III

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Non siamo mai al buio.
Ogni camera ha una parete verde scuro scuro sulla quale si appoggia una polverosa lampadina che con uno scatto si accende alle cinque del pomeriggio e si spegne alle sei di mattina. La nostra camera invece di lampadine ne ha due, o almeno dovrebbe siccome quella sulla parete verde scuro scuro pare così esausta di guardarci che sta lentamente rinunciando alla sue luce. Qua dentro tutti stanno morendo. Il rumore dello scatto, pari a quello di uno sparo, rimbomba malinconicamente spaventando ogni parete dell'istituto. Spaventando sopratutto Luca.
Alle cinque del pomeriggio e alle sei di mattina si stringe contro il lenzuolo sparendo dietro delle fragilissime mura, sprofonda nel materasso abbandonato al suo corpo che trema trema trema e poi si spegne, come la lampadina. Ogni volta ho il terrore che si strozzi con quel fottuto lenzuolo.
Qua dentro guardo tutti morire.

All'istituto tutto è comandato dagli adulti con i camici bianchi, l'unica cosa in cui falliscono è comandare l'unica cosa che vorrei che comandassero: quella caotica della mia mente.
Se non sei divorato del tutto, alle 7 c'è la colazione in stanza 25 che praticamente è come stare dentro uno scatolone sciupato dalla pioggia  con un buco qua e là dal quale puoi guardare al di fuori delle pareti della tua prigione, al di fuori dell'istituto. Puoi vedere un lungo lungo marcepiede consumato da miliardi di suole che fa da sfondo a bambini vestiti di giubbotti pesanti e  fossette; anziani signori dallo sguardo perso che barcollano un po' ovunque fino a quando non ritrovano la traiettoria giusta per andare a comprarsi l'espresso con un goccio di latte intero mentre si perdono pure tra le righe dell'amico giornale; due migliori amici che si amano sottovoce sfiorandosi con l'indice cercando di toccarsi pure il cuore magari; una signora dalla vita lenta che pare affidare i suoi passi all'ombrello dai fiori storti e sbiaditi, lei si lascia dietro la sua vita, la racchiude in una scia sulla quale sbocceranno poi fiori tanto belli quanto storti e sbiaditi, in memoria del suo ombrello.
La vita degli altri da uno schermo. Il mio piccolo cinema. Quel momento lì, durante i titoli di coda, nel quale ti interroghi sulla tua di vita.

Alle 8 trascini quel che rimane di te nella stanza 27 dove invece vomiti chi e come ti ha rotto davanti alle fossette del cazzo di Anna.
Nessuno ti obbliga, a non tutti aiuta sapere che non sei solo e che altri come te sono rotti.
Martino ha la depressione e non fa altro che uccidere i pastelli colorati sui suoi fogli di carta. Poi fissa la polvere per ore ore e altrettante ore finché non è di nuovo pronto a uccidere un altro pastello.
Lorenzo è tutta rabbia. Sta zitto per molto tempo, poi semplicemente scoppia come un palloncino e dunque arrivano gli adulti con i camici bianchi ma non appena li vede si zittisce di nuovo e si gonfia da capo di rabbia. Gli scemi di quegli omoni non capiscono che basterebbe lasciar sgonfiare quel suo palloncino di rabbia una volta per tutte. Comunque Lorenzo è un alieno, se no la pelle rosso fuoco non si spiega.
Luca soffre di ansia sociale. Ogni parte del corpo di Luca trema trema trema, anche se ora non sono nè le cinque del pomeriggio nè le sei di mattina. Si schiocca le dita così tante volte che ne perdo sempre il conto ma tanto ora sono molli e non schioccano più.
Edoardo è un vaso rotto dal quale fuoriesce acqua troppo spesso e che «impedisce così al fiore di nascere» dice Anna. Ha cerotti ovunque Edoardo. Ha una tristezza assassina in ogni poro del corpo Edoardo. Io l'ho capito che lui il suo fiore mica vuole farlo nascere, ma cosa volete che ne capisca Anna con le sue fossette del cazzo.

Stanza 27 è la stanza della malattia.
Quest'aria resa irrespirabile dal mucchio di storie degli altri pesci palla, da Anna e dagli adulti con i camici bianchi la respiri per tutto il susseguirsi delle ore. Ti entra letale nelle narici, inizia a snodarsi per tutto il corpo, si prende il tuo respiro e, se è fortunata, anche quella poca percentuale di felicità che ti rimane. In cambio ti regala polvere che si attacca ai polmoni, dunque tu inizi a rincorrere quel bastardo dell'ossigeno ma nel frattempo si riversa su di te tutta d'un colpo la tua malattia mentale, come un'onda. Gli adulti con il camice bianco sono i bagnini che ti salvano, ti stanno addosso, ma non assomigliano minimamente alle ombre con cui giocavo.
Tanto prima o poi nell'incantevole oceano di merda ci anneghi lo stesso.

Un piede nell'incubo e l'altro nella favolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora