𝟏𝟒. 𝐚𝐫𝐞 𝐮 𝐰𝐚𝐧𝐧𝐚 𝐩𝐥𝐚𝐲?

122 6 0
                                    



Iris

Il viaggio di ritorno procedeva lentamente. Il Quinjet volava ad alta quota, invisibile tra le nuvole, e il rumore costante dei motori faceva da sottofondo ai miei pensieri; Ally era altrettanto silenziosa, nei suoi occhi leggevo l'impazienza. Non vedeva l'ora di tornare alla base, e credevo di sapere bene il motivo.
Lasciai i comandi, il pilota automatico che prendeva il mio posto, e la affiancai, strappandola ai suoi pensieri.
«Perciò...» un sorriso divertito m'incurvò le labbra, e lei capì immediatamente dove stavo per andare a parare. «"la mia ragazza", eh?» mormorai, provando ad imitare il tono di Barnes; la cosa non mi riuscì, ovviamente, e sembrò che stessi per strozzarmi. Allison alzò gli occhi al cielo e buttò fuori un sospiro tra il rassegnato e il sognante.
«Già, è stato un po' improvviso.» si tormentò le mani e i capelli scivolarono in avanti quando abbassò leggermente il capo, nascondendole il viso. Sospirai.
«Trecentosessanta gradi, Ally, non dimenticarlo. Chi se ne frega di quello che pensano gli altri, conta soltanto ciò che pensi tu e la tua...» lei alzò la testa di scatto con occhi spalancati. «Iris!» mi ammonì, bloccando a metà la mia allusione. Alzai le mani, arresa al suo pudore, e lanciai un'occhiata all'esterno.
«Parlando di Trecentosessanta gradi...» mormorò, e io tornai a guardarla.
«Cosa vuoi sapere?» inarcai un sopracciglio e lei mise su un sorrisetto malizioso totalmente in contrasto con quanto accaduto pochi attimi prima, piegando leggermente il capo di lato.
«Com'è che da quando siamo partite sembri persa con la testa tra le nuvole?» le sorrisi a labbra strette, poi le raccontai del mancato bacio con Steve e dell'interruzione di Sam, erano successe così tante cose tutte insieme che non avevo avuto neanche il tempo di dirglielo. Lei assimilò la notizia con sguardo strabuzzato e bocca leggermente schiusa, in un'espressione di shock, poi si diede un contegno e raddrizzò le spalle, i capelli lunghi le scivolarono dietro la schiena. «Prima di partire sono andata a vedere come stava, ma nessuno dei due ha osato sfiorare l'argomento.» lei inarcò un sopracciglio.
«Siete proprio fatti della stessa pasta!» mi alzai, improvvisamente nervosa, e presi a camminare per lo spazio stretto che avevo a disposizione.
«Ally, illudermi su Steve non mi ha portato a nulla, in passato, e non mi porterà a nulla neanche adesso. Lui... è complicato.» scossi il capo e portai le mani ai fianchi.
«Anche Bucky lo è, ma questo non ci ha fermato.» le lanciai uno sguardo obliquo.
«La situazione è diversa,» tornai a sedermi al suo fianco «lui era innamorato, prima dell'ibernazione, e adesso non sembra esserci spazio per nient'altro che il dovere. Mi confonde, e non voglio cascarci di nuovo, non posso affrontare di nuovo la stessa delusione.» lei mi accarezzò dolcemente una mano, poi la strinse tra le sue.
«Tra voi c'è qualcosa, Iris...» scossi il capo.
«Solo un'attrazione che non porterà mai a nulla.» lei alzò gli occhi al cielo.
«Il mancato bacio dice tutt'altro.» le lanciai un'occhiataccia, e sospirai.
«Credo tu non abbia capito di che tipo di attrazione parlo.» scherzai e lei mi lasciò andare la mano, alzando di nuovo gli occhi al cielo. «E Owen, invece?» chiesi, per cambiare argomento. Lei si tormentò di nuovo le mani. «Ne abbiamo parlato,» mi guardò «ci vorrà un po' prima che le cose tornino come prima.» spiegò. Poi la sua espressione mutò e io seguii il suo sguardo, che si era fermato sulla consolle di comando, dove una luce s'illuminava a intermittenza. Mi alzai e tornai alla postazione, la luce indicava che c'era una chiamata in entrata, così la accettai e mi lasciai cadere sulla poltrona di guida.
«Ragazze,» la voce di Nick si diffuse in tutto il veicolo «com'è andata la missione?» Ally si avvicinò, preoccupata.
«Bene, ma tu perché ci chiami?» dall'altra parte ci furono alcuni secondi di silenzio.
«Il vostro amico Owen ha scavato a fondo, in quel maledetto telefono, e ha trovato un altro nome appartenente alla lista, ma non ufficiale. Al suo fianco presenta un punto di domanda, quasi non fossero sicuri di volerlo inserire o meno, ma non possiamo rischiare.» spiegò, ma dal suo tono di voce capii che c'era qualcos'altro, qualcosa che stentava a dirci.
«E...?» lo esortai. Lui restò in silenzio per qualche altro secondo, restio.
«Si chiama Peter Parker, vive nel Queens, con sua Zia May...» prese un attimo di pausa. «ha sedici anni.» mi girai di scatto verso Ally, che mi fissò esterrefatta. Era terribilmente giovane.
«Inviaci le coordinate, ci dirigiamo subito lì.» lui non se lo fece ripetere due volte, i numeri brillarono sul piccolo schermo al centro della consolle. Le inserii e il Quinjet virò, cambiando direzione; il movimento improvviso mi fece venire la nausea.
«C'è un'altra cosa.» esordì all'improvviso Nick, e io alzai gli occhi al cielo. Ally sospirò.
«Cosa può esserci di peggio? Stiamo praticamente per sequestrare un minorenne.» si lamentò, e dall'altra parte Nick soffocò una risata. Si schiarì la gola subito dopo.
«Tony vi raggiungerà lì, è già in viaggio.» inarcai un sopracciglio, perché era sconsiderato farlo tornare in America dopo quanto successo. «È un suo protetto, non ha accettato un no come risposta.» spiegò poi, rispondendo alla domanda che non avevo posto. Alzai gli occhi al cielo. «D'accordo.» mormorai, lanciando un'occhiata ad Ally, che si era allontanata e scavava tra le armi a disposizione, mormorando tra sé e sé qualcosa che non riuscivo a capire.
«Fate attenzione, mi raccomando.» si rassicurò Nick, poi la chiamata s'interruppe.
«Sedici anni.» tuonò Allison, mentre allacciava con movimenti sconnessi una fondina alla coscia. Mi alzai e la raggiunsi, lei passò in rassegna i pugnali e ne infilò uno negli stivaletti, che nascose col Jeans.
«Non conosciamo tutta la storia, Ally.» ribattei, infilando una Glock nel retro dei Jeans, poi la coprii con la T-Shirt. Lei mi lanciò un'occhiataccia e si diresse a una degli armadietti, dove recuperò un arco di servizio.
«Non ho neanche le mie armi, maledizione.» indossò la faretra e legò i capelli, che altrimenti le si sarebbero impigliati.
«Perché non fai un bel respiro?» mormorai, mentre provavo a nascondere un pugnale con scarsi risultati: le scarpe da ginnastica erano basse, perciò era impossibile nasconderci qualcosa, stessa cosa per le calze alla caviglia e i Jeans avevano tasche troppo piccole. Sbuffai e optai per indossare una cinta apposita, che nascosti al di sotto della maglietta proprio come con la pistola. Sfiorai la frusta stretta al mio polso, gesto che sortiva su di me sempre un effetto calmante, e portai di nuovo lo sguardo ad Ally, che fissava l'esterno con cipiglio furioso. Sbuffai.
«Ally, eravamo più giovani di lui quando abbiamo cominciato l'addestramento!» lei si girò a guardarmi, furiosa.
«È diverso. Noi alla sua età avevamo già anni di addestramento alle spalle, eravamo pronte per affrontare qualsiasi missione. Lanciare un ragazzino nella mischia e sperare che se la cavi è una follia, guarda adesso in che situazione si trova. Probabilmente non immagina nemmeno di essere in pericolo!» sbottò, stringendo nervosamente l'arco in una mano. Mi arresi e tornai ai comandi, era inutile discutere con lei. Non quando qualcosa la toccava così sul personale. Sapevo perché la cosa la faceva infuriare così tanto, ma parlare di nostro padre non era una buona idea, non in quel momento, non col rischio d'incappare di nuovo in Fenice. Sul piccolo schermo apparve una foto, probabilmente presa da un annuario, di quello che doveva essere Peter Parker. Era giovane, e gli si leggeva in faccia tutta l'imprudenza che ogni tanto riaffiorava anche in me ed Ally. Allegato alla foto, i suoi orari scolastici e una pianta di un edificio, perciò capii che ci stavamo dirigendo verso il suo liceo.
Sorvolammo il Queens soltanto ore dopo, nonostante la velocità del Quinjet; ore passate in silenzio, o alla ricerca di altre armi e posti dove nasconderli. Le coordinate ci portarono al Midtown Hight School, le lezioni non erano ancora cominciate e il giardino anteriore era gremito di studenti. Il Quinjet, in modalità invisibile, atterrò sul tetto di uno degli edifici dell'istituto senza emettere alcun rumore, ma cercare Peter in quel groviglio di gente sarebbe stato impossibile, così consultai l'orario scolastico. Ally si avvicinò per dare un'occhiata.
«La palestra? E dove si trova?» passammo alla pianta dell'edificio, che consultammo minuziosamente. Mi sfuggì una risata.
«Ci siamo sopra, praticamente.» azionai l'apertura del portellone e lanciai uno sguardo all'arco, che aveva legato sulla schiena come la faretra. «Non pensi che dia un po' nell'occhio?» lei fece spallucce.
«Meglio essere prudenti.» e io non ribattei. Portai con me il piccolo telecomando di controllo, che infilai nella tasca posteriore dei Jeans, e insieme uscimmo sul tetto. Il vento fresco ci colpì il viso, dovemmo forzare la porta che dava sulle scale per entrare, chiusa com'era dall'interno. «Maledizione!» quasi urlai, tirando la maniglia. La porta si aprì con un tonfo assordante ed Ally scivolò dentro, la seguii immediatamente e quando la porta si richiuse alle nostre spalle sprofondammo entrambe nel buio. Procedemmo tentoni, finché il rimbalzo dei palloni e gli schiamazzi dei ragazzi non divennero più forti. All'improvviso, un'altra porta ci sbarrò la strada, ma questa a differenza di quella precedente era aperta. Ci ritrovammo in un piccolo corridoio, Ally mi precedeva a passo spedito, e ci dirigemmo verso i rumori, finché non ci ritrovammo nella palestra vera e propria. Gli adolescenti erano divisi in più gruppi: alcuni giocavano a basket, altri facevano semplice riscaldamento, altri, probabilmente appartenenti alla squadra di atletica, si allenavano negli scatti, o nei salti. Feci scivolare il mio sguardo su ognuno di loro, finché non trovai chi cercavo: Peter Parker se ne stava dall'altra parte dell'enorme palestra, seduto su un tappetino di riscaldamento. Il suo sguardo era giù su di noi, e inarcò un sopracciglio quando capì che eravamo lì per lui. Al suo fianco, un ragazzo dalla parlantina veloce elencava qualcosa sulle dita, ma lui non gli dava ascolto. Tirai una gomitata ad Ally, che seguì il mio sguardo e si rilassò, constatando che era ancora tutto intero. Tornammo verso la porta, consce che ci avrebbe seguito, ma invece di tornare verso le scale raggiungemmo l'uscita posteriore dell'edificio. Lui ci fu dietro immediatamente.
«Chi siete?» domandò, pronto a scattare, una volta fuori. Alzai le mani, in segno di pace, e avanzai di un passo nella sua direzione.
«Io sono Iris,» mi indicai, poi passai a mia sorella «e lei è Allison. Siamo qui per portarti al sicuro.» spiegai, ma mi resi conto d'aver utilizzato le parole sbagliate. La sua diffidenza si fece ancora più profonda. «Ci manda Tony, che tra l'altro dovrebbe essere già qui.» analizzai la zona circostante, quasi potesse sbucare all'improvviso, e poi riportai di nuovo lo sguardo su di lui, che aveva rilassato le spalle. Dietro di lui la porta si aprì di nuovo, e il ragazzo che lo aveva affiancato in palestra ci raggiunse, posizionandosi a qualche passo di distanza da lui.
«Il Signor Stark sta bene?» mormorò, quasi avesse paura anche a nominarlo.
«Si,» confermò Ally «e se fosse arrivato in orario a quest'ora saremmo già di ritorno.» sussurrò poi, così che potessi sentirla solo io. Alzai gli occhi al cielo.
«E cosa volete da me?» il tono gli divenne leggermente più acuto, e la cosa mi fece quasi ridere. Aveva una faccia simpatica.
«Portarti al sicuro. Sei tra gli obiettivi di un'organizzazione che sta provando a far fuori ciò che resta degli Avengers.» lui strabuzzò gli occhi, spaventato.
«Gli Avengers non esistono più.» Ally annuì.
«Ufficialmente, no.» mi lanciò uno sguardo. «Ufficiosamente, invece...» lasciò la frase in sospeso, e nei suoi occhi vispi si accese un barlume di speranza. «Siamo ex agenti dello S.H.I.E.L.D, puoi fidarti di noi.» assicurò ancora mia sorella. Lui soppesò le sue parole, poi alla fine si raddrizzò, lasciando posto a una postura più rilassata. Ci avvicinammo, sicure che non ci avrebbe attaccate, e lo stesso fece il suo amico, che ci fissava con la bocca aperta.
«Wow...» gli sentii sussurrare, quando notò l'arco di Ally. Lo fissai mentre scandagliava con sguardo ammirato mia sorella. «Sei bellissima... usciresti con me?» chiese, di getto. Peter si girò di scatto, imbarazzato, e io non potetti trattenere una risata divertita, anche Ally si rilassò, ridendo di gusto.
«Mi spiace, ma sono occupata.» gli sorrise e tornò a concentrarsi su Peter. «Dobbiamo andare.» rincarò, provando a mantenere un tono neutro. Ma non era affatto tranquilla.
«E mia Zia May?» domandò, tra me e Ally ci fu un veloce scambio di sguardi.
«Abbiamo ordine di prelevare te, nessun altro.» spiegai, cauta. Lui spalancò la bocca, pronto a ribattere, ma qualcos'altro attirò la sua attenzione. Si girò di scatto verso la palestra, le spalle improvvisamente tese e gli occhi assottigliati. «Qualcosa non va...» mormorò, e nell'esatto momento in cui le sue parole si dispersero nell'aria il rumore di un esplosione ci raggiunse dall'edificio. «MJ!» urlò Peter, e si lanciò verso la palestra, senza curarsi di noi o del fatto che non indossava alcuna tuta ma solo la divisa sportiva scolastica. Imprecai. Tra me e Ally ci fu un veloce scambio di sguardi, poi lei si lanciò in avanti per seguire Peter e io mi voltai verso il suo amico, che ci fissava con sguardo strabuzzato. «Ascoltami,» gli posizionai le mani sulle spalle «ora devi raggiungere il tetto, lì troverai un Quinjet, voglio che tu ti nasconda al suo interno e non faccia entrare nessuno all'infuori di noi e Tony, sono stata chiara?» lui mi fissò interdetto. «Sono stata chiara?» chiesi con più forza, dall'interno giunse un altro sparo e un brivido freddo mi scivolò lungo la schiena. Lui annuì.
«Si!» confermò «Sono il suo uomo sulla sedia, so cosa fare.» annuì alle sue stesse parole e io lo imitai, anche se non avevo idea di cosa significasse. Non c'era tempo per discuterne.
Gli allungai il telecomando e mi allontanai per raggiungere i due all'interno. Spalancai le porte e una massa indistinta di ragazzini urlanti mi prese in pieno, rallentando la mia avanzata; riuscivo a vedere Peter in posizione d'attacco. Avanzai tentoni, qualcuno mi colpì al costato con una gomitata spezzandomi il fiato, e quando finalmente riuscii a liberarmi l'interno della palestra era vuoto, tranne per una ragazza, rannicchiata in un angolo: i capelli ricci le ricadevano davanti agli occhi e fissava la scena che le si presentava davanti con un misto di curiosità e terrore che me la fece ammirare. Un gemito di dolore mi fece voltare di scatto: Peter era stato sbalzato via da un pugno, Ally combatteva perdifiato con un uomo dai capelli rasati e le spalle larghe, che la superava di parecchi centimetri. Alle sue spalle, un grosso buco nel muro mostrava l'esterno e il piccolo jet, simile a un Quinjet, con cui quello sconosciuto doveva essere arrivato; sul lato era impresso un marchio che conoscevo bene. Raggiunsi Peter e lo aiutai a tirarsi su, la frusta si srotolò dal mio polso e indicai la ragazza sconosciuta. «Va da lei, qui ci pensiamo noi!» ordinai, e corsi verso Ally senza aspettare conferma. Mia sorella schivò un pugno ben assestato e colpì di rimando allo stomaco, l'uomo non sembrò accusare il colpo e una risata divertita gli sfuggì dalle labbra.
Mi vennero i brividi.
Feci scattare la frusta, che colpì il pavimento sfruttandolo come rimbalzo e si attorcigliò intorno al suo collo, poi tirai per sbilanciarlo, ma lui piantò bene i piedi a terra e tirò, trascinandomi nella sua direzione. Ally sfilò l'arco e incoccò una freccia, prese la mira e scoccò, colpendolo dritto al polpaccio: lui digrignò i denti, per il dolore, e portò lo sguardo a lei. Ne approfittai. Corsi verso di lui, lasciando il manico della frusta, e facendo leva con un piede sul suo ginocchio leggermente piegato mi arrampicai addosso a lui, stringendogli il collo tra le gambe. Ally mi assecondò: incoccò una seconda freccia e puntò alle gambe. Quella trafisse l'aria e si scompose dando vita a una specie di corda, che si attorcigliò intorno alle sue gambe.
L'uomo rise ancora, mi colpì alla gamba con un pugno, poi un altro e io gridai dal dolore, ma non mi arresi: all'ennesimo colpo, incastrai il suo polso nella presa e mi chinai su di lui, stringendo anche le braccia intorno al collo possente. «Chi diavolo sei?» domandò Ally: aveva incoccato un'ennesima freccia e puntava dritto al suo cuore.
«Tu devi essere Ally,» mormorò lui, il fiato che cominciava a mancargli «e tu Iris.» continuò, strattonando per liberarsi dalla presa. Le braccia mi facevano male per lo sforzo, e sapevo di non poter resistere ancora a lungo, ma non lo diedi a vedere. Mi chinai su di lui, così che la mia bocca potesse essere all'estremità del suo orecchio.
«Spero abbiano parlato bene di noi.» sussurrai, e un sorriso sadico gli distorse le labbra.
«Si,» mormorò «lei mi ha avvertito della tua lingua tagliente.» continuò, e l'accenno a una donna mi disorientò. Avevo dato per scontato che il capo dell'organizzazione fosse un uomo, ma molto probabilmente ci sbagliavamo. Lui approfittò del mio momento di destabilizzazione e si lasciò cadere all'indietro, approfittando anche della corda che ancora gli stringeva i polpacci. La mia schiena colpì il pavimento e l'urto mi spezzò il fiato, privandomi della forza: libero dalla mia presa, sfilò un coltello dagli anfibi che indossava e si liberò le gambe, poi sfilò anche la freccia che teneva ancora infilzata nella carne. Un rumore metallico si unì a quello di un combattimento corpo a corpo, mi ci volle qualche secondo per riprendere totalmente connessione col mio corpo, e quando lo feci mi girai di lato, così da far peso sulle mani e tirarmi su, ma restai bloccata a metà movimento. L'armatura rossa e oro di Tony brillava illuminata dalle luci al neon della palestra, l'arco di Ally giaceva abbandonato sul pavimento insieme alla mia frusta, quest'ultima era in piedi, intrappolata nella morsa ferrea dello sconosciuto, che gli stringeva il collo e gli puntava una Glock alla testa. Mi paralizzai. Il terrore prese completo possesso del mio corpo, e lentamente mi tirai su, ma fu quasi un movimento automatico.
«Datemi il ragazzo,» mormorò l'uomo, poi sputò sul pavimento un grumo di sangue; qualcuno l'aveva colpito al volto, probabilmente Ally. «ditemi cosa ne avete fatto di mio fratello,» aggiunse «e nessuno si farà male.» concluse, premendo di più la canna della pistola contro la pelle diafana di Ally. I nostri sguardi s'incontrarono, e la possibilità di perderla divenne improvvisamente tangibile. Ma nei suoi occhi non c'era paura, solo coraggio. «Tuo fratello è dove deve essere.» mormorò, ma in un primo momento non capii a chi si stessero riferendo, poi compresi. L'uomo che avevamo catturato in Wakanda. Come avevo fatto a non vedere la somiglianza? La cadenza, lo sguardo e la mascella, per non parlare dell'altezza. «Qui l'unico che si farà male sarai tu.» e con un movimento rapido si chinò in avanti, trascinando con se il corpo pesante dell'uomo, che atterrò di schiena. Libera dalla presa Ally arretrò di un passo, ma il rumore della detonazione gelò il sangue a tutti. L'uomo, disteso sulla schiena, aveva sollevato la pistola quel tanto che bastava per sparare: il colpo fendette l'aria, silenzioso e letale, finché non si scontrò con la pelle di Ally, un po' più a destra dello stomaco, e la trapassò. Il mio grido si perse nel rumore della ferraglia mentre Tony avanzava di scatto, e con un piede sollevato provava a calpestare il nemico. La terra cominciò a tremare mentre Ally cadeva sulle ginocchia, il volto deformato dal dolore, la maglia che si tingeva del rosso vivo del sangue; urlai ancora, e in uno stato di trance corsi al suo fianco. Ad ogni mio passo, crepe larghe e profonde si diffondevano su tutto il pavimento, il potere m'invase dolce come una ninna nanna, e le piante si fecero largo tra di esse, sempre più grandi, sempre più lunghe. Strisciarono lungo il pavimento e circondarono l'uomo, che si era rialzato in ginocchio dopo aver evitato i colpi di Tony. La pistola con cui aveva sparato giaceva tra me ed Ally. Un vento vorace, graffiante, penetrò dal buco sulla parete, come richiamato da una forza ancestrale. Non avevo più il controllo su nulla: riuscivo a pensare solo ad Ally, che si lamentava e si dissanguava sotto i miei occhi. Il volto le era diventato pallido e la mano con cui pressava la ferita era di un rosso scarlatto mentre il sangue scivolava tra le dita. Le piante risalirono lungo le gambe del malcapitato, inchiodandolo a terra, prima però che potessero bloccarlo del tutto, sfilò un pugnale dalla cintura e tirò indietro il braccio, pronto a colpirmi. Il suono di un secondo sparo mi prese totalmente alla sprovvista: l'uomo s'immobilizzò con il braccio sospeso in alto, poi una chiazza rossa si allargò al centro del suo petto. Sorrise, un sorriso sorpreso e sadico, e si afflosciò, impossibilitato a far altro bloccato com'era dalle piante. Il mio potere scemò così com'era apparso e mi voltai verso Ally, che era strisciata verso la pistola. Lasciò ricadere di nuovo quest'ultima sul pavimento e si girò sulla schiena, io mi avvicinai ancora scioccata; lei mi stritolò una mano e chiuse gli occhi.
«Fa un male cane!» urlò, tra i denti.
«Si, lo so, ma devi resistere. Puoi farcela!» alzai lo sguardo su Tony, libero dalla maschera di ferro. «Dove diavolo eri?» quasi urlai, ma Ally strinse di più la mia mano, attirando di nuovo la mia attenzione su di sé.
«Dobbiamo andare.» quasi pregò, e io mi ritrovai ad annuire, come un'automa.
«Il Quinjet, qui fuori, prendetelo voi. Vi riporterà in Wakanda molto più velocemente di quello normale.» spiegò, e io annuii ancora. Ally si tirò leggermente su, il volto sempre più pallido, e si appoggiò a me per alzarsi del tutto. Ci avvicinammo, caute, al corpo afflosciato, poi una volta abbastanza vicine sollevai una mano e ritirai le piante, che scivolarono di nuovo nelle crepe da cui erano venute. Il corpo ricadde di lato con un tonfo sordo, Tony ci superò schermato dalla sua maschera di ferro e ne esaminò il volto dagli occhi spalancati.
«Nikolai Petrov,» mormorò «colui che mi ha sparato.» aggiunse, poi si voltò verso di noi. «Suo fratello Ivan non sarà contento di saperlo morto.» Ally si lamentò, le gambe le cedettero per un secondo e io dovetti sorreggerla del tutto. Lanciai uno sguardo a Tony, che annuì e ci precedette fuori, verso il Quinjet che aveva parcheggiato sull'erba; in lontananza risuonavano le sirene della polizia in avvicinamento. Aiutai Ally ad entrare, la adagiai sui sedili quanto meglio potevo e mi affrettai ad accendere i motori, poi tornai all'esterno, da Tony e Peter, e quella povera ragazza che capii doveva essere MJ.
«Il nostro Quinjet si trova sul tetto, il tuo amico Ned è nascosto lì ed ha il telecomando d'apertura. Tony, accompagna loro a casa e porta Peter in Wakanda.» alle mie spalle Ally si lamentò ancora, e per un attimo persi tutta la concentrazione, poi mi costrinsi a respirare.
«Ma...» provò ad obiettare Peter, ma Tony lo fermò lanciandogli uno sguardo ammonitore.
«Mi raccomando, nessuna deviazione alla "Pepper", sono stata chiara?» domandai, lui annuì senza spiaccicare parole, perché sapeva a cosa mi stavo riferendo. Mi allungò quella che riconobbi essere la mia frusta, e mi resi conto solo in quel momento di non averla al polso; la afferrai e ringraziai con un cenno della testa, poi diedi loro le spalle e tornai al Quinjet. Il portellone si richiuse dietro di me e il velivolo decollò, guidato dal pilota automatico. M'inginocchiai accanto ad Ally, che continuava a perdere sangue copioso dalla ferita; misi su un finto sorriso.
«Credi che Barnes lo troverà sexy?» chiesi, nel tentativo di alleggerire la situazione. Lei rise, ma presto la risata si trasformò in un verso di dolore che mi fece rabbrividire. In realtà volevo tenerla sveglia, perché non sapevo ancora la portata della ferita, né la gravità.
«Non lo so,» mormorò «ci toccherà chiederglielo.» aggiunse poi, e un sorriso sbilenco le dipinse le labbra pallide.
«Gli conviene farlo!» ribattei, e un po' dicevo la verità. In realtà, non osavo immaginare come avrebbe reagito a tutta quella situazione, ma non mi restava che aspettare per scoprirlo.

Operazione J.E.R.I.C.H.ODove le storie prendono vita. Scoprilo ora