Capitolo sei- sentimenti contrastanti

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La mattina successiva alla festa mi svegliai piuttosto male. Con un eccessivo dolore alla testa. Non ero più abituata a quei ritmi. Quando mi voltai verso il letto di Caroline e notai che lei non c'era, il mio animo si placò un poco. Era un buon segno. Dopo il bacio con Paul, me n'ero andata dalla festa e non avevo potuto controllare la mia amica. Ma, a quanto pare, si era comportata bene.
Mi alzai lentamente dal letto e, ancora in pigiama e strascicando i piedi, andai a cercare delle aspirine. Probabilmente, avevo un principio di febbre. Era meglio stroncarlo sul nascere. Misi a soqquadro la stanza, ma non c'era traccia neanche di mezzo farmaco. Non provai neanche a chiamare Caroline. Era appena mezzogiorno, doveva essere nel bel mezzo del sonno o di altro. Meglio lasciar perdere.
Sbuffai ed indossai una felpa, pronta ad elemosinare dalle mie vicine, sperando che non fossero tutte pigre come la mia compagna di stanza.
Stretta nella mia super felpa, di due taglie in più, mi trascinai fuori dalla stanza.
Bussai almeno a dodici porte, prima che una di queste venisse aperte. E accadde proprio con la tredicesima, l'ultima del lungo corridoio, nella quale non ricordavo nemmeno chi ci alloggiasse.
Dopo due colpi secchi, la porta si aprì e quel che mi trovai davanti mi spiazzò. Probabilmente spalancai anche la bocca, senza volerlo. Ian, con indosso solo un asciugamano bianco, capelli spettinati e diversi segni rossi sul collo, mi guardava sorpreso. Quella maschera di stupore restò sul suo volto per circa dieci secondi, lasciando poi il posto ad un mezzo sorriso divertito, o maligno. Non riuscii ad interpretarlo, sconvolta ed assonnata com'ero.
"Ehi Gilbert!", esclamò, poggiando una mano allo stipite e l'altra alla porta. Lanciai una veloce occhiata all'asciugamano, lasciato pericolosamente alla sorte. "Che ti serve? Un preservativo? Mi dispiace, ma non me ne sono avanzati", continuò sardonico.
Strinsi gli occhi e lo fulminai:"Vorrei parlare con la proprietaria della stanza, se non ti dispiace", dissi freddamente.
Mi sorrise, di nuovo quel maledettissimo sorriso canzonatorio ma meraviglioso. In quel momento, sentii di odiare quel sorriso disarmante.
"Maria è sotto la doccia", rispose. "Devo recapitare qualche messaggio?".
Maria. Maria Martinez, la ragazza di Buenos Aires. Era andata a letto con Ian talmente tante volte, che ancora mi chiedo se provasse davvero qualcosa.
Alzai gli occhi al cielo ed incrociai le braccia al petto:"Chiedile se ha delle aspirine, per favore".
Mi guardò e, per un secondo, vidi il sorriso sparire dal suo volto. Ricomparve però poco dopo, quando parlò:"Nottataccia?", mi chiese, senza muoversi minimamente dalla posizione in cui si era sistemato.
Sbuffai. Si stava facendo chissà quali filmini mentali sulla notte appena trascorsa, credendo che l'avessi passata con Paul. Dire che si sbagliava, era poco. Avevamo passato tutta la notte a parlare, seduti sulle scale che portavano al mio dormitorio. Non c'era stato niente tra noi, fatta eccezione per qualche bacio rubatomi da lui nei miei momenti di distrazione.
Lo fulminai nuovamente con lo sguardo e lui sparì dalla mia visuale ed entrò nella stanza. Sentii del vociare, diverse risatine maliziose, il rumore di un anta che sbatteva ed ecco che lui era di nuovo davanti a me, col suo sorriso strafottente. Teneva tra le mani la scatolina che mi avrebbe salvata. Allungai una mano per afferrarla, ma lui la allontanò di scatto, tenendola in alto così che non ci potessi arrivare.
"Non è divertente", mormorai a denti stretti.
Lui mi guardò divertito:"Oh, invece lo è parecchio", disse lui.
Incrociai le braccia al petto, di nuovo:"Non hai di meglio da fare?", gli chiesi, indicando la stanza alle sue spalle con un gesto del capo.
Scrollò le spalle:"Nah.. Quella doccia è troppo piccola, Maria ha paura di romperla", confessò sfacciato, mentre si rigirava la scatola di aspirine tra le mani. "Poi con te mi diverto di più", aggiunse, alzando lo sguardo sul mio viso ed inchiodandomi a terra. Era incredibile come i suoi occhi si incatenassero e si fondessero con i miei, come fossero stati fatti per restare a guardarsi. Scossi la testa e la volsi verso il corridoio deserto. Quella festa aveva destabilizzato un po' tutti, probabilmente non ci sarebbe stato nessuno in giro fino alla mattina successiva.
Tra me e Ian si era creato uno strano silenzio. Sentivo il suo sguardo addosso, ma non era mia intenzione voltarmi nuovamente verso di lui. Stavo meditando di andarmene e di convivere con quel mal di testa fino a quando non sarebbe tornata Caroline a salvarmi. O magari me la sarei fatta a piedi fino alla farmacia più vicina, essendo sprovvista sia di macchina che di patente.
D'improvviso, sentii il mio corpo appesantirsi, spostai velocemente gli occhi su Ian ma la sua figura era ormai praticamente sfocata. Riuscii a scorgere lievemente i lineamenti del suo volto, contriti dalla preoccupazione, prima che il buio mi avvolgesse completamente e una voce arrivasse roca alle mie orecchie:"Elena!".

Una rondine nella tempesta| IN REVISIONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora