𝟏𝟎. 𝐟𝐞𝐧𝐢𝐤𝐬.

516 13 5
                                    


Iris.


La voce di Shuri mi arrivava alle orecchie ovattata, lontana, sovrastata dal rumore del mio respiro, che mi rimbombava nelle orecchie senza lasciar posto ad altro; la seguivo per i corridoi con lo sguardo fisso davanti a me, senza nemmeno vedere dove stessimo andando. E un po' mi dispiaceva, snobbarla in quel modo visto quanto si stava impegnando per alleggerire la situazione, ma proprio non riuscivo a distogliere i pensieri dalla conversazione appena svolta in quel dannato laboratorio.
Ascoltare Ally vomitare la storia della nostra vita mi aveva destabilizzata, e per quanto fossi riuscita a dissimulare con il resto dei presenti, non potevo mentire a me stessa: quelle parole avevano riportato a galla ricordi sotterrati da un po', sensazioni che avevo dimenticato e che speravo di non risentire mai e che avevano soffocato a loro volta il mio lato furioso, che aveva bramato lo scontro fin da quando tutta quella situazione era cominciata. Mi ci ero aggrappata, per non restare troppo a lungo con quella parte di me ferita, e adesso che mi era rimasta soltanto quella non sapevo cosa fare.
Andare in missione era un'alternativa alla fuga, e non vi avrei rinunciato per nulla al mondo, per questo avevo accettato immediatamente la proposta di Shuri. Se le cose fossero andate diversamente, ovvero se Ally non mi avesse convinta a confessare anche quel segreto, avrei gridato con quanta voce avevo in corpo il mio disappunto, ma non ne avevo la forza.
Non in quel momento, ed era così poco da me.
«Iris!» la voce di Shuri, accompagnata dallo schiocco delle sue dita davanti al mio viso, riuscì finalmente a penetrare in quella bolla che mi aveva circondata. Alzai lo sguardo su di lei, disorientata, e mi accorsi che c'eravamo fermate all'entrata di un'ampia sala circolare, dalle pareti nere e lucide come quelle del corridoio, e che aveva tutto l'aspetto di essere un secondo laboratorio: più grande, più freddo, ad occhio più attrezzato. Mi chiesi quanti ne ospitasse, quell'enorme palazzo che sembrava non avere fine.
«Scusami.» mormorai, passandomi nervosamente una mano tra i capelli. Il suo viso si addolcì e un sorriso gentile le dipinse le labbra mentre, battendo una mano sul lettino vicino a cui si era fermata, m'invitava a raggiungerla; lo feci senza farmelo ripetere due volte, perché era già troppo il disturbo che le stavo provocando.
«Hai l'aria distrutta.» mormorò, mentre con gesti meccanici spostava la T-shirt per staccare la garza che copriva la ferita, poi si allungò verso un carrello che non avevo visto prima, dai cui recuperò un paio di forbici terribilmente sottili.
«Sono stanca.» ammisi, passandomi distrattamente una mano sul viso «Distrutta, ferita, spossata.» aggiunsi, elencando il tutto sulle dita della mano mentre lei tranciava di netto i punti di sutura: una fitta fastidiosa si diffuse per l'intero braccio e un verso di dolore mi fuoriuscì dalle labbra senza controllo. Lei si scusò con un mezzo sorriso.
«Quindi non sei arrabbiata?» domandò, mentre si girava a recuperare una siringa contenente un liquido bluastro: l'ago, sottile come mai nessuno prima, era quasi invisibile. Alla vista del siero mi agitai sul posto e mi ci volle tutta la forza che possedevo per fermare la valanga di ricordi che quel gesto riportava a galla.
«Triste,» dissi «ma non arrabbiata. Non più.» aggiunsi, perché era la verità più pura. «Perché mi conoscono da anni, ma non c'hanno messo molto ad affiancarmi a mio padre, agli orrori che ha commesso, e per fargli capire quanto in realtà sia io, che Ally, siamo il suo opposto hanno avuto bisogno di sentire tutta la nostra storia.» continuai, bisognosa di sfogarmi con qualcuno. Shuri restò ad ascoltarmi, con la mano sospesa a mezz'aria, bloccata nel movimento di iniettare il siero.
«Non gli è bastata la nostra amicizia, gli anni in cui abbiamo lavorato spalla a spalla. Hanno dovuto ascoltare una parte della mia vita che ho provato a dimenticare in tutti i modi, riportando a galla ricordi scomodi. Ho dovuto stare a guardare mentre mia sorella rivelava qualcosa di me, di noi, che mi fa ribrezzo, che odio. E se prima la cosa mi faceva arrabbiare, da quando siamo uscite dal laboratorio mi sono resa conto che mi riempie soltanto di un'infinita amarezza, perché ho capito che per quanto tu possa scappare dal tuo passato, quello prima o poi ti raggiunge sempre.» conclusi, e il silenzio calò di nuovo su di noi. Shuri si riscosse, quando mi voltai a guardarla, e iniettò il siero con tutta la delicatezza che aveva.
«Non credi che, in realtà, anche loro siano feriti dal fatto che tu non ti sia aperta del tutto, nonostante l'amicizia che vi lega?» domandò, e io inarcai un sopracciglio. Lei si raddrizzò e adagiò la siringa, ormai vuota, sul carrello alle sue spalle.
«Loro si fidavano, soprattutto di te, e poi questa cosa viene fuori e tutte le loro certezze crollano di botto, subentrano i dubbi, la rabbia prende il sopravvento e si sa che, quando è la rabbia a parlare, le cose non vanno mai per il verso giusto.» concluse, facendo spallucce.
«Quindi gli dai ragione?» domandai, titubante, perché non mi era del tutto chiaro da che parte pendesse il suo discorso.
«Credo semplicemente che il giusto sia nel mezzo. Loro non dovevano paragonarvi a vostro padre, attribuirvi colpe che non avete, e magari se tu avessi rivelato le tue origini tempo fa, prima che vostro padre vi facesse tutte quelle cose orribili, adesso non sareste in questa situazione.» spiegò, annuendo alle sue stesse parole. Ci riflettei per qualche secondo, mentre il braccio iniziava ad intorpidirsi.
«Ma forse non saremmo in questa situazione perché non ci sarebbe nessuna amicizia...» mormorai, facendo spallucce. Lei sospirò.
«Ma non puoi saperlo, tesoro. Adesso siete qui, vuoi buttare all'aria tutto per un errore? D'altronde, vi hanno chiesto scusa. Perché non provi a superare il tutto?» domandò, mentre recuperava una borsa del ghiaccio dal carrello, che poggiò sulla ferita.
Le sue parole non erano del tutto errate.
«Principessa?» chiamò una voce che non riconobbi, facendomi voltare di scatto verso la soglia del laboratorio: una donna, in divisa da Dora Milaije, attendeva sugli attenti, con una lancia stretta nella mano destra e un'espressione seria in volto.
«Cosa succede?» chiese Shuri, spostando di poco la borsa del ghiaccio per controllare la ferita.
«Tutto è pronto per il decollo.» spiegò, facendo oscillare lo sguardo da me, alla sua principessa.
Mi voltai a guardare Shuri, che sorrise e ripose la borsa del ghiaccio sul carrellino.
«Va pure, sarai come nuova quando arriverete a San Francisco.» disse e poi alzò lo sguardo sulla porta. «Nyv!» chiamò, e la Dora Milaije tornò sui suoi passi, apparendo di nuovo sulla soglia.
«Si, principessa?» domandò, sempre sugli attenti.
«Guida Iris fuori da questo labirinto di corridoi, per favore.» ordinò, col suo solito tono dolce. Nyv, doveva chiamarsi così, annuì e attese pazientemente che la raggiungessi, così tornai coi piedi per terra e sistemai la T-shirt, per poi lanciare uno sguardo a Shuri.
«Grazie,» mormorai, slanciandomi per stringerla in un abbraccio un po' impacciato, che ricambiò titubante «per tutto, davvero.» aggiunsi poi e lei si aprì in un sorriso felice mentre la lasciavo andare.
Le diedi così le spalle e seguii Nyv lungo un corridoio che non ricordavo d'aver attraversato, poi su per una rampa di scale e alla fine ci fermammo alla soglia del corridoio in cui si trovava il mio alloggio.
«Va bene qui, grazie.» dissi, sorridendole appena. Lei ricambiò inclinando appena la testa, sbatté l'estremità della lancia sul pavimento, poi mi diede le spalle e se ne andò, diretta chissà dove.
Rimasta sola, raggiunsi la camera a passo svelto, per poi bloccarmi sull'uscio una volta aperta la porta: adagiata sul letto c'era una tuta da combattimento che non avevo mai visto prima.
Mi avvicinai con un sopracciglio inarcato e afferrai titubante il bigliettino adagiato su di essa:

Operazione J.E.R.I.C.H.ODove le storie prendono vita. Scoprilo ora