Capitolo due- lezioni private

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"Darai davvero delle lezioni a somerhalder?" Mi chiese Paul bisbigliando mentre cercavo di concentrarmi sugli strani simboli che erano disegnati alla lavagna. Detestavo la lezione di lettere contemporanee. Scrollai le spalle, con gli occhi fissi sul mio quaderno. Sentii Paul ridacchiare e sbuffai:" mi servono soldi" borbottai stizzita."non credo tu posso capire" detto ciò tacque e non mi rivolse parola per il resto della lezione. Sicuramente si era offeso, odiava quando le persone lo trattavano da ricco spocchioso. Ma sapeva che per me ero uno dei pochi con un cervello, all'interno di quel campus. In quel momento ero troppo furiosa con me stessa per cercare di scusarmi. Avrei rimediato più tardi. Non potevo credere di avergli detto si, probabilmente alla fine non mi avrebbe nemmeno pagata. Stavo impazzendo. Continuavo a ripetere di non cedere alle sue lusinghe e di alzare il muro più alto ed invalicabile possibile tra noi. Quando la lezione terminò bloccai Paul che stava per scappare via. "Mi dispiace dai che non volevo dire quello" mormorai. "E che quel somerhalder mi fa uscire fuori di testa" lui scoppiò a ridere e mi aiutò a raccogliere i libri. Mi accompagni fino all'uscita S poi mi restituì la borsa, che aveva cavallerescamente voluto portare lui. Mi diede un bacio sulla guancia e si avvicinò al mio orecchio "alla prima cazzata che fa, fammi un fischio" mi bisbigliò prima di allontanarsi a grandi passi nella direzione opposta alla mia. Con l'aria visibilmente stanca, mi trascinai fino alla caffetteria. Mancavano 5 minuti all'appuntamento con ian e il punto di incontro si trovava dalla parte opposta del campus. Mandai un messaggio a Caroline, così che mi preparasse un caffè e quando arrivai, lo presi al volo ringraziandola con una linguaccia. Lei aveva stampato in faccia un sorriso a 32 denti: era convinta che sarebbe successo qualcosa tra me e somerhalder. Lui poteva anche provare qualcosa per me, che anche non fosse ma era attrazione fisica, ma io non provavo nient'altro per lui se non un incredibile fastidio. Caroline era una delle poche, insieme a me, a non esserci cascata, ma semplicemente perché era impegnata. Non che questo piccolo particolare le avesse impedito di far qualche insignificante pensierino su di lui, così come a molte non aveva impedito di andarci a letto comunque. Quando somerhalder voleva qualcosa la otteneva sempre. Ma era difficile per lui non ottenere ogni bella ragazza del campus, essendo tutte queste frivole e probabilmente nate con le gambe spalancate. Mi strinsi nella giacca e accelerai il passo per non fare tardi, anche se probabilmente lui non si sarebbe presentato. Avevo quello strano presentimento, ero fermamente convinta che fosse tutto uno scherzo. Quindi, quando lo trovai seduto sotto alla grande quercia al centro del prato di fronte al l'edificio 5 rimasi spiazzata. Aveva lo sguardo concentrato sul suo libro e la musica alle orecchie, quindi non mi aveva sentita arrivare. Lo osservai per qualche minuto, da lontano. Indossava i soliti jeans neri, le scarpe da ginnastica ed una leggera maglia bianca a maniche corte, che lasciava intravedere i bicipiti e i pettorali appena accennati. La giacca di pelle nera era a terra e sopra di essa si trovavano il suo zaino e il casco della sua adorata moto, parcheggiata a pochi metri di distanza: una fantastica Triumph Bonneville nera, su cui non mi sarebbe dispiaciuto fare un giro.
Presi un profondo respiro e mi sedetti davanti a lui. Non appena sentì il rumore dei libri, che lasciai cadere a terra con un tonfo, alzò lo sguardo ed i suoi occhi chiari incrociarono i miei. Mi sembrò di scorgere in essi una scintilla di felicità. Che temesse che non mi presentassi?
Prima di perdermi definitivamente in quello sguardo, spostai i miei occhi sui libri. Ne aprii uno sulle gambe ed andai al capitolo sull'età Elisabettiana, sul quale si era soffermato lui prima che arrivassi.
"Quindi?", domandai, puntando gli occhi sul suo viso.
Lui distolse lo sguardo all'ultimo e si grattò la nuca con la matita. Alzai gli occhi al cielo: sarebbero state delle lunghe lezioni. Con un gesto lo esortai a dirmi quel che sapeva, ma non aprì bocca.
Sbuffai:"Allora..", cominciai, sottolineando le parti più importanti del testo. "L'età Elisabettiana comincia con la morte di Maria I, detta anche Maria la Sanguinaria, sorellastra di Elisabetta I colei che le succedette al trono di Inghilterra...".
Mente parlavo, fissai il mio sguardo nel suo e notai che osservava il bicchiere di carta che tenevo tra le mani con aria stanca. Aggrottai la fronte e mi fermai:"Ma mi stai ascoltando?", chiesi indispettita.
Lui sgranò gli occhi e scosse la testa più volte:"La tua voce mi fa assopire", disse e lo fissai sconcertata. Stava cercando in tutti i modi di farmi perdere le staffe, ma il bisogno di denaro rafforzava la mia pazienza.
"Mi dai un sorso di caffè?", chiese, indicando il bicchiere con sguardo desideroso.
Meditai qualche minuto, poi glielo porsi con un gesto non molto garbato. Lui sorrise trionfante e ne bevve un sorso, poi mi rivolse un altro dei suoi meravigliosi sorrisi. Meravigliosamente irritanti, ovviamente.
Concentrati Elena, mi ripetei. Non potevo farmi abbindolare.
"Anche tu amaro eh?", mi chiese e sembrava compiaciuto.
Cercai di non cadere nel suo tranello: era chiaro che non volesse studiare, ma io avevo intenzione di fare bene il mio lavoro. Sospirai e ripresi la mia lezione, mentre lui continuava a fare di tutto fuorché ascoltare. Almeno così mi sembrava. Si era sdraiato a pancia in su e aveva iniziato a giocherellare con una piccola palla in gomma piuma, tirandola in aria e riprendendola al volo prima che gli finisse sulla faccia. Quando avrei voluto che fosse un mattone e che le sue mani avessero un crampo improvviso.
Ogni tanto puntava i suoi occhi chiari su di me e, senza capirne il motivo, mi sentii più volte in imbarazzo. Non sembrava lo stesso sguardo che rivolgeva alle altre ragazze. Sembrava mi guardasse sul serio e, in quei momenti, mi sentii nuda e non in senso prettamente fisico.
Non mi resi conto di essermi improvvisamente fermata, forse incantata. Quando lui mi passò una mano davanti agli occhi, mi ridestai scuotendo la testa e ciò scatenò le sue risate.
Chiusi gli occhi e inspirai a fondo, cercando di riprendere il controllo.
"Perciò..", continuai il mio discorso. "Tra le figure di spicco di questo periodo troviamo.."
Mi interruppe:"Il famoso drammaturgo William Shakespeare, celebre per le sue tragedie.. Alcune tra le quali sono l'Amleto, Macbeth, l'Otello, Romeo e Giulietta..", mormorò, soffermando il suo sguardo sul mio viso quando nominò l'ultima tragedia. Il mio viso, probabilmente, prese una colorazione più rossa del normale. Cercai di non farlo notare abbassando la testa sul libro e lasciando che i capelli mi coprissero.
"Tutte scritte nei sette anni compresi tra il milleseicentouno e il milleseicentootto", disse sicuro.
Lo fissai sospettosa, aggrottando la fronte:"Mi sembri piuttosto informato..".
Lui scrollò le spalle, stava per ribattere quando un tuono lo bloccò.
Alzai lo sguardo al cielo e, in quello stesso istante, iniziò a piovere. Mi alzai velocemente da terra e coprii la testa con i libri. Stavo per andarmene, quando Ian mi afferrò il braccio.
Lo guardai sorpresa ed anche un po' infastidita, rischiavo di prendermi il raffreddore.
"La lezione non è finita", disse serio.
"Ma sta piovendo!", esclamai esasperata.
Scrollò le spalle:"Ti pago per due ore, quindi pretendo di avere due ore piene con te", continuò, senza lasciare andare il mio braccio. "Vieni nella mia stanza".
Lo guardai con gli occhi sgranati:"Non se ne parla neanche!", ribattei.
Mi guardò con un sopraciglio alzato, mentre la pioggia aumentava ed il rumore dei tuoni pure. Detestavo i temporali, ne avevo sempre avuto una gran paura. All'ennesimo rimbombo, sobbalzai.
Ian mi guardava divertito.
Sospirai sconfitta:"Va bene, ma andiamo nella mia stanza", dissi secca.
Lui acconsentì:"Prima le signore", disse indicando la sua moto. La fissai un attimo, poi rivolsi il mio sguardo perplesso su di lui:"Faremo prima", spiegò, mentre saliva a bordo.
Osservai in silenzio ogni suo singolo movimento, mentre lui mi prendeva lo zaino dalle mani e lo sistemava tra i suoi piedi insieme al suo. Poi mi porse il suo casco e mi invitò a salire.
Mi mostrai riluttante, nonostante desiderassi da sempre salire su una di quelle moto. Non appena accese il motore, dentro di me fremetti. Fortunatamente il tragitto fu breve e all'interno del campus non poteva superare certe velocità, così non necessitai di aggrapparmi a lui.
Non appena arrivammo davanti all'edificio che ospitava gli alloggi delle ragazze, non pochi sguardi sospettosi si posarono su di noi. Molti studenti, addirittura, si fermarono sotto la pioggia ad osservare i nostri movimenti. Alzai gli occhi al cielo e mi chinai a prendere il mio zaino, ma Ian mi precedette. Lo osservai curiosa, mentre lui mi faceva cenno con la testa di entrare. Senza pensare troppo e, soprattutto, cercando di non dare nell'occhio, entrai nell'edificio. Fu tutto inutile: nonostante provassi a nascondermi, la figura di Ian spiccava alle mie spalle e tutte le ragazze lo fissavano con occhi seducenti ma, allo stesso tempo, sospettosi. Quando fummo davanti alla porta della mia stanza, una ragazza dai corti capelli ricci si aggrappò alla spalla di Ian per sussurrargli qualcosa all'orecchio. Lui sorrise e le mormorò un:"Più tardi", poi mi seguì nella stanza. Chiusi la porta ed ogni fastidioso mormorio cessò.
Caroline era a lezione, quindi eravamo soli. La cosa mi metteva non poco in agitazione. Indicai a Ian quale fosse la mia parte della stanza e gli dissi di accomodarsi alla scrivania, mentre prendevo degli indumenti puliti dalla cassettiera ed andavo in bagno a cambiarmi. Indossai una semplice t-shirt e un paio di pantaloni della tuta, per stare comoda. Levai le lenti a contatto, misi gli occhiali e legai i capelli in uno chignon improvvisato. Mi guardai allo specchio e sorrisi al mio semplice riflesso.
Quando rientrai nella stanza, trovai Ian intento a guardarsi intorno. Forse stupito del fatto che la mia parte di stanza fosse così poco decorata rispetto a quella di Caroline o quella di una qualsiasi ragazza del Campus. Nessuna foto, nessun album, nessun ricordo appeso al muro: solo semplice tappezzeria.
Lo superai senza guardarlo e mi sedetti sul letto. Lui mi fissò sorpreso.
"Che c'è?", gli chiesi, infastidita dal suo sguardo su di me.
"Porti gli occhiali", disse, non sembrava una domanda ma nemmeno un'affermazione.
Annuii:"Sono miope", mormorai, guardando i suoi occhi e tornando poi, immediatamente, sui libri.
Sentivo ancora il suo sguardo addosso e cercai di non farci caso, nonostante iniziassi a sentire parecchio caldo. Mi ero vestita in quel modo per cercare di sembrare il più sciatta possibile e di allontanare da lui la malsana idea di volermi far entrare nella sua collezione.
Scostai un ciuffo di capelli che mi era finito sul viso e continuai la lezione.
Eravamo entrati in un piccolo dibattito sul Dottor Faustus di Marlowe che mi aveva fatto apprendere quanto Ian fosse veramente sveglio, quando il suo sguardo si posò sulla chitarra adagiata sotto la finestra. La contemplò per qualche minuto con sguardo assorto, fino a che non mi resi conto che non mi stava minimamente ascoltando. Posai una mano sul suo ginocchio per scuoterlo.
Lui si alzò e si venne a sedere accanto a me, sotto il mio sguardo interdetto. Come si permetteva?
Una sua mano si posò sulla mia coscia, mentre si allungava su di me per afferrare la chitarra. Mi paralizzai. Sentii ogni fibra del mio corpo tendersi sotto il suo tocco. Cercai di restare impassibile, quando lui si sollevò e fermò il viso all'altezza del mio, con un sorriso splendente stampato sulle labbra.
Mantenendo saldamente il controllo, mi scostai di poco da lui voltando la faccia.
Lo sentii sospirare e raddrizzarsi con la chitarra tra le braccia. Lo guardai indispettita mentre la poggiava sulle gamba e iniziava a strimpellare qualche nota.
"E' tua?", chiese senza guardarmi.
Gliela presi dalle mani:"Sì", mormorai. "E ci terrei che non la toccassi, grazie". Era un souvenir prezioso di quando mi dilettavo nelle rapine. Forse quella era la cosa più preziosa che avessi mai rubato, non ero in grado di prendere gioielli o cose simili. Non ero mai stata una cattiva ragazza... Scacciai via quei ricordi con un battito di ciglia.
Alzò le mani in segno di scuse, poi le posò sul materasso, una finì dietro di me un po' troppo vicina al fondoschiena.
"Hai intenzione di mettere un punto a questa lezione?", gli chiesi nervosa, mentre mi scioglievo i capelli ancora un po' bagnati dalla pioggia.
Lui sorrise e si lasciò andare, posando la testa contro il muro. Annuì ad occhi chiusi.
Lo fissai con un sopraciglio alzato: che cosa ci faceva ancora qua allora?
Sospirai e mi lasciai andare sul cuscino, posando, con molta nonchalance, le mie gambe sulle sue. Chiusi gli occhi anche io. Restammo in quella posizione per non so quanto tempo. Era bello. Senza sapere il perché, non mi sentivo più minacciata dalla sua presenza. In quel momento tutto l'astio che provavo nei suoi confronti svanì. Aprii piano gli occhi e lo osservai: gli occhi chiusi facevano ricadere le lunghe ciglia sulle guance, un po' arrossate forse per il caldo (portava ancora la giacca); il profilo perfetto terminava in un magnifico sorriso rilassato a labbra chiuse. Labbra rosee e carnose, così invitanti.. Strinsi gli occhi per far volare via quel pensiero ridicolo che mi era passato per la mente.
Rimasi a guardarlo ancora un po', poi scoppiai a ridere.
Lui si voltò verso di me e mi fissò perplesso, come fossi pazza.
"Che c'è?", chiese curioso, la testa piegata su un lato.
Quando ripresi il controllo, inchiodai i miei occhi nei suoi e per qualche secondo rimasi inchiodata al materasso, senza saper che dire. Era piuttosto imbarazzante come cosa, del resto.
Scrollai le spalle, fingendo sicurezza:"Niente", mormorai, fissandomi le unghie delle mani. "E' che di profilo sembri un picchio".
Dopo un minuto di assordante silenzio, la sua rumorosa risata risuonò per tutta la camera e continuò per molto tempo. Quando finì, si sporse un poco verso di me posando la mano sul mio ginocchio.
"Lo prendo come un complimento?", chiese con voce sommessa.
In quel momento, le mie sinapsi si spensero improvvisamente lasciando il posto solo ai suoi occhi chiari e alla sua voce suadente. Risuonava nella mia testa come una ninna nanna.
Strinsi i pugni e guardai in alto, verso il soffitto. Dovevo mantenere la calma. Mi ero ripromessa che non sarei andata a letto con nessuno fino alla laurea, a meno che non sentissi che fosse quello giusto. E Somerhalder non era assolutamente quello giusto.
"Gilbert?", mi chiamò e sentii di non detestare poi così tanto quel soprannome. Rivolsi nuovamente il mio sguardo su di lui, che era tornato nella stessa identica posizione di poco prima.
"Sì?"
Non mi guardò, continuò a tenere gli occhi chiusi:"Hai mai avuto un amico? Dico un amico degno di questo nome, uno vero insomma".
Lo guardai sorpresa, mentre nella mia mente ripercorrevo ogni anno della mia vita cercando di inquadrarne le persone più importanti. Non ce n'era mai una fissa. Ripensai a Lisa. Avevamo quattordici anni, lavoravamo nella stessa zona, nello stesso ostello e avevamo finito per condividere una delle minuscole stanzette che ci concedevano per riposare. Eravamo amiche. Molto amiche... Era l'amica migliore che potessi desiderare. Mi consolava sempre quando tornavo dalla strada. Mi medicava sempre i lividi che riportavo su braccia e cosce, quando gli uomini erano troppo violenti. Mi ripeteva sempre che un giorno saremmo riuscite a fuggire, a farci una vita nostra. Magari a Londra o anche in Italia. Me lo ripeteva sempre prima di andarsene. Prima di essere ritrovata morta in un lurido cassonetto, in un lurido vicolo, di un lurido quartieraccio di Manhattan.
Presi un grosso respiro e sentii la voce tremante. Non mi ero resa conto di essermi messa a sedere, con la schiena completamente addossata al muro e le ginocchia al petto. Ian mi guardava preoccupato. Sentii le lacrime rigarmi il volto. Perché mi aveva parlato? Perché non poteva andarsene nella stanza di qualche altra studentessa a fare quello che sapeva fare meglio? Perché.. non mi lasciava in pace?
I ricordi mi facevano quell'effetto. Non riuscivo a domarli. Era come se entrassi in una dimensione parallela e non riuscissi a controllare le mie azioni, le mie espressioni.
"Ehi..", mormorò Ian avvicinandosi, un po' timoroso. "Che ti prende?"
Non lo guardai. Tenni lo sguardo basso, cercando di riprendere il controllo ma più ci provavo, più sentivo le lacrime correre incessantemente sul mio viso. Una mano si avvicinò e si posò sulla mia guancia, asciugandola. Alzai lo sguardo e Ian era a pochi centimetri da me, gli occhi macchiati di ansia. Sembrava preoccupato sul serio. Probabilmente era solo il momento, l'indomani per lui sarei stata solo una pazza, affetta da qualche strana sindrome di bipolarismo.
Allontanai la sua mano e finii di asciugarmi le lacrime da sola.
"Scusami", mormorai. "Per favore, vai via"
Lui mi guardò sorpreso e.. triste? No, non poteva essere. Probabilmente triste per non essere riuscito nella facile impresa di portarsi a letto una ragazza emotivamente spossata.
Mi alzai ed andai ad aprirgli la porta. Lui posò i soldi della lezione sulla scrivania, raccolse le sue cose e venne di fronte a me.
Mi fissò per qualche minuto, poi posò delicato una mano sul mio braccio causandomi una serie incontrollata di brividi. Non mi allontanai.
Sembrava in imbarazzo, come se non sapesse cosa dire. Lui, sempre con la risposta pronta, era rimasto asciutto di parole. Quando parlò, la voce era bassa e seria:"Se.. se hai bisogno.. di parlare, di passare il tempo, di.. non lo so, di qualunque cosa! Io ci sono, okay?".
Rimasi spiazzata. Perché si stava comportando in quel modo? E poi con me? Era un altro misero e spregevole tentativo di portarmi a letto?
Alzai lo sguardo sui suoi occhi. Sembravano sinceri e così dannatamente meravigliosi, macchiati di preoccupazione. Preoccupazione per me. Lo fissai stupita per qualche minuto, poi abbassai lo sguardo ed annuii. Poco dopo, sentii le sue braccia avvolgermi la schiena. Mi.. mi stava abbracciando? Ian somerhalder, il donnaiolo dell'istituto, mi stava concedendo il privilegio di un abbraccio fra amici. Poteva essere vero?
Ero stata presa talmente alla sprovvista che non avevo fatto nemmeno a tempo a ricambiare. Le sue braccia già si allontanavano dal mio corpo, ma il suo profumo mi rimase appiccicato addosso. Era.. Wow. Non c'erano parole per descrive quel profumo. Un misto di bagnoschiuma e sigarette.
Ricambiai timidamente il sorriso che mi stava rivolgendo e mormorai un flebile:"Grazie".
Lui mi accarezzò piano il braccio destro:"Ci vediamo domani, Gilbert", disse piano ed uscì lentamente dalla porta della stanza, salutando qualcuno. Un qualcuno che poi mi prese per il braccio e mi trascinò dentro la camera, chiudendo la porta. Ma non prima che riuscissi a vedere Ian che entrava con un gran sorriso nella stanza di Fiona, la ragazza che prima gli si era avvinghiata al collo.
No, non sarebbe mai cambiato.. Ma, forse, a me era stato concesso di conoscere l'altra faccia del misterioso Somerhalder.
Caroline mi stava ancora stritolando il braccio e passando nervosamente una mano davanti alla faccia, per disincantarmi. Quando le diedi retta, le regalai un sorriso.
"Ehi, cara!", esclamai.
"Ehi, cara?!", gridò lei furibonda. "Cosa diavolo ci faceva qui dentro lui?! Dimmi che non hai fatto la cazzata più grande della tua vita. Guarda che chiamo Paul e ci pensa lui. Non posso crederci. Oh cielo, ti prego dimmi che non è vero".
Non feci nemmeno in tempo a risponderle che già si stava facendo i suoi duecento film mentali. La feci sedere sul suo letto e, con calma, le spiegai la situazione, omettendo ovviamente i vari dettagli che neanche lei conosceva. Nessuno sapeva della mia vecchia vita. Ma Caroline stava diventando davvero una buona amica, sentivo che di lei potevo fidarmi. Purtroppo però, avevo ancora troppo paura per farla entrare nel mio passato.
Chiunque ci sarebbe entrato un giorno, poi non avrebbe più potuto uscirne.

Una rondine nella tempesta| IN REVISIONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora