Capitolo 3

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Il campanellino tintinnò non appena la porta del piccolo negozio di orologeria si aprì. Una donna si avvicinò al bancone estraendo dalla borsa un vecchio orologio da polso al quale bisognava cambiare la carica. Doveva tenerci tanto essendo un oggetto per niente a che vedere con gli orologi moderni, piuttosto sarebbe potuto essere un oggetto da antiquariato. Grace segnò il nome della cliente riponendo quel monile in un sacchettino e invitandola a ritornare entro un paio di giorni.

Non appena la donna andò via, Grace sospirò guardandosi intorno. Si chiese perché continuasse a stare lì, circondata da orologi a pendolo che ricordavano l’era vittoriana, orologi a cucù che le facevano venire in mente mastro Geppetto, orologi da parete vintage, in legno, alcuni antiquati dei quali, però, qualcuno ne era ancora attratto. Grace portò il suo sguardo sulla parete di fronte dove, invece, facevano bella mostra di sé orologi modernissimi dai design più disparati accanto ai più semplici digitali. Si poteva dire che in quella piccola bottega il tempo non aveva tempo: passato, presente e futuro convivevano in una strana e stravagante armonia. Non a caso il suo nome era Find Your Time, “Trova il Tuo Tempo”.

Lì, Grace si sentiva talvolta imprigionata, oppressa da un presente che sembrava essere stato relegato in un passato dal quale non riusciva a venirne fuori ed era consapevole che a “legarla” fosse suo padre, ma non gliene faceva una colpa. Era lì per lui, per aiutarlo a mandare avanti quell’attività che suo nonno aveva messo su più di mezzo secolo prima e che, fortunatamente, non era mai vacillata.

Ma Cristopher Path, il padre di Grace, non aveva più la forza e la volontà di occuparsi di clienti esigenti o che temporeggiavano troppo sull’acquisto di un pezzo più unico che raro: la particolarità della Find Your Time era sempre stata quella di procurarsi solamente orologi di cui non fossero fatte altre copie e trovare fornitori disposti a rispondere a tale richiesta aveva comportato, sin dai tempi del nonno di Grace, spese esigenti e talvolta compromessi che, per fortuna, non avevano mai intaccato le finanze né la vita privata della famiglia Path.

Dopo la morte della moglie, Cristopher si era chiuso in se stesso, perdendo la voglia di lavorare, di uscire, di muoversi, di respirare. Col tempo, Grace, nonostante il duro colpo, era riuscita a risollevarlo facendolo sentire in colpa: «Se la mamma ti vedesse così cosa penserebbe di te? Di aver sposato un relitto umano, un buon a nulla, un uomo debole...» Sapeva di ferirlo ma dopo ormai quasi due anni suo padre aveva bisogno di una scossa, non riusciva a vederlo abbandonato a se stesso come se al mondo non avesse più nessuno. E lei, lei chi era? Non era forse sua figlia? Non aveva forse diritto di pretendere di ritrovare il suo affetto? Tante volte si era sentita messa da parte, quasi come se per Cristopher fosse morta pure lei. Lei che se ne prendeva cura, che lo incitava a reagire ma senza riuscirci, lei che aveva abbandonato i suoi sogni per mandare avanti l’orologeria. Mai una volta Grace si era pentita di averlo fatto e dentro di sé sperava sempre di sentire il suono acuto del campanellino e veder comparire sulla porta suo padre.

L’evento accadde due giorni dopo la sua sfuriata e dopo aver deciso di non rincasare come ogni sera. Credette che quella fosse una visione, insieme all’uomo penetrò un fascio di luce così forte da far apparire davvero il tutto evanescente. Grace sventolò una mano davanti agli occhi per cacciar via ciò che credeva essere uno scherzo della sua mente.

«Dove sei stata?» le chiese Cristopher accigliato ma mantenendo la calma.

Ancora non riusciva a credere che suo padre fosse davvero lì. Rimase sbigottita eppure, dopo alcuni istanti, un sorriso di felicità le incorniciò il viso.

«Da Steve.»

«Mh!» bofonchiò suo padre. «È ancora vivo?»

«Cosa?» chiese accigliata Grace.

«Credevo vi foste lasciati» esclamò infastidito Cristopher. Non aveva mai capito la vera indole di quel ragazzo, all’inizio lo aveva accolto senza remore, osservava come trattava Grace con i guanti, sembrava fuori dagli schemi e gli ricordava lui da giovane quando corteggiava sua moglie. Col tempo, però, aveva intuito che la galanteria dei primi mesi pian piano era svanita, ma Grace giustificava la cosa asserendo che era normale, dopo tanti anni, cadere nell’abitudine. Christopher non rispondeva, non voleva disilludere la sua “bambina”, non voleva crearle un dispiacere, ma lui non aveva mai smesso di avere attenzioni per sua moglie. In rare occasioni, però, Steve sembrava ricordarsi delle buone maniere e quell’atteggiamento accendeva lo sguardo di Grace al punto da ricredersi sul giovane. Solo una cosa sembrava rimanere in sospeso...

«Cosa te l’ha fatto pensare?» domandò Grace sempre più attonita.

«Quindi vi sposerete?» chiese quasi sarcasticamente Cristopher.

«Fammi capire,» esplose sua figlia, «sei finalmente uscito dal letargo dopo quasi due anni e vieni qui a farmi la morale? A me che da due anni sclero dietro a fornitori sempre più esigenti come se fossero loro a pretendere l’unicità di questo negozio… Punti il dito contro di me che mi faccio in quattro per vendere oggetti che nessuno più vuol comprare… Vieni a rimproverarmi di non essermi ancora sposata mentre in tutto questo tempo non ho fatto altro che prendermi cura di te sentendomi abbandonata come se fossi morta anche io…»

Cristopher guardò in silenzio il viso arrossato di Grace e i suoi occhi colmi di lacrime. Nonostante in quei due anni fosse stato “assente”, conosceva ancora bene sua figlia da capire che quelle parole erano uno sfogo per la frustrazione di una vita probabilmente vuota e insoddisfatta. Si avvicinò lentamente, quasi come se temesse che lei potesse aggredirlo sferrandogli pugni o schiaffi, e nel caso se li meritava tutti per averla abbandonata a se stessa. Solo quando furono a pochi passi l’uno dall’altra, lui capì che non avrebbe ricevuto altri insulti; tutto ciò che la sua “piccola” Grace chiedeva attraverso lo sguardo era ritrovare suo padre. Senza attendere conferme o chiedere permesso, si strinsero in un abbraccio silenzioso che non aveva bisogno di parole.

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