Paul si presentò alla mia porta alle nove spaccate, con un abbigliamento molto casual: jeans e maglietta, sotto una felpa pesante. Sul suo viso si apriva un sorriso stranamente sereno. Non sapevo quali fossero i piani per la serata, così avevo optato ad un look non troppo elegante: semplici leggins scuri, una maglia pesante e stivali. Mi diedi un'ultima occhiata allo specchio e mi voltai di nuovo verso Paul che, però in quel momento, osservava Caroline che usciva dal bagno e lo salutava.
Li studiai per qualche secondo: forse lo sguardo di Paul indugiò più del dovuto su di lei, mentre Caroline non ci fece caso, passò dritta e si sedette alla sua scrivania.
"Buona serata", ci disse, con un sorriso tirato, prima che ci chiudessimo la porta alle spalle.
"Allora, dove andiamo?", chiesi a Paul, che aveva posato un braccio intorno alle mie spalle.
Lui sorrise, ma non parlò, si limitò a guidare i miei movimenti. Fuori dal mio dormitorio, mi fece chiudere gli occhi e promettere che non gli avrei aperti fino a suo secondo ordine. Obbedii e cercai comunque di orientarmi. Svoltammo a sinistra e proseguimmo dritti, da lì intuii che non uscimmo dal Campus. Mi fece camminare per un buon quarto d'ora, poi mi fece aprire gli occhi. Corrugai la fronte: eravamo di fronte alla palestra. Non c'era niente di particolarmente romantico in una sudicia palestra. Mi voltai verso Paul con aria interrogativa e lui, ridendo, andò verso uno degli ingressi secondari. Lo seguii, guardandomi intorno un po' timorosa. Mi sentivo una ladra. Non appena fummo dentro, il buio invase i miei occhi. Tenevo stretto un braccio di Paul, mentre lui cercava di allungarsi per raggiungere l'interruttore. Quando la sala venne illuminata rimasi piacevolmente sorpresa. Ci trovavamo nello stanzino del coach della squadra di Basket. Non credevo che un luogo così piccolo e all'apparenza lurido, potesse sembrare quasi carino. Sorrisi: aveva fatto del suo meglio per farsi perdonare. Il pavimento era ricoperto da cuscini e coperte, e sopra una di quest'ultime c'era un piccolo cestino da pic-nic.
"Avrei voluto farlo all'aria aperta, ma rischiavamo di essere spazzati via dal vento", disse piano, mentre posava le nostre giacche in un angolo e mi invitava ad accomodarmi. Eravamo ormai a metà novembre, il freddo si faceva sentire, ma la stufa, lasciata accesa, aveva riscaldato l'ambiente alla perfezione.
Mi sedetti a terra, abbandonandomi sui cuscini, e Paul fece lo stesso. Afferrò il cestino e ne tirò fuori il contenuto: dei semplici panini.
Scoppiai a ridere e lui si imbronciò:"Ehi non potevo fare di più! E' già un miracolo che il coach mi abbia concesso questo privilegio", disse, mentre scartava i panini e stappava una bottiglia di vino.
Lo guardai con sospetto:"Dove hai preso questa roba?", indagai.
Lui mi guardò con fare innocente, poi sospirò:"Diciamo che devo parecchi favori da oggi", rispose e scoppiammo a ridere.
La serata trascorse così, tra chiacchiere e risate. Paul mi parlò della casa dei suoi a Boston e della residenza estiva in Francia, descrivendole nei minimi particolari. Non se la passavano per niente male. Mi raccontò degli ultimi guai che aveva combinato sua sorella minore Emily: era appena un'adolescente (aveva tredici o quattordici anni), ma ne aveva già combinate tante. Mi confessò che la mamma l'aveva beccata in atteggiamenti un po' troppo intimi con un ragazzo della nostra età.
"Capisci? Se la faceva con un ventenne!", esclamò sconvolto. Sospirai e cercai di tranquillizzarlo in qualche modo, nonostante la mia adolescenza fosse stata decisamente più movimentata.
Dopo quella piccola caduta, continuammo a parlare tranquillamente. Lui mi spronava a parlare di me, ma l'unica cosa che riuscii ad estrapolarmi fu qualche racconto della mia "vacanza" estiva a casa di mia nonna in Irlanda. Deviai le sue domande, cercando di parlare d'altro e riuscii abilmente a spostare sempre il discorso su di lui. Mi fece spazio tra le sue gambe ed io mi ci accoccolai, posando la testa sulla sua spalla.
Mi stavo per appisolare, cullata dal suono della sua voce, quando sentii le sue labbra solleticarmi il collo. Sorrisi ed aprii gli occhi che, subito, si scontrarono con quelli chiari di Paul, carichi di desiderio. Ancora un po' assonnata, lasciai che le sue labbra incontrassero le mie e si unissero in un bacio bollente. Le sue mani si spostarono dal mio viso, al collo, giù a scendere, lungo le braccia, fino ai fianchi, per farmi voltare verso di lui. Le sue labbra seguirono le stesso percorso, allontanandosi dalla bocca per spostarsi sul collo e, infine, sulla spalla sinistra, dalla quale aveva scostato la maglia. Sapevo dove voleva andare a parare ed io non me la sentivo di continuare. Mi allontanai leggermente e lui mi prese il viso tra le mani.
"Io non sono innamorato di Caroline e voglio provartelo", disse serio, prima di posare nuovamente le labbra sulle mie, con decisione. Cercai di allontanarlo, mentre le sue mani correvano veloci sulle mie gambe, fino al bordo dei leggins. Quando la sua bocca si allontanò dalla mia, provai a chiamarlo un paio di volte, con voce pacata, per farlo tornare alla ragione. Purtroppo non mi stette a sentire: le sue labbra lasciavano leggeri morsi sul mio collo. Le sue parole ancora rimbombavano nella mia testa, senza un senso vero e proprio. Con un flash, mi sembrò di essere tornata a quella notte di novembre, una sera molto simile a quella che stavo vivendo. Fuori faceva freddo, la pioggia si abbatteva forte contro le finestre, rompendo il silenzio che si era creato in quel piccolo studio. Ero lì, come ogni venerdì della settimana. Lui aveva bisogno di me, ero la sua "perla", come amava definirmi. I suoi occhi azzurri, chiari e limpidi, mi fissavano con desiderio e.. ed erano identici a quelli che aveva davanti in quel momento.
Con il cuore in gola ed una scarica di adrenalina, riuscii a liberarmi dalla stretta smaniosa di Paul. Mi alzai di scatto e corsi a prendere la giacca. Paul, che era rimasto a terra, probabilmente frastornato dalla botta e dal vino, si stava alzando. Mi voltai di svelta verso la porta, facendo appena in tempo a dire:"Stai lontano da me".
Fuori aveva cominciato a piovere, una pioggia mista a grandine, che sferzava il mio corpo, appena coperto da un semplice cappotto. Cercai di ripararmi il più possibile sotto ogni tettoia che mi capitava vicino. Il rumore dei tuoni mi terrorizzava. Continuai a correre, lanciandomi qualche occhiata alle spalle ogni tanto. Ma Paul non era dietro di me e non mi stava seguendo. Sospirai sollevata, non appena arrivai davanti al dormitorio femminile. Osservai per qualche minuto la porta d'ingresso e mi si strinse lo stomaco. Non era lì che volevo andare. Mandai svelta un messaggio a Caroline, avvisandola che non sarei tornata in camera quella notte, poi spensi il telefono. Lo risposi in tasca e continuai a camminare svelta verso la meta che mi ero prefissata.
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Una rondine nella tempesta| IN REVISIONE
FanfictionUna delle migliori sensazioni al mondo è quando abbracci la persona che ami e lui ti ricambia stringendoti più forte.