𝟒. 𝐚𝐬𝐬𝐢𝐠𝐧𝐦𝐞𝐧𝐭.

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Iris

I corridoi del palazzo erano ampi e molto alti, tutti in pietra nera e con alle estremità grandi finestroni, che offrivano una vista spettacolare del Wakanda. La luce penetrava senza problemi, rimbalzando sulle piastrelle lucide dei muri e del pavimento, illuminando quasi in modo fiabesco.
Le parole di Ally mi rimbombavano ancora in testa mentre li attraversavamo, quindi non riuscivo a godermi a pieno tutta la bellezza di quel posto.
Di cosa voleva parlare?
Continuavo a chiedermelo, senza riuscire a trovare risposta. Il suo sguardo leggermente ferito mi aveva lasciato addosso un leggero senso di colpa che non riuscivo bene a spiegarmi, quasi avessi fatto qualcosa di orribile.
Ma c'era, ed era fastidioso.
«Iris!» uno schiocco di dita mi riportò alla realtà.
Eravamo fermi al centro di un corridoio leggermente più piccolo e meno illuminato, come ci eravamo arrivati proprio non lo ricordavo, e Natasha mi fissava con un'espressione confusa mentre Sam, alle sue spalle, teneva socchiusa un'enorme porta apparentemente molto pesante, e non si preoccupava di nascondere lo sforzo.
Sbattei svariate volte le palpebre, mi guardai intorno spaesata e poi, schiarendomi la gola, sforzai un piccolo sorriso.
«Scusatemi.» indicai la porta col mento e poi incrociai le braccia sotto al seno «E quella?» chiesi, proprio quando Sam lasciava andare la presa e la porta si chiudeva con un tonfo che rimbombò nell'intero corridoio.
«La palestra.» spiegò Steve, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, al mio fianco. Gli lanciai un veloce sguardo, poi tornai a guardare Natasha.
«Va tutto bene?» domandò proprio quest'ultima, inarcando un sopracciglio.
Annuii. «Si, certo.» confermai, facendo spallucce «Perché ci siamo fermati?» chiesi, inarcando un sopracciglio.
«E' la nostra fermata. Sicura di stare bene?» Nat lanciò un veloce sguardo a Steve, poi tornò a me.
«Si, davvero. Solo un problema tra sorelle, se così può essere chiamato.» spiegai, forzando un altro sorriso.
«Noi allora vi lasciamo qui. Ci vediamo dopo, in palestra ovviamente.» si arrese lei, mentre Sam, al suo fianco, inarcava un sopracciglio; era palesemente confuso.
«Non l'accompagniamo agli alloggi?» chiese proprio quest'ultimo, beccandosi uno sguardo inceneritore da parte di Nat, che gli strinse l'avambraccio in una morsa sicuramente dolorosa.
«Ho bisogno di te per un esercizio, Sam.» disse, mentre con l'altra mano apriva la porta della palestra senza alcuno sforzo.
«Ma...» provò ad opporsi Sam, ma Natasha lo trascinò via e lo spinse all'interno della palestra, poi si girò a guardarmi. «A dopo!» ci liquidò. Prima che potessi anche solo provare a salutarla, o ad oppormi per quel giochetto, la porta si chiuse ed io restai da sola... con Steve.
Ci furono alcuni attimi di puro silenzio in cui pregai di scomparire, in cui non osavo distogliere lo sguardo dalla porta ormai chiusa. Poi, munita di quasi tutto il coraggio che avevo, infilai le mani nelle tasche posteriori del Jeans e mi girai completamente verso il mio accompagnatore.
«Allora, questi alloggi?» chiesi, provando a nascondere la mia ansia dietro una maschera d'indifferenza.
Nonostante fossero passai anni dal nostro primo incontro, Steve aveva l'insolita capacità di suscitare in me un misto fatto di ansia e attrazione letale per la mia mente, e per il mio corpo.
Lui indicò il corridoio con un gesto veloce della mano e mi precedette, poi sospirò e mi lanciò un veloce sguardo.
«Cos'è questo "problema tra sorelle"?» domandò, facendo virgolette con le dita, mentre svoltavamo verso destra. Feci spallucce, poi sospirai.
«Non lo so. Ally ha detto che doveva parlarmi e qualcosa nel suo sguardo non mi ha convinto.» spiegai, mentre raggiungevamo una lunga scalinata che portava al piano superiore. Steve si fermò per guardarmi dritto negli occhi.
«Forse ti sei soltanto impressionata.» provò, facendo spallucce. Feci un mezzo sorriso e sospirai, poi lanciai un'occhiata alla scalinata e al corridoio in cui ci trovavamo: non c'era anima viva e non provenivano rumori dal piano superiore.
«Ma vuoi per caso uccidermi?» chiesi, mentre lui cominciava a salire i piccoli gradini con nonchalance. Si girò a guardarmi con un sorriso che gli illuminava il volto e che mi destabilizzò per qualche secondo.
«Ti hanno già vista in troppi, aspetterò di essere in missione.» disse, fingendo di essere serio. Roteai gli occhi e lo seguii sù per le scale, poi lungo un altro corridoio. Quando si fermò davanti ad una porta che tendeva al grigio, capii immediatamente che eravamo arrivati.
«Qui sono sistemati quasi tutti gli alloggi. Quella porta lì» e indicò la porta proprio di fronte alla mia « è la camera di tua sorella Ally. Al suo fianco quella di Bucky, alla tua sinistra quella di Natasha mentre invece alla tua destra c'è quella di Wanda...» abbassò la mano e sospirò, improvvisamente serio. Nominare l'amica l'aveva scombussolato, così come scoprire che era scomparsa: per lui era stata una doccia fredda e, anche se si ostinava a nascondere tutto dietro una maschera di fredda neutralità, un'occhiata approfondita al suo sguardo mi fece capire che stava soffocando la preoccupazione e che quest'ultima non riguardava solo Wanda.
«Starà bene, Steve. La troveremo, e Tony guarirà.» provai a rassicurarlo, sorridendogli appena. Ebbi un fremito alla mano destra, che desiderava anche solo per un secondo sfiorare la sua spalla, ma mi costrinsi a restare immobile: non ero più una ragazzina in preda agli ormoni e, per quanto all'esterno il mio rapporto con Steve potesse sembrare totalmente normale, in realtà lui era una ferita ancora aperta per me che, ero sicura, in tutta quella situazione mi avrebbe causato molti guai.
La porta della camera di Ally si aprì piano e la nostra attenzione scattò su di lei, che usciva con una strana determinazione dipinta in volto. Steve sembrò improvvisamente a disagio.
«Vi aspetto in palestra.» disse, allungandomi la chiave della camera. Poi, dopo aver lanciato un veloce sguardo ad Ally, si avviò nella stessa direzione da cui eravamo venuti.
«Oh, Iris...» esclamò, dopo aver fatto qualche passo. Mi girai a guardarlo con un sopracciglio inarcato e lui indicò un'altra porta, dove si era fermato «questa è la mia, se mai avessi bisogno.» continuò. Poi, dandomi di nuovo le spalle, sparì dietro l'angolo.
Restai per qualche secondo interdetta, poi mi girai a guardare Ally, che si era poggiata allo stipite con una spalla.
«Di cos'è che volevi parlare?» chiesi, mentre infilavo la chiave nella toppa e aprivo la porta della mia camera. Fui colpita in pieno viso da caldi raggi solari che penetravano da un grande finestrone che occupava, quasi per intero, la parete proprio di fronte la porta. Alzai una mano per ripararmi gli occhi e misi a fuoco il resto della camera: la testiera di un grande letto, probabilmente di una piazza e mezza, era poggiata alla parete destra. Un tappeto beige sbucava ai lati e alla fine del letto, occupando gran parte del pavimento; proprio di fronte era disposto un piccolo armadio e, di fianco al letto, una porta bianca mi fece inarcare un sopracciglio. Mi ci avvicinai a passi veloci mentre Ally alle mie spalle entrava e chiudeva la porta dietro di se. Un piccolo post-it rosa era incollato alla porta e sopra, scritto con grafia dura, c'era un piccolo messaggio:

Operazione J.E.R.I.C.H.ODove le storie prendono vita. Scoprilo ora