Capitolo dodici- Poesie

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Ian venne a conoscenza della mia vera vita quello stesso giorno. Parlammo quasi tutta la notte.  O meglio, io parlai... lui stette ad ascoltare, in religioso silenzio. Ogni tanto, sul suo viso prendevano forma smorfie di dolore e disgusto. Iniziai dal principio, dal fatto che non avevo mai conosciuto mia madre, poiché morta dopo avermi data alla luce. Mio padre non resse il colpo, iniziò ad uccidersi lentamente.. Alcool, droga, quei pochi e maledetti incontri di boxe clandestini per guadagnarsi da vivere. Ma mi tenne con sé. Almeno fino a quando non diventai un peso troppo grande. All'età di dieci anni circa, mi vendette all'uomo a capo di uno dei più ampi circoli di prostituzione degli Stati Uniti. Fui una ragazza precoce, sviluppai in fretta e, nel giro di neanche un anno, diventai la più bella ed ambita tra le ragazze presenti, nonostante la mia giovanissima età.
Non scesi ovviamente nei particolari, per non turbare ulteriormente Ian. Mi limitai a raccontargli di colui che mi stava cercando, del capo... Di Jasper. In poche avevamo avuto il privilegio, come sosteneva lui, di conoscerlo. Io e Jasmine fummo tra quelle. Mi fermai prima di raccontare quel che veramente facevamo per quell'uomo, probabilmente Ian aveva già intuito. Gli parlai di Lisa, di come la sua morte aveva facilitato la mia fuga, di come tutt'oggi mi sentissi miseramente in colpa. Gli parlai anche di Jasmine, che non avevo mai considerato mia amica fino a quel giorno. Era una specie di giungla quella: ognuno per sé. Dovevi badare a te stessa e fare di tutto per sopravvivere al meglio. Più tempo passavi con Jasper, meno ero costretta a dedicarne ai luridi clienti.
All'ennesima occhiata alla radiosveglia, notai che si erano fatte le tre. Sentivo gli occhi appesantirsi e non mi andava più di parlare, così mi fermai. Guardai Ian e lui, con la schiena posata sui cuscini del letto, allargò le braccia per accogliermi nel suo abbraccio. Abbozzai un sorriso e mi ci tuffai, sdraiandomi completamente sopra di lui, posando la testa poco sotto la sua spalla. Lui mi lasciò un leggero bacio sui capelli, accarezzandoli meccanicamente. Chiusi gli occhi, sentendomi al posto giusto tra quelle braccia.
"Lo affronteremo insieme", disse poi piano, ancora con le labbra posate sulla mia testa.
Mi scostai di poco, per guardarlo bene negli occhi:"No", dissi secca. "Non posso coinvolgerti in questa faccenda".
Lui alzò gli occhi al cielo e mi prese il viso tra le mani:"Non lo stai facendo. Io mi sto auto coinvolgendo", disse, aprendosi in un sorriso adorabile che mi fece sciogliere. Abbassai lo sguardo sul suo petto ed iniziai a disegnare piccoli cerchi sulla sua maglietta. Sentivo i suoi occhi addosso ed una gioia mai provata prima che invadeva ogni singolo angolo della mia mente. Non riuscivo a pensare ad altro che a quel bacio e, inconsapevolmente, mi venne da sorridere. Era di quello che avevo bisogno. Ian mi voleva bene, lo percepivo anche in quel momento, dal modo in cui i suoi occhi scrutavano il mio viso e le sue mani mi accarezzavano la schiena. Lo facevano con delicata decisione, come ad infondermi sicurezza ma sempre con un'innata dolcezza, che senza conoscerlo nessuno gli attribuirebbe. Nemmeno io l'avrei fatto, pochi mesi prima. Quando alzai lo sguardo dal suo petto, i suoi occhi erano ancora su di me. Mi guardava con uno strano sorriso sul volto, che mi metteva piuttosto in imbarazzo. Sentii, infatti, le guance avvampare.
"Cos'è quella faccia?", gli chiesi, guardandolo dritto negli occhi.
"Quale faccia?", chiese lui di rimando, allargando il suo sorriso.
"Questa faccia", dissi, toccandogli la punta del naso con l'indice.
Scrollò le spalle, senza smettere di sorridere:"Sto bene", mormorò, guardandomi intensamente, prima di cambiare le nostre posizioni e farmi scivolare sotto di lui. "Sono... felice", aggiunse, sfiorando le mie labbra con le sue e facendole poi scivolare sul mento, sul collo, sulle clavicole. Lasciò una scia bollente di baci sul mio corpo e quasi mi fece perdere il controllo. Ma non ero pronta, ancora non volevo donargli il mio corpo. Il mio corpo livido e macchiato di vergogna. Volevo prima fosse totalmente sincero con me. Ed io la sua storia non la conoscevo.
Stoppai la corsa delle sue labbra, prendendogli il viso tra le mani. Lui mi sorrise, come a scusarsi, dispiaciuto. Gli diedi un bacio sulla punta del naso, dopodiché lui si alzò e andò verso l'armadio e vi tirò fuori gli stessi indumenti che avevo indossato la prima volta che ero stata lì. Sorrisi quando me li porse ed andai in bagno a cambiarmi. Quando tornai nella stanza, Ian era sdraiato sotto le coperte, mi fissava con gli occhi che si chiudevano per la stanchezza. Legai i capelli e lo guardai, le mani sui fianchi.
"Non sono pratica di queste cose, come puoi immaginare", gli dissi, mentre mi avvicinavo.
Lui mi lanciò un'occhiata interrogativa ed io gli sorrisi incerta.
"Dovremmo avere un appuntamento, no?", continuai, cercando conferma nel suo sguardo.
Per tutta risposta, lui scoppiò a ridere. Lo fulminai, mentre prendevo posto accanto a lui. Incrociai le braccia al petto e mi imbronciai, nascondendo il viso nel largo scollo della maglia. Ian mi guardava divertito, con la coda dell'occhio. Mi girai su un fianco, cercando di ignorare le sue risatine e di prendere sonno. Dopo poco, il suo braccio avvolse i miei fianchi ed il suo bacino si scontrò con la mia schiena. Sorrisi, sentendo le sue labbra stuzzicarmi l'orecchio.
"Non mi sembri tipa da appuntamento elegante", disse piano, posando la sua guancia sulla mia.
Cercai di rimanere seria, nonostante la sua barba mi facesse il solletico:"Oh beh...Grazie!", mormorai, fingendomi punta sul vivo.
Un'altra leggera risatina da parte sua, subito dopo l'ennesimo sbuffare dalla mia.
"E appuntamento sia!", sussurrò, prima di lasciarmi un ultimo bacio ed addormentarsi abbracciato a me.

Una rondine nella tempesta| IN REVISIONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora