𝟐. 𝐪𝐮𝐢𝐧𝐣𝐞𝐭.

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Iris.

Owen ci aspettava nel suo "formidabile" camioncino grigio, parcheggiato dietro una schiera infinita di Taxi, fuori all'aeroporto. Il viaggio di ritorno era stato terribilmente silenzioso: Ally mi aveva raccontato i dettagli della sua conversazione con Nick ed era sprofondata in un mutismo tipico del suo carattere.
Succedeva spesso, quando parlava con lui. Si chiudeva, presa dai ricordi, e riportarla alla realtà diventava difficile; lasciavo sempre fosse lei a tornare e non intralciavo quel processo, anche perché di solito non reagiva bene.
Quello che mi aveva raccontato mi aveva sconvolto.
Come avessero quasi ucciso Tony Stark, conosciuto dall'intero cosmo come "Iron Man", proprio non lo capivo, ma lui era ancora ricoverato, privo di coscienza, e circondato da guardie che lo controllavano 24h su 24h. Avevo l'insana abitudine di non guardare i telegiornali, visto tutto quello con cui avevo a che fare tutti i giorni, quindi mi era stato impossibile vedere i centinaia di servizi dedicati a quell'avvenimento che aveva sconvolto l'America.
E Wanda...
Continuavo a chiedermi perché nessuno avesse provato ad avvisarmi visto che, a differenza di Tony, per lei non c'erano stati servizi televisivi dedicati alla sua scomparsa, se non quelli che la vedevano come una ricercata.
Mi sarei aspettata una chiamata, un messaggio, qualsiasi cosa da parte di qualcuno, ma niente.
«Ragazze!» urlò Owen, spalancando dall'interno la portiera laterale del camioncino. Tornai bruscamente alla realtà, persa com'ero nei miei pensieri, e sorrisi appena alla figura sorridente e smagliante del ragazzo. Lanciai il borsone verso il retro e mi arrampicai sui sediolini, poi aiutai Ally a salire allungandole una mano. Lei richiuse il portellone dietro di se e si arrampicò fino a raggiungere i quelli anteriori, io mi sistemai meglio e sospirai, finalmente un po' più rilassata.
Owen avviò il motore, lanciò una veloce occhiata ad Ally e partì, diretto fuori città. Ci furono alcuni istanti di silenzio, poi mia sorella si schiarì la voce e mi guardò attraverso lo specchietto retrovisore, convinta di non essere vista.
«La conoscevi?» domandò, tamburellando le dita sottili sul ginocchio. Aspettai qualche secondo per rispondere, processando per bene la sua domanda e l'allusione che nascondeva. Wanda Maximoff non era morta.
Mi rifiutavo di accettare una cosa del genere.
Allungai le gambe sul sediolino che avevo di fianco e poggiai la nuca al portellone.
«Lei non è morta, Ally.» chiusi gli occhi e scossi appena il capo. Certo, era scomparsa da una settimana, ma questo non significava nulla. «E si, la conoscevo.» provai a legare i capelli in un piccolo codino, ma erano troppo corti e sfuggivano ripetutamente dalla mia presa, facendomi stizzire. Alla fine rinunciai, sbuffando.
«E come?» Ally si girò a guardarmi con un sopracciglio inarcato e le braccia incrociate al petto. Da quando avevamo lasciato lo S.H.I.E.L.D e ci eravamo messe in proprio non avevo più avuto modo di vedere nessun membro degli Avengers, quindi la sua domanda era più che lecita. A disagio per ciò che stavo per dirle, mi tormentai le mani e mi schiarii la gola.
«Ecco, sai quando ti ho detto che dovevo recuperare dei vecchi documenti per conto di Nick, in Germania?» lei annuì alla domanda. Eravamo state lontane per una settimana e lei aveva dovuto svolgere una missione da sola, rischiando più del dovuto. «Non era la verità.» strabuzzò gli occhi ed aprì la bocca, pronta a parlare, ma restò in quella posizione, fissandomi esterrefatta. Distolsi lo sguardo dal suo viso e lo puntai fuori dal parabrezza: avevamo lasciato il centro della città. I grattacieli avevano lasciato il posto ad edifici più bassi, alcuni in fase di ristrutturazione, a strade più strette e meno percorse, a magazzini e depositi.
Era una parte della città poco frequentata, in pratica perfetta per il nostro quartier generale: un vecchio magazzino abbandonato che avevamo acquistato sotto falso nome.
«Un piacere ad un vecchio amico...» sussurrai, mentre l'auto si fermava. Owen, che fino a quel momento era rimasto in religioso silenzio, sfilò le chiavi dal contatto e aprì la portiera dell'auto, ci lanciò un veloce sguardo e ci lasciò sole. Il rumore della portiera che si chiudeva rimbombò per l'intero abitacolo, spezzando il silenzio che ci aveva avvolte.
Ally, che mi fissava con un'espressione più comprensiva, si sedette di lato sul sediolino e scosse il capo.
«Steve Rogers.» scandì, sospirando. Chiusi gli occhi per qualche secondo, poi sospirai e li riaprii, incontrando il suo sguardo serio.
«Possiamo lasciar perdere?» allungai una mano dietro al mio sediolino, alla ricerca del borsone, ma sentivo il suo sguardo bruciare sulla mia schiena.
«Continui ancora ad aiutarlo...» sussurrò, come se io non potessi sentirla. Mi girai a guardarla di scatto e assottigliai lo sguardo, seria come non mai.
«Lasciamo stare?» lei fece spallucce ed io roteai gli occhi, poi sfiorai la manica del borsone con la punta delle dita e mi allungai ancora di più per afferrarlo.
«E che proprio non riesco a fermare le mie fantasticherie.» sbottò Ally proprio mentre stringevo la manica del borsone e tornavo a sedermi, trascinandolo con me. La guadai con la coda dell'occhio e scossi il capo, poi sistemai il finto bracciale al polso con un gesto stizzito.
«Certo, sei così romantica tu. Devo ricordarti quello che è successo?» arricciai il naso e lei mi fece la linguaccia, poi sprofondammo di nuovo nel silenzio assoluto.
Lo sportello anteriore sinistro si aprì di scatto.
«Qualcuno è entrato nel magazzino!» sussurrò Owen, facendo sbucare la testa e poggiando le mani sul sediolino. L'aria si tese di scatto e prima che me ne accorgessi ero appiattita contro un muro grigio, con la frusta che si srotolava dal mio polso lentamente, scivolando lungo la mia mano. Indicai a Owen di stare in silenzio e restare indietro mentre Ally si posizionava contro il muro opposto al mio. La serranda del magazzino era aperta per metà, il catenaccio rotto e lasciato a terra, nessun rumore proveniva dall'interno.
Lanciai un veloce sguardo a mia sorella e poi avanzai, calandomi per attraversare lo stretto spazio lasciato dalla serranda. Mi rialza, la frusta sfiorava appena il pavimento, ondeggiando ad ogni mio passo mentre attraversavo il piccolo corridoio che portava al magazzino vero e proprio. Mi appiattii di nuovo contro la parete e, come abitudine, portai la mano alla coscia, dove tenevo sempre la fondina con la pistola, ma non c'era. Chiusi gli occhi, rendendomi conto che l'avevo lasciata nel borsone, che era rimasto su, nel camioncino. Imprecai tra i denti e sporsi la testa oltre il muro, per vedere se c'era qualcuno ad aspettarci: le tre scrivanie erano vuote, i finestroni chiusi e i computer spenti. Niente sembrava essere stato rubato.
Fermo, al centro della stanza e con le mani unite dietro la schiena all'altezza del polso, stretto nel suo cappotto in pelle nera, c'era un uomo che conoscevo fin troppo bene.
Le sue entrate ad effetto erano inimitabili.
Rilassai le spalle ed uscii allo scoperto, avanzai di qualche passo e scossi il capo mentre la frusta tornava ad attorcigliarsi intorno al mio polso.
«Nicholas Joseph Fury, ti sei davvero introdotto in questo edificio?» la sua risata roca e bassa si diffuse in tutta la stanza, accompagnando Ally e Owen, che varcarono la soglia con un'espressione confusa.
«Non mi andava di aspettare fuori, piccola.» l'uomo che conoscevo da sempre si girò a guardarmi con un sorriso divertito sul volto, la solita benda nera a coprirgli l'occhio e qualche ruga in più sul viso.
«Nick!» Ally mi superò con le braccia aperte, pronta a stringerlo in un abbraccio soffocante. Lui la lasciò fare, come suo solito, e mi lanciò un veloce sguardo quasi si aspettasse li raggiungessi, ma non lo feci.
Mi piaceva osservarli, avevano un qualcosa di dolce.
Ally lo lasciò andare, ma si piazzò al suo fianco, scuotendo il capo apparentemente divertita.
«Come hai fatto a sapere che eravamo tornate?» domandai, inarcando un sopracciglio. Lui fece scivolare lo sguardo su di me e poi su Owen, che era rimasto in disparte.
«Ho tenuto d'occhio il vostro amico» spiegò, avanzando verso il diretto interessato, che avanzò a sua volta di qualche passo. Nick allungò una mano e Owen gliela strinse, provando ad assumere un'aria meno insicura. Ally mi affiancò con le braccia incrociate e mi rifilò una leggera gomitata, indicandomi poi col mento quella situazione esilarante.
«Owen Jordan.» si presentò il nostro collega. Nick sollevò un angolo della bocca, divertito, e si girò a guardarci. Assunse un'espressione di finto stupore e lasciò andare la mano di Owen, poi gli diede le spalle.
«Siete pronti?» chiese, allacciando le mani dietro la schiena. Owen, picchiettando con un dito sulla spalla di Nick, attirò di nuovo la sua attenzione.
«Pronti... per cosa?» chiese. Nick inarcò un sopracciglio, poi sorrise come se avesse capito qualcosa che a noi ancora sfuggiva.
«Dobbiamo andare, è tardi.» disse soltanto, avviandosi verso l'uscita. Ci fu uno scambio di sguardi confusi tra me, Owen e Ally, in cui restammo fermi senza capire bene cosa stava succedendo.
«Nick!» urlò mia sorella, seguendolo. Owen le corse dietro ed io, roteando gli occhi, li seguii. «Non abbiamo vestiti, armi, nulla. E poi, dove vuoi andare? E con quale mezzo? Non ci avevi detto saremmo partiti subito» stava urlando Ally, quando li raggiunsi all'esterno. Mentre loro discutevano, abbassai la serranda dietro di me e chiusi il tutto con l'apposito catenaccio, che fortunatamente non era stato rotto. Quando mi rialzai, un'enorme Quinjet era apparso dal nulla, sconvolgendo Owen, che lo fissava con occhi sbarrati e bocca aperta. Non era abituato a tutto quello, e io avevo perso la mano.
La tecnologia dello S.H.I.E.L.D era una delle migliori e, in particolare, quella riguardante la mimetizzazione dei loro mezzi di spostamento era una delle migliori e una delle mie preferite.
Il portellone si aprì, lasciando uscire la figura di una donna.
Riconobbi Maria Hill soltanto quando il sole le illuminò il viso magro.
«Siete pronti?» domandò, incrociando le braccia. Nick la raggiunse, seguito da un Owen super emozionato e una Ally un po' titubante. Quest'ultima mi lanciò un veloce sguardo prima di sparire all'interno del mezzo, chiamata a gran voce da Owen.
Fissai l'enorme Quinjet per qualche secondo con le mani all'altezza dei fianchi, nostalgica. Nick tornò indietro di qualche passo, accortosi della mia assenza.
«Non vieni?» chiese, sogghignante. «Lo so che ti è mancato un po' tutto questo.» aggiunse, facendomi l'occhiolino.
«Tipico!» scossi il capo e feci spallucce, lui incrociò le braccia al petto e mi fissò con uno strano sorriso sul volto.
«Sei pronta?» domandò, indicandomi l'interno del Quinjet con un gesto del capo. Quella domanda nascondeva molto altro, ma mi limitai a fare spallucce.
«Dov'è che andiamo?» urlai, sovrastando il rumore dei motori in accensione: Maria si preparava al decollo.
«Wakanda,» sorrise al mio arricciare il naso «dal resto dei vostri collaboratori, se così possiamo chiamarli.» continuò, tornando all'interno del Quinjet.
Scossi il capo e sospirai, poi li raggiunsi e il portellone si chiuse alle mie spalle. Feci scivolare lo sguardo sui presenti, sulle armi, le divise e le piccole panche di metallo tanto familiari.
«Quanto ci vorrà?» Owen raggiunse Maria, che lo guardò con un sopracciglio inarcato.
«Mettetevi comodi, sarà un viaggio lungo.» ordinò e non me lo feci ripetere due volte. Mi lasciai cadere su una delle panche, allacciai la cintura e poggiai la schiena alla parete.
Il Quinjet decollò senza problemi.

Operazione J.E.R.I.C.H.ODove le storie prendono vita. Scoprilo ora