꧁ (0.2) ꧂

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"sono felice di annunciare la sua gravidanza."

la frase continuava a ripetersi costantemente nella sua testa.

"...la sua gravidanza"

no, non poteva essere possibile.
non in quel momento.
vanessa sentì il mondo crollarle sotto i piedi, si alzò dalla sedia sulla quale era seduta e scappò letteralmente via dalla stanza.

lo voleva quel bambino o bambina che fosse.
lo voleva con tutta se stessa, ma non in quel momento.
non quando tra due settimane suo marito sarebbe dovuto partire e non si sapeva nemmeno quando sarebbe tornato, o meglio se sarebbe tornato.

voleva essere realista.
namjoon stava comunque andando in guerra, per difendere la sua patria e non sapeva se sarebbe veramente tornato vivo.
non voleva essere pessimista, ma sapeva a cosa stava andando in contro.
un marito in guerra.
non se lo sarebbe mai immaginato, era spaventata, avrebbe voluto andare con lui, ma non poteva farlo e solo il pensiero di lui in un contesto del genere, le metteva i brividi.

non risuciva a stare senza di lui per più di qualche ora, figuriamoci per un tempo nemmeno ben definito.
le sembrava tutto un incubo.
e ora la notizia del bambino, cazzo.

a un certo punto si fermò in mezzo alla strada, cercando di riprendere fiato, le girava la testa, le era salita la nausea e voleva solo piangere e urlare, ma cercò di trattenere questa sua crisi.

doveva essere forte, per lei, per lui e per-

sentì delle grandi mani, calde e morbide, cingerle i fianchi dolcemente, un mento appoggiarsi sulla sua spalla e delle labbra lasciarle dei piccoli baci su di essa.

le mani si spostarono sul ventre di haeun, iniziando a tracciare dei piccoli cerchi su di esso, prendendo poi ad accarezzarlo dolcemente.

la mora girò leggermente la testa, incontrando i grandi occhi di suo marito, che le stava rivolgendo uno dei suoi soliti sorrisi dolci e rassicuranti.

ma lei non risuciva a calmarsi.
nel momento esatto in cui aveva incontrato lo sguardo di namjoon, le lacrime avevano preso a scenderle imperterrite dagli occhi.
non ce la faceva, non ce l'avrebbe mai fatta ad affrontare tutto questo da sola.

"portami a casa, nam ti prego"
fu tutto quello che riuscì a dire con un filo di voce.
namjoon non se lo fece ripetere due volte e viste le sue condizioni, la prese in braccio, portandola verso la macchina, fregandosene degli sguardi della gente che passava.

vanessa poggiò la testa sul petto del ragazzo, pensando di calmarsi, ma ascoltare il battito del suo cuore, cosa che non avrebbe potuto più fare di lì a qualche settimana, fece peggiorare solo la sua situazione.
i singhiozzi aumentarono sempre di più e
strinse ancora di più le sue braccia che stavano circondando il collo del marito, che nel frattempo stava cercando di mantenere la calma il più possibile.

ma a questo gesto, i suoi occhi diventarono lucidi e iniziò a sentire un peso al petto, segno che anche lui stava per scoppiare a piangere da un momento all'altro e sentire la sua donna piangere così e aggrapparsi così a lui, lo rendeva solo più instabile.

fortunatamente arrivarono alla loro auto, namjoon poggiò premuratamente la sua ragazza sul sedile, posandole poi, con le labbra leggermente tremanti, un bacio sulla fronte.
lei non lo guardò nemmeno.
non ci risuciva, voleva evitare il suo sguardo il più possibile.

vanessa infatti, anche quando sentì il marito sedersi e far partire l'auto, mantenne sempre lo sguardo oltre il finestrino, tenendo una mano sulla bocca, per cercare di non fare sentire i suoi singhiozzi, che non volevano smettere.

namjoon d'altro canto, non smetteva di guardala nemmeno un attimo, le prese la mano stringendola alla sua, come per darle un minimo di rassicurazione, ma nemmeno con questo riuscì ad avere una reazione da lei.

arrivarono a casa e lei fu la prima a scendere dall'auto, correndo dentro, seguita da lui, che non sapeva davvero come prendere in mano la situazione.

vanessa, con ancora le lacrime agli occhi, si tolse nervosamente le scarpe, rimosse le forcine dai capelli lasciando che le poche ciocche raccolte le cadessero in faccia, così che in qualche modo potesse nascondere il suo stato pietoso e provò a slacciarsi da sola il vestito color panna che indossava quel giorno.

ovviamente non ci riuscì e subito il moro, che era rimasto tutto il tempo a fissarla, non sapendo come muoversi o come comportarsi si avvicinò a lei.
le spostò delicatamente le mani dalla cerniera, che venne portata giù da lui.
lei si bloccó.
le mani del ragazzo avevano iniziato ad acarezzarle la schiena , rimuovendole il vestito che cadde a terra, la girò poi verso di se e finalmente la potè guardare negli occhi, ancora velati di lacrime.

le accarezzò il viso dolcemente, mantenendo sempre il contatto visivo, cercando di non piangere, nel vederla in quelle condizioni e nel pensare che in sua mancanza le cose sarebbero state ancora peggio.
ma purtroppo cedette, quando lei poggiò la mano sulla sua.
era stato un gesto infantile, ma bastò nel farlo
cadere in ginocchio davanti a lei.

appoggió la testa sul suo ventre nudo, e le braccia le circondarono i fianchi, stringendoli forte.

lei aveva preso ad acarezzarli i capelli, tremando leggermente.
non lo aveva mai visto piangere così.
cercava di essere sempre felice, di darle stabilità anche quando tutto le crollava addosso, di essere forte per entrambi.
ma la situazione pesava.
e anche troppo.

adesso era vanessa che si trovava davabti suo marito, che era in procinto di partire, a terra, mentre piangeva contro il suo ventre.
lei non avrebbe avuto lui, ma avrebbe portato nel suo ventre il frutto del loro amore.
l'aveva capito solo in quel momento.
avrebbe sempre portato qualcosa di lui con sé, ma era lui che non avrebbe potuto avere né uno, ne l'altro.
sarebbe stato distante, non avrebbe potuto vederla con il pancione o seguire la sua gravidanza come aveva sempre desiderato.

"vane-"
il moro si staccò un attimo dal ventre di lei, ormai completamente bagnato dalle sue lacrime, perché aveva bisogno di ritrovare la pace negli occhi da cerbiatta di cui tanto si era innamorato.
la ragazza cercò di sorridergli, prendendo anche ad accarezzargli i capelli, cercando di farlo rilassare.

"amore, non volevo che succedesse adesso, non dovevo, non vole-"
"nam-"
"non ce la faccio, non vedrò mia moglie portare avanti la gravidanza, non potrò stare con lei quando avrà bisogno di me, non sentirò il bambino scalciare per la prima volta, non potrò fare nulla di tutto questo, perché sarò così lontano."

avrebbe anche voluto aggiungere un "forse questo bambino non conoscerà nemmeno mai suo padre." ma si trattenne.

"nam, sai anche tu quanto abbiamo desiderato questo bambino, è stato davvero un miracolo, visto la quantità di volte in cui abbiamo ci provato.
non devi incolparti di niente, l'abbiamo deciso insieme, ce la farò, ce la faremo."

"voglio stare con te, non voglio andarmene, amore, non voglio."

vanessa percepì tutta la paura del marito.
non sapeva nemmeno lei cosa dire, perché anche lei era spaventata, terrorizzata, specialmente dall'idea di perderlo.
ma doveva essere forte, doveva farlo.

poggiò le mani sulle guance di namjoon, invitandolo ad alzarsi.
si ritrovarono faccia a faccia e haeun subito si fiondò sulle labbra del marito
fu un bacio bisognoso, un bacio che indicava che non si sarebbero mai persi, un bacio che faceva capire quanto si amassero, e quanto necessitavano l'uno dell'altro.
un bacio che urlava: "resta, ti prego."
un bacio che rispondeva: "non posso."
un bacio nel quale erano rachhiusi tutti i ti amo che avrebbero voluto dirsi.
un bacio che volevano farlo durare in eterno, andando al di là del concetto di tempo e di spazio e immaginando di rifugiarsi in un loro universo, dove potevano crescere il loro bambino e essere felici.

e forse quel momento sarebbe arrivato.
forse.
si staccarono in mancanza di fiato, intrecciarono le loro mani e rimasero con le fronti appoggiate una contro l'altra, fin quando namjoon, calmatosi un pochino le sussurrò un:

"andrà tutto bene, vane"

e vanessa a quella frase, avrebbe voluto tanto crederci.









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