Capitolo 29

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Guardarono tutti e tre contemporaneamente il signor Thompson: Grace sempre più perplessa, suo padre sgranando gli occhi e schiudendo di poco la bocca, Steve spaventato.

«Dunque, mi dite cosa sta succedendo? Il nostro debito non era stato pagato?» chiese Grace rivolta al fornitore.

«Sì, ma… mi è sfuggita ancora una piccola quota» rispose quest’ultimo con tutta calma, lanciando a Steve un’occhiata fugace che non sfuggì a Grace.

«Se ne vada!» esordì Christopher deciso, fermo ancora sulla soglia del negozio. «Non c’è alcun debito.»

«Vedremo!» aggiunse con un ghigno Thompson, voltandosi verso l’uscita. «Ci sentiamo, Low!» disse poi rivolto a Steve ma senza guardarlo, alzando un dito, per poi uscire sotto la pioggia.

Christopher chiuse la porta facendola sbattere e borbottando qualcosa di incomprensibile, dirigendosi al bancone dove Steve sembrava essersi pietrificato.

«Ti senti bene? Cosa c’entri tu con lui? Lo conosci?» chiese Grace al giovane, curiosa di capire come facessero i due a conoscersi.

Steve si riprese per evitare l’interrogatorio da parte della sua ex fidanzata, non poteva permettersi di cedere, né Grace né suo padre dovevano mai scoprire che dietro la riscossione di quel debito, in realtà inesistente, ci fosse lui. Anche se aveva smesso di giocare d’azzardo, ormai non riusciva comunque a far fronte ai debiti che ancora aveva nei confronti di Thompson.

«Sì, lo conosco,» ammise Steve, «c’incontravamo sempre alle partite di football, eravamo nella stessa tifoseria» aggiunse mentendo.

Grace gli credette, il suo pensiero ora era un altro, anzi, erano due: non solo capire perché Thompson voleva altri soldi, ma capire soprattutto suo padre cosa avesse, perché era certa che le nascondesse qualcosa da quando era tornata da Cairns. Ovviamente, però, trovò l’ennesimo muro: l’ostinazione di Christopher era invalicabile.

Steve andò via senza fiatare, salutò augurando loro semplicemente buona serata per poi dileguarsi sotto la pioggia battente.

Il resto del pomeriggio trascorse nel silenzio e nella calma più assoluti, nessun cliente entrò, probabilmente a causa del tempo, e Grace non fece che arrovellarsi il cervello.

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«Ti ho detto che non devi presentarti alla Find Your Time, mi faccio vivo io» sbottò Steve al telefono.

«Low, forse non sono stato abbastanza chiaro: se entro due giorni non avrò tutti i miei soldi, capiterà che farò spesso visita alla tua bella morettina… Devo dire, il biondo non le stava per nulla bene, ma ora è davvero un bel bocconcino» disse Thompson, facendo accapponare la pelle a Steve.

«Non azzardarti a toccarla…»

«Altrimenti?» Thompson non diede tempo al giovane di terminare la frase. «Ti ho avvertito, Low! Due giorni, poi chissà…»

La telefonata s’interruppe, Steve scaraventò il telefono sul pavimento in preda all’ira. Anche se Grace non gli apparteneva più, avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerla e, come già tempo prima, continuava a credere che sposandola poteva evitare l’irreparabile, portandola con sé lontano. Questo piano, però, era fallito, il cuore di Grace apparteneva a qualcun altro e lui non aveva più alcuna possibilità di attuarlo. Purtroppo il tempo incalzava e Steve si trovò costretto a trovare un’altra soluzione…

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La pioggia aveva portato, finalmente, una brezza di aria fresca in quei due giorni. Non aveva smesso un attimo di piovere.
Approfittando di quella tregua, nonostante il clima e la vegetazione si fossero rinfrancati, Grace raggiunse la sommità della scogliera lasciando finalmente fluire tutti i pensieri che la stavano travolgendo. Si perse ad osservare le increspature delle onde nell’oceano sottostante e non si accorse di una presenza poco distante da lei. Qualcuno la osservava nascosto tra gli alberi alle sue spalle.
Il suo telefono, poi, squillò.

«Amore mio!» rispose, sorridendo nel leggere sul display il nome di Jeremy.

«Come stai, mia bellissima Penelope?»

«Bene, ma starei meglio se il mio Ulisse tornasse da me.»

«Tornerò molto presto, lo prometto! Ma tu, dimmi, cosa fai?» chiese Jeremy sorridendo a quelle battute scherzose.

«Sono al nostro posto, persa a guardare l’orizzonte e a pensare a te.»

«Vorrei essere lì con te, allora, osservarti mentre ti passi una mano tra i capelli mossi dal vento…»

«È proprio quello che sto facendo, sai?» sorrise Grace.

«Vorrei perdermi nel tuo sorriso e baciare quelle labbra sulle quali si posa una ciocca di capelli…»

Istintivamente, Grace scostò la ciocca che le svolazzava sul volto e si adagiava prepotente sulle sue labbra.

«Vorrei stringere quella mano che accarezza lieve l’erba verde accanto a te…»

Grace si accorse che stava proprio sfiorando i fili d’erba che si agitavano delicatamente sul prato.

«Sembra quasi tu stia vedendo i miei gesti» disse, sorridendo ancora di più e chinando leggermente la testa di lato.

«Ma dai… è solo che conosco di te molto più di quanto immagini» mormorò Jeremy. «Infatti, ora vorrei accarezzare quella guancia che quasi sfiora la tua spalla…»

Questa volta Grace non disse nulla ma si voltò di scatto. Aveva sentito dei rumori e il cuore cominciò a batterle forte.

«Cosa succede?» le chiese Jeremy, divertito.

«Dimmi che sei nascosto da qualche parte… C’è qualcuno qui» rispose, allertata.

Sperò che Jeremy sbucasse da dietro uno dei tanti alberi, ma già da quella mattina era pervasa da strane sensazioni.

Capendo che qualcosa la stava seriamente preoccupando, lui si palesò dinanzi ai suoi occhi sbalorditi.
Il sorriso, che poco prima aveva illuminato il volto di Grace, tornò ad irradiarla, mentre col cuore che scoppiava di felicità corse a perdifiato tra le braccia di Jeremy, che la sollevò da terra all’istante per avvolgerla a sé e baciarla come a voler recuperare, finalmente, il respiro.

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