sua felpa con l'intendo di riprendere il temperino ma subito lui mi tira uno schiaffio e si divincola.
Allora si ferma e mi guarda, mi guarda solo, attraverso il marrone e il miele, attraverso abissi e distese, mi guarda, sanguinando miliardi di pensieri incomprensibili.
La pelle di Manuel è un cimitero di cicatrici rosse.
«Mi chiamo Simone» gli dico poi
«Vaffaculo Simone»

Un piede nell'incubo e l'altro nella favolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora