Capitolo 37

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I voli da Sidney erano stati tutti annullati a causa di un’improvvisa tempesta di pioggia e vento. Jeremy era nella disperazione più totale, nonostante non fosse colpa di nessuno, quasi inveì contro l’hostess del check-in che cercava di rimediare ai danni subiti a molti passeggeri. I ritardi e le soppressioni dei voli comportavano sempre tanto scompiglio. La ragazza cercò di rimanere calma davanti alla sfuriata dei viaggiatori, cercando di spiegare che in quelle condizioni metereologiche era impossibile volare, ma che sicuramente si trattava di una sospensione momentanea. Con tutta probabilità nel primo pomeriggio tutti i voli sarebbero stati ripristinati. Jeremy si portò le mani nei capelli, non riusciva a rimanere calmo ma non aveva altra scelta se non quella di aspettare.

Poi, come se i problemi non bastassero, ricevette una telefonata da un numero sconosciuto, con la speranza che in qualche modo fosse Grace rispose con un’agitazione che gli tolse per un attimo il respiro. Purtroppo apprese essere una sua vecchia paziente, della quale si ricordò, che gli chiedeva consiglio per un’amica che stava male. Rispose in maniera abbastanza evasiva senza ascoltare attentamente ciò che la donna gli diceva, riuscì, però, a consigliarle cosa fare. Il pensiero di Grace era talmente invadente che la sua mente era letteralmente offuscata per badare alle altre cose. Non era da lui quell’atteggiamento scontroso, evasivo, incurante, ma non riusciva a pensare ad altro se non alla sua Grace nelle mani di chissà chi. Sperava soltanto che stesse bene e non le facessero del male.

Dopo che l’hostess gli ebbe detto che, se il tempo permetteva, il primo volo per Brisbane sarebbe decollato alle due del pomeriggio, Jeremy non poté fare altro che attendere. Non tornò a casa, ma si accasciò su una delle poltrone delle varie aree d’attesa, provando e riprovando a ricontattare Christopher sia sul cellulare di Grace che sul fisso del negozio, ma inutilmente.

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Durante la mattinata, il cielo parve darsi una calmata. Di tanto in tanto qualche goccia di pioggia scorreva di nuovo sulle immense vetrate che affacciavano sulle varie piste. Verso mezzogiorno qualche aereo cominciò ad atterrare e nel giro di mezz’ora aprirono i primi gate. Jeremy guardava il monitor con sguardo implorante, quasi come se con la forza del pensiero potesse far comparire l’ora del suo volo. Finalmente, dopo ore di attesa estenuanti, poté imbarcarsi sul volo per Brisbane, che sarebbe appunto decollato alle quattordici come annunciato quella mattina dall’hostess.

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Jeremy si precipitò, col cuore che gli martellava nel petto, a casa di Christopher. Bussò senza interruzione, a costo di sembrare maleducato, ma non resisteva più. E quando l’uomo aprì la porta non borbottò come suo solito, piuttosto, vedendosi davanti il giovane dottore, gli tese la mano e lo invitò ad entrare accompagnandolo affettuosamente tenendolo per il braccio. Nel salotto trovò anche Steve. Jeremy lo guardò incuriosito.

«La prego, Christopher, mi dica cosa è successo. Sto provando a chiamarla da ieri sera, sono nel panico più totale. La prego, mi racconti tutto!»
La voce a Jeremy uscì strozzata.

Dopo avergli porto un bicchier d’acqua, Christopher prese a raccontargli ciò che sapeva.

«Quel maledetto di Thompson me la pagherà cara!» concluse serrando i pugni.

«E la polizia non riesce a risalire a quest’uomo? Com’è possibile che non si trova da nessuna parte?» sbraitò Jeremy sconvolto, lanciando a Steve un’occhiata truce.

«Dicono che probabilmente è una specie di latitante, hanno scoperto che ha debiti con molta gente ed altri ne hanno a loro volta con lui. Da altre fonti, invece, pare che non possa lasciare la città a causa di sua moglie, per cui è costretto a cambiare abitazione molto spesso e lo fa sotto falso nome. Nessuno sa dove vive in questo momento e… Oh, Grace!»

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