Capitolo dieci- Ad un nuovo anno

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"Fai buon viaggio", dissi a Caroline, mentre mi perdevo nel suo abbraccio.
Era, ormai, arrivato il momento da me più temuto: le vacanze natalizie. In quegli ultimi giorni, avevo rimuginato parecchio su quel che avrei potuto fare e, alla fine, mi ero accontentata di restare al Campus. Sarei stata sola, ovviamente, ma ciò non mi turbava particolarmente. Avevo pensato di andare a trovare mia nonna, ma i voli avevano dei prezzi che superavano di gran lunga le mie possibilità economiche. Fortunatamente, avevo una nonna giovane, in gamba e circondata di amici fidati che non l'avrebbero lasciata sola. Ci sentivamo ogni settimana tramite e-mail ed io le avevo già spedito il mio regalo di Natale. Era una tradizionalista e non l'avrebbe aperto fino al venticinque mattina. Non aspettavo altro che una sua mail. Amavo mia nonna, del resto avevo solo lei. Era lontana, ma c'era. Sempre.
Caroline mi sorrise malinconicamente e salì sulla sua auto, salutandomi con un gesto della mano prima di scomparire del tutto dalla mia visuale. Avrebbe passato, come tutti, il Natale dai suoi a Malibù. Un Natale al caldo e al mare.. la invidiavo parecchio.
Tornai, strisciando i piedi, alla nostra stanza e trovai una sorpresa davanti alla porta.
"Ehi, Ian!", esclamai, salutandolo con un bacio sulla guancia. Credevo fosse partito. Aveva meditato in quei giorni di prendere un biglietto e tornare in Italia per festeggiare il Natale. Avevo anche scoperto che era il suo compleanno, così qualche giorno prima ero andata a fare un giro per negozi con Bonnie, a cercare dei regali. Alla prima occasione in cui lei fu distratta, presi qualcosa anche per lei. Del resto, eravamo diventate buone amiche ormai.
Aprii la porta e lui mi seguii dentro. Sapeva che non sarei andata da nessuna parte, quindi non si stupì quando trovò la stanza come tutti i giorni, senza alcun bagaglio da preparare. Si sedette sul letto ed io alla scrivania. Chiusi velocemente il mio quaderno e lo deposi nel cassetto.
"Che ci fai qui?", gli chiesi curiosa. "Non dovevate partire?"
Scrollò le spalle:"Abbiamo cambiato idea", rispose semplicemente, iniziando a giocherellare con l'orsacchiotto di peluche che tenevo sempre sul cuscino.
Lo guardai sorpresa ed un po' arrabbiata. Non avrebbe passato il Natale con la sua famiglia? Io avrei dato di tutto per poterlo fare.
Alzò lo sguardo su di me ed io lo abbassai velocemente sui leggeri graffi che c'erano sulla scrivania.
"Fa bene cambiare, a volte", mormorò ed il suo tono sembrava incerto.
Non risposi, ma continuai a sentire il suo sguardo su di me. Era da qualche giorno che continuavo a sentirmi in imbarazzo. Passava quasi tutto il suo tempo con me: mi accompagnava a lezione, mi veniva a riprendere e, soprattutto, mi teneva alla larga da Paul. In mensa, durante il mio turno alla caffetteria, si sedeva con i compagni di squadra, ad uno dei tavoli più vicini al bancone, rivolto verso di me. Quando non ero di turno, pranzava con me e la cena con lui e Bonnie era diventata ormai quasi un rito per me e Caroline.
Non mi dispiaceva passare il tempo con lui, ma stava diventando.. strano. Stava continuando a cambiare ai miei occhi e non volevo che accadesse.
Avevo passato talmente tanto tempo con lui, in quelle ultime settimane, che ero riuscita a sentirlo cantare. Canticchiare più che altro. Successe una delle tante sere in cui mi trovavo a casa loro. Stavamo apparecchiando il tavolo nel piccolo cortile esterno, come al solito. Caroline e Bonnie erano in cucina e, scoperte le mie poche abilità culinarie, mi avevano tenuta ben lontana dalla zona fornelli. Mi ero allontanata pochi secondi per prendere i bicchieri, lasciando finire a Ian il lavoro. Quando tornai, lo trovai intento a piegare e a sistemare i tovaglioli, canticchiando una canzone a me fin troppo familiare. Era la mia preferita. Ero io. Mi rispecchiavo in quelle parole. Restai sulla porta, ad ascoltarlo con sorriso sulle labbra.
"I don't mind spending everyday
Out on your corner in the pouring rain
Look for the girl with the broken smile
Ask her if she wants to stay awhile
And she will be loved"
Era arrivato appena alla fine del primo ritornello, quando notò la mia presenza.
Restai un attimo paralizzata, nell'incrociare i suoi occhi. Ma subito mi sciolsi e gli sorrisi.
"Maroon 5 eh?", gli chiesi ridendo.
Lui alzò un sopraciglio in segno di sfida. Ormai conoscevo i suoi gusti musicali, estremamente eclettici come i miei, ma mi piaceva prenderlo un po' in giro.
"Ti facevo più tipo da OneRepublic", dissi, continuando a ridacchiare.
Scossi la testa e tornai al presente. Ian mi aveva fatto una domanda e non l'avevo sentita. Mi scusai e gliela feci ripetere. Lui fece un mezzo sorriso e scosse la testa, sconfitto:"Ho detto..", ripeté, scandendo bene le parole. "..che se non devi partire, puoi venire da noi".
Spalancai la bocca, decisamente stupita. Quello davvero non me lo aspettavo. Continuai a fissare Ian per un tempo che per lui doveva essere sembrato infinito e lo stesso fece lui con me. Il mio sguardo era vacuo, il suo viso era sfocato sotto i miei occhi. Sospirai. Del resto cosa c'era di strano? Passavo quasi tutto il mio tempo con lui, passarne dell'altro non avrebbe cambiato nulla. Forse.
Strinsi gli occhi e, quando gli riaprii, incontrai quelli chiari e supplichevoli di Ian. Gli sorrisi ed annuii debolmente, accettando l'invito. Sapevo che anche se avessi detto di no, mi avrebbe trascinata fuori da quella stanza con la forza; quindi era meglio per me accettare ed evitare di dare scalpore.
Lui si alzò e mi venne incontro con un sorriso a trentadue denti. Mi abbracciò, sollevandomi dalla sedia.
"Ottima scelta, Gilbert", disse ridendo, mentre io mi aggrappavo alle sue spalle, supplicandolo di lasciarmi scendere. Preghiere vane, vista la presa sui miei fianchi che aumentava. Sorrisi, con gli occhi lucidi, stringendo le braccia intorno al suo collo. Mi sentivo apprezzata per quello che ero veramente e non per il mio corpo o per quel che sapevo fare con questo. Mi sentivo libera, felice. Un giorno, forse, se tutto fosse andato per il verso giusto, avrei anche potuto raccontare a Ian di me. Della vera me.
Non appena rimisi i piedi a terra, sentii subito la mancanza di quelle braccia intorno al mio corpo. Ian mi sorrise ed io abbassai lo sguardo, spostando nervosamente i capelli dietro le orecchie. Mi chinai per prendere la valigia che tenevo sotto il letto. Era grande, decisamente troppo, ma era l'unica che avevo.
Iniziai a riempirla, sotto lo sguardo vigile di Ian, che più volte mi aveva chiesto se avessi bisogno di aiuto. Lo misi a sedere alla scrivania di Caroline, con il mio orsacchiotto di peluche tra le mani, che sembrava adorare particolarmente. L'ultima cosa che mi serviva era che si mettesse a frugare tra la mia biancheria intima.
Presi quel che mi sembrava più necessario, anche qualche libro, per non tenermi indietro con lo studio. Infine, strappai l'orsacchiotto dalle mani di Ian e lo misi nel bagaglio. Lui mi guardò con un sopraciglio alzato, ma cercai di ignorarlo. Era l'unico ricordo che avevo di mia madre e l'avrei portato con me, ovunque fossi andata. Sia Ian che Caroline sapevano che non avevo mai conosciuto mia madre e che mio padre mi aveva lasciata nelle mani di mia nonna, quando non sapeva più come prendersi cura di me e sostenere le spese. Non andò proprio così. Mia nonna la conobbi solamente l'anno precedente, l'anno della mia fuga. Non fu difficile trovarla, ricordavo alla perfezione come mio padre parlava della suocera Irlandese.
Chiusi gli occhi e cacciai via quei ricordi, mascherandoli con un sorriso.
Tirai giù la valigia dal letto, che però era più pesante di quel che mi aspettassi. Mi sbilanciai e per poco non caddi a terra, sotto lo sguardo divertito di Ian. Gli lanciai un'occhiataccia e cercai di portare la valigia vicino alla porta. I libri pesavano decisamente troppo.
Ian alzò gli occhi al cielo e mi venne ad aiutare. Quando prese la valigia tra le mani, mi guardò con aria sconvolta:"Hai i vestiti di piombo?", chiese, mentre la portava fuori.
Ridacchiai sotto i baffi e, indossati sciarpa e cappotto, lo seguii all'esterno dell'edificio, dove ad aspettarci c'era Bonnie, a bordo di una carinissima macchina Italiana. Le sorrisi e la salutai con un gesto della mano, mentre aiutavo Ian a sistemare la mia roba nel portabagagli, insieme ad un suo borsone. Mi sistemai poi nei sedili posteriori e venni accolta da un cd di Ed Sheeran.
I miei occhi si illuminarono e subito la melodia delle canzoni del mio cantante preferito mi invase.
"Dobbiamo andare ad un concerto allora!", esclamò Bonnie, quando finii di raccontarle della mia passione.
"Assolutamente!", la assecondai io, mentre Ian fu messo a tacere con un gesto non appena ebbe da ribattere.
Quando scendemmo dall'auto, dopo il solito quarto d'ora di viaggio, la neve aveva smesso di cadere. Fortunatamente, aggiungerei. Non mi piaceva il freddo e le strade ghiacciate minacciavano il mio equilibrio, già precario essendo avvolta in strati e strati di vestiti.
Dovetti pregare Ian di darmi almeno il suo borsone, mentre trascinava al piano di sopra la mia valigia. Bonnie si scusò, ma essendo quasi le undici, doveva correre al locale per il suo turno.
Ian portò nella sua stanza la sua roba, poi tornò da me, ferma in mezzo al corridoio. Riprese tra le mani la valigia e mi guidò verso l'unica stanza in cui non ero mai entrata. Se, ovviamente, non si teneva conto della porta che si affacciava sulla camera di Ian e che lui teneva gelosamente chiusa a chiave.
Imbarazzato, mi mostrò la stanza, facendomi vedere dove potevo trovare asciugamani puliti e tutto ciò che mi poteva servire. Quando finii di parlare, lo ringraziai e lo guardai incuriosita.
"Che c'è?", mi chiese, guardandosi attorno, cercando di capire se ci fosse qualcosa che non andava.
"Hai intenzione di restituirmi la valigia o ti sei affezionato?", gli chiesi ridendo. Teneva ancora il mio bagaglio stretto nella mano sinistra.
Sorrise e mi lasciò sistemare, sparendo al piano inferiore. Deposi i miei vestiti nella cassettiera e lasciai il resto su una scrivania che si trovava sotto l'unica finestra. Era una stanza piccola, simile nella sistemazione a quella di Ian e Bonnie, ma accogliente. Un letto matrimoniale si apriva davanti agli occhi, non appena aperta la porta, affiancato da due comodini. Sulla sua sinistra si trovava una bella cassettiera in legno scuro, sovrastata da uno specchio rettangolare, sistemato orizzontalmente nella sua lunghezza. Accanto ad essa una piccola poltrona, con un tavolino sul quale si trovava una abatjour: un posto perfetto per leggere. Sulla parete opposta, era addossata una scrivania, illuminata dall'unica grande finestra che dava sul lato destro della casa. I muri erano parecchio spogli, anche lì poche fotografie.. anzi nessuna. Non c'era nulla, solo un'unica cornice vuota su uno dei due comodini.
Mi lasciai andare sul letto e presi il mio quaderno tra le mani. Anche lì l'avrei nascosto sotto il materasso, come facevo al Campus. Rilessi le righe che avevo scritto, un po' ovunque. Ogni canzone era a metà. Ogni melodia era lasciata al caso. Niente funzionava. L'ispirazione non mancava e nemmeno le parole. Quelle le sentivo premere sulla punta della penna, pronte ad uscire in un flusso quasi interminabile. Ma erano troppo forti. Alcune erano intrise di ricordi, altre cercavano di dare un senso a qualcosa che ancora non esisteva.
Sbuffai e lanciai il quaderno dentro la valigia, ancora aperta sul letto. Fissai il soffitto per una buona decina di minuti, prima di prendere la decisione di alzarmi ed affrontare quelle che sarebbero state due settimane molto piene.
Non feci in tempo a mettere i piedi a terra, che la testa di Ian fece capolino dalla porta.
"Credevo ti fossi persa dentro l'armadio", disse, aprendosi in un sorriso che illuminò totalmente la stanza. Rimasi a fissarlo per qualche secondo, incantata probabilmente. La mia mente viaggiava a quelle due settimane insieme e non faceva altro che tormentarmi. Non volevo rovinare quel che c'era tra noi e, tantomeno, volevo mentirgli. Dovevo parlargli. Dovevo raccontargli della mia vita.
Sgranai gli occhi, spaventata dalle mie stesse idee.
Mi ripresi in pochi secondi, ricambiando leggermente il sorriso che Ian mi aveva rivolto.
"Ho fatto un salto a Narnia", risposi, avvicinandomi a lui. "Bel posto!"
Lui scoppiò a ridere e lasciò che lo precedetti fino alla cucina. Mi aspettava uno dei suoi soliti piatti italiani.

Una rondine nella tempesta| IN REVISIONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora