L'aria primaverile delle campagne irlandesi mi invadeva corpo e mente. I miei piedi si muovevano veloci sui pedali della bicicletta, dal cestino in vimini davanti a me arrivava il profumo delle spezie appena comprate. Le piccole casette di mattoni colorate sfilavano al mio fianco e il profumo dei fiori riempiva l'aria. Il verde mi circondava e non poteva che farmi sorridere. Era qualcosa di indescrivibile.
La signora Lopez mi salutò dall'altro lato della bianca staccionata, mentre imboccavo il viale di ingresso della piccola villetta di mia nonna. Lei e Steven mi aspettavano nel giardino sul retro, insieme a Caroline. Mia nonna aveva deciso per una bella grigliata e il profumo di carne e melanzane già aleggiava nell'aria. La pedalata mi aveva fatto venire una gran fame. Lasciai la bicicletta vicino al garage e mi precipitai da loro, pronta a gustare le rinomate costine di Steven. Ero felice che mia nonna avesse trovato qualcun altro con cui trascorrere il resto della sua vita. Non avevo conosciuto il mio vero nonno, ma non ne facevo un problema. La mia vita era stata fin troppo incasinata che essere circondata da quella normalità, mi faceva sentire rigenerata. Come se niente fosse successo in quegli anni. Ero cresciuta e non avevo più paura. Avevo capito che la vita va affrontata di petto, a testa alta, sconfiggendo tutti i timori. Avevo fatto la mia scelta.
"Elena!", esclamò mia nonna, felice più che altro di vedere il suo prezioso rosmarino.
Agitai leggermente la busta come fosse un trofeo.
Steven si girò nella mia direzione ed aprì la mano destra per afferrare al volo il sacchetto che gli avevo lanciato. Lui e la nonna erano abbastanza giovani: entrambi intorno ai settant'anni, ma ne dimostravano almeno dieci di meno. L'aria irlandese faceva proprio bene. Vedendo i risultati, Caroline era sempre più convinta di volersi stabilire in queste campagne per tutta la vita.
La nonna sorrise a suo marito e gli posò una mano sulla spalla, mentre entrambi si concentravano sui piatti che avevano davanti.
Sorrisi, un velo di tristezza nello sguardo.
Vederli insieme, così felici e spensierati, mi faceva ancora sperare. Mi faceva ancora credere nell'amore e pensare che non sarebbe stato mai troppo tardi per innamorarsi di nuovo.
Caroline, avendo notato la mia espressione assorta, mi diede una leggera gomitata sul fianco e mi lanciò un'occhiata più che eloquente.
"Stai bene?", mi chiese piano, in modo da non farsi sentire da mia nonna. Lei non sapeva cosa fosse successo tra me e Ian. Non lo conosceva di persona, non sapeva fossimo stati assieme. Le avevo parlato di lui menzionandolo solo come un buon amico, proprio perché non volevo che si preoccupasse per me se qualcosa fosse andato storto. E quel qualcosa era successo e io mi sforzavo di sembrare il più naturale possibile, nonostante ogni mattina mi svegliassi con gli occhi gonfi e cercando di calmare il respiro.
Annuii, forzando un sorriso che però non convinse per niente la mia amica. I suoi occhi non mi persero di vista per tutto il pranzo. Valutavano il mio umore in base agli scarti di cibo sul piatto e a quante volte il mio sguardo si perdeva su di essi. Era preoccupata per me e lo apprezzavo, ma negli ultimi tempi era diventata davvero insopportabile. Mi serviva solo un po' di tempo per digerire la situazione.
Era stata una nostra scelta, mia e di Ian, quel giorno di fine gennaio."I tuoi parenti sono molto..", non riuscii a trovare le parole.
"Invadenti? Ficcanaso? Eccessivi?", mi aiutò lui ridendo.
Feci un mezzo sorriso, imbarazzato:"...Espansivi".
Stavamo camminando per le stradine del suo piccolo paesino: una caratteristica e ridente cittadina non lontana da Roma. Ian aveva deciso di fare tappa nella capitale appena arrivati in Italia, appena una settimana prima. Sosteneva che non potessi venire nel Bel Paese e non vederne la vera grande bellezza. Roma è sì bellissima, ma troppo caotica per me. Non ero abituata.
Ian era pensieroso quel pomeriggio. Parlava, tranquillamente, ma perdeva lo sguardo davanti a sé, come se volesse sempre aggiungere altro ma non ne avesse il coraggio.
Camminammo a lungo, senza una vera e propria meta fino a che le mie gambe non ne poterono più e si concessero una pausa. Ci fermammo in una zona centrale, una piazzetta circondata da piccoli bar e negozietti. Alcuni vecchietti chiacchieravano allegramente davanti ad un caffè, mentre un bambino si imbrattava di cioccolato quella che doveva essere una maglietta nuova, vista la reazione della mamma al suo fianco. Mi guardavo intorno dall'alto del muretto su cui ero seduta. Ian, fermo davanti a me, fissava un punto imprecisato alle mie spalle. Feci un mezzo sorriso e circondai i suoi fianchi con le mie gambe, per attirarlo a me, posando poi le braccia sulle sue spalle. Lui alzò lo sguardo solo quando gli carezzai appena la guancia con le nocche. I suoi occhi erano spenti, crucciati, ma velati da una strana volontà, anche se debole.
Abbassò nuovamente lo sguardo per qualche secondo, per poi rivolgerlo a me, molto più deciso.
"Resta con me", disse piano.
Gli lanciai un'occhiata perplessa. Che stava farneticando? Certo che sarei rimasta con lui, per tutto il tempo che avesse voluto.
"Certo che resto con te", risposi ridacchiando, ma lui rimase serio. Iniziai a sentirmi a disagio.
"Voglio dire...", iniziò a spiegarsi. "Resta qui, in Italia, con me. Prendi la laurea e torna. Io voglio restare..."
Le mani mi si immobilizzarono tra i suoi capelli, le braccia erano completamente irrigidite. Sciolsi la presa dai suoi fianchi e riportai le braccia al petto, innervosita. Non potevo credere che me lo stesse chiedendo davvero. Con quello sguardo, quegli occhi che difficilmente avrebbero accettato un no come risposta.
Scesi dal muretto, mi sentii improvvisamente irrequieta. Ian avvicinò una mano alle mie spalle. Mi scostai.
Camminavo nervosamente avanti e indietro, a piccoli passi, tenendo le mani strette in pugni. Sentivo le unghie conficcarsi nella carne. Forse per lui era una semplice proposta, ma io vi vedevo l'impossibilità di fare una scelta mia. Solo quella di accettare una sua decisione. E non volevo basare la mia libertà su una decisione non totalmente mia. Non poteva chiedermelo adesso, quando avevo così tante altre cose da sistemare. Avevo bisogno di passare più tempo con mia nonna, di cercare un legame positivo con la mia vecchia vita. Dovevo cercare nel passato le basi per costruire il mio futuro e lì, davanti a Ian, in quella minuscola cittadina non ne avevo, ero solamente circondata da enormi muri.
"Non posso", mormorai, voltandomi verso di lui, ma senza comunque riuscire a guardarlo in faccia.
Lo sentii avvicinarsi e posare una mano sul mio viso, quasi costringendomi ad alzarlo per guardarlo negli occhi. Provai a combattere con tutte le mie forze, non volevo. Non volevo vedere la delusione nel suo sguardo. Non avevo intenzione di cedere a nessuna lusinga e speravo vivamente lui avesse il buonsenso di non insistere. Con mia sorpresa, quando alzai gli occhi verso i suoi non vi lessi nessuna delle reazioni che mi sarei aspettata. Non c'era rabbia. Non c'era frustrazione, né tantomeno tristezza. Ma non c'erano nemmeno gioia o semplice allegria. Solo mera accettazione.
Le sue labbra si avvicinarono piano alle mie, per poi sfiorarle delicatamente e allontanarsi pochi secondi dopo. Un bacio che non prometteva niente di buono.
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Una rondine nella tempesta| IN REVISIONE
FanficUna delle migliori sensazioni al mondo è quando abbracci la persona che ami e lui ti ricambia stringendoti più forte.