La principessa e il ranocchio

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Quella era di certo la decisione peggiore che avesse preso nella sua vita.
Non poteva credere che stesse davvero per farlo, forse era impazzito ed era arrivato il momento di prenotare una seduta da uno specialista, perché nel suo cervello doveva esserci qualche rotella fuori posto.
Osservò l'insegna a neon rossa e un ragazzo uscire dal negozio proprio in quel momento con un grosso sorriso sulle labbra, mentre si accingeva a pescare nella tasca dei pantaloni le chiavi della macchina. Forse, avrebbe dovuto chiedere a Jimin di accompagnarlo, ma non voleva dargli motivo di prenderlo ulteriormente in giro, come se già il fatto che stesse sotto Jungkook non bastasse. Namjoon e Jin gli avrebbero confermato che quella era decisamente una cazzata colossale, mentre Hoseok lo avrebbe accompagnato per poi svenire e, allora, sarebbe stato come essere solo.
Aveva benissimo vissuto così fino a quel momento, non era davvero necessario compiere quel passo, non lo era per niente, eppure si trovava lì, guardandosi attorno alla ricerca di qualsiasi cosa potesse fungere da scusa per girare i tacchi e salire in macchina, ma niente sembrava poter fare al caso suo.
Sfilò dalla tasca il cellulare per controllare i messaggi, ma anche lì niente di niente, neanche una notifica dai social che gli potesse far perdere qualche minuto di tempo.
Per un secondo, gli era balenata in mente l'idea di chiamare i suoi e di lasciarsi sfuggire quel suo piccolo capriccio, sicuro che i rimproveri della madre lo avrebbero fatto desistere in meno di un minuto.
Scartò subito l'idea, non aveva voglia di discutere con i suoi genitori.
Sarebbe bastato andarsene via da lì, non doveva dare giustificazioni a nessuno se non a sé stesso. Era quasi sul punto di fare marcia indietro, quando gli tornarono in mente le parole di Jungkook e tutta la determinazione che lo aveva portato fino a lì, tornò in un attimo.
Lui non era di certo un codardo, no, non lo era per niente. Erano giorni che ci pensava, forse settimane, aveva valutato pro e contro e si era deciso che nella sua vita voleva correre qualche rischio.
Con un ultimo sospiro spinse la porta facendo suonare il campanello.


...


Si lisciò il gilet, per la milionesima volta, davanti al piccolo specchio della sua camera da letto. Lo aveva stretto leggermente in vita la notte precedente, armandosi di forbici e macchina da cucire. Ad usare ago e filo glielo aveva insegnato sua nonna, una vecchina che aveva dedicato tutta la sua vita a rammendare gli abiti più disparati: dai calzini del marito, agli abiti da sposa, agli hanbok ricamati. Era stata lei a trasmettergli la passione per gli abiti, nonostante non se ne fosse mai potuta permettere di belli, gli aveva raccontato molte volte di come, sin da giovane, le piacesse immaginarsi con quegli abiti bellissimi che cuciva e sistemava per le signore facoltose delle grandi città. Le sue dita sottili, ma forti ed esperte, erano in grado di creare magie e Taehyung l'aveva sempre guardata con ammirazione e, quando era stato abbastanza grande per tenere in mano un ago senza pungersi un dito, allora si era fatto insegnare ad attaccare i bottoni, a fare l'orlo ai pantaloni, a creare le pieghe delle camicie e i doppi petti delle giacche.
Anni dopo, grazie a quello che aveva imparato dalla sua halmeoni, era riuscito a sistemare quel completo Gucci di seconda mano. Lo aveva scovato in un piccolo negozietto in centro, mentre passeggiava con Jimin e, nonostante non fosse nuovo, lo aveva trovato perfetto. Con quelle piccole aggiustatine, gli calzava a pennello. I pantaloni verdi come il gilet e la camicia bianca, la migliore che avesse, regalatagli dai suoi genitori con non pochi sforzi e la cravatta a righe che aveva trovato sotto l'albero di Natale da parte di Jimin, qualche anno prima. Aveva sistemato le ciocche bionde con della cera, nella speranza che reggesse tutta la frenesia di quella giornata e aveva truccato leggermente gli occhi per accentuarne il taglio.
Guardò l'orologio sul comodino, al suo fianco un tubetto di crema che aveva usato dopo essere uscito dalla doccia. Mancavano ancora ore all'inizio della sfilata, ma lui avrebbe dovuto essere al magazzino da lì a mezz'ora, per controllare che tutto fosse pronto e perfetto e per evitare che il suo capo non uccidesse qualcuno.
Afferrò le chiavi della macchina e il cappotto pesante e lasciò un bacio sul muso di Yeotan, promettendogli che sarebbe tornato presto.
Quando arrivò al magazzino, l'agitazione era nell'aria e, appena mise piede nei camerini, sentì le urla di Jung-Su, segno che il picco di ansia e agitazione fosse ormai alle porte e toccasse a lui intervenire per risolvere almeno trequarti dei problemi.
Si fece largo tra tutte le persone che si affaccendavano andando da una parte all'altra dello stabile come delle formiche laboriose e, seguendo l'eco delle crisi di nervi del suo capo, lo raggiunse dietro le quinte.

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