Capitolo sette- la medicina

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Passò una settimana dal giorno in cui Bonnie venne per parlare con Ian.  Una settimana dal giorno in cui lui non si era più presentato al Campus. Era sparito senza dare alcuna notizia. Senza avvisare me. Avevo provato a cercarlo, ovunque, avevo anche osato andare a bussare alla sua stanza. Senza ricevere risposta, ma guadagnandomi una serie di sguardi sospettosi.
Paul non sembrava affatto preoccupato, nonostante il fatto che, senza il loro giocatore migliore, la squadra stava cominciando a dare i primi segni di cedimento. Ovviamente, non mi avrebbe mai aiutata a cercarlo e stava anche cominciando a stufarsi delle mie continue attenzioni per lui.
Sospirai sconfitta, sprofondando la faccia sul cuscino. Erano le tre di notte ed io non riuscivo proprio a prendere sonno. Caroline, prima di cadere tra le braccia di Morfeo, aveva minacciato più volte di buttarmi fuori dalla stanza. Afferrai il cellulare ed il maglione ed uscii fuori dalla stanza. Mi ero pentita come non mai di non essermi fatta dare il suo numero di cellulare. Se l'avessi avuto, non sarei stata lì fuori a fissare il buio davanti a me, rigirandomi quell'aggeggio inutile tra le mani.
Sospirai ed osservai lo schermo un po' graffiato. Anche quello era un souvenir dei miei pochi giri di furto. Non era stato difficile sfilarlo dalla tasca posteriore del ragazzo di fronte a me al super mercato. Non si era davvero accorto di niente. Com'era distratta la gente. Ogni volta che lo tenevo tra le mani, mi sentivo miseramente in colpa. Ma era stato un periodo in cui avevo bisogno di parecchie cose, per poter ricominciare con una vita normale. Mi ero ripromessa che non l'avrei più fatto e così sarebbe stato.
Non sapevo cosa ci facevo lì fuori. Prendevo freddo e basta. Mi sentivo completamente inutile.
Tornata in camera, accesi la piccola luce della scrivania e mi sistemai lì, con il mio quadernetto tra le mani. Quelle notti, l'ispirazione era forte. Le melodie nella testa sempre più insistenti.
"Everybody needs inspiration
Everybody needs a song
Beautiful melody, when the night's so long".
Non riuscii a continuare. Sentivo le parole premere sulla penna, pronte per uscire, ma non potevo. Erano forse troppo vere e non ero ancora pronta per affrontarle.
Chiusi gli occhi e mi massaggiai le tempie. Improvvisamente, mi venne un'idea. Per una volta il cellulare mi fu utile.
"Domani, cioè più tardi.. pranziamo insieme? Conosco un bel posto :)", digitai velocemente quelle poche ed inviai. Vista l'ora, Paul si sarebbe certamente preoccupato e quella mattina mi avrebbe tempestato di domande sul perché non stessi dormendo, se stessi bene e migliaia di altre che avrei finto di ascoltare.
Sorrisi al mio riflesso, sul piccolo specchio davanti a me. Era stato davvero un colpo di genio quello, che riuscii a rasserenarmi.
Quando tornai a letto, mi addormentai senza problemi.

Come previsto, puntuale come sempre, Paul si presentò alla porta della mia stanza, pronto per andare a lezione. Come da capitolo, non appena aprii la porta con la borsa in spalla, mi sfilò quest'ultima dalle mani, allungandosi verso il mio viso per rilasciare un lieve bacio sulle labbra. Gli sorrisi e lui mi prese per mano.
Con lui, camminai serenamente per i corridoi. Non destavamo più scalpore, come i primi giorni. Ormai tutti sapevamo che stavamo insieme e l'assenza di Ian non sembrava provocare grosse inchieste.
Sembrava tutto più tranquillo. Così strano. Non avevo gli occhi di nessuno puntati addosso con sospetto, se non quelli di Paul al quale non avevo ancora spiegato la mia insonnia. Me la cavai, facendolo tacere con qualche bacio.
Le lezioni quella mattina sembravano non voler finire più. La giornata si tirava stancamente, mentre io continuavo a fissare imperterrita l'orologio, minacciando con lo sguardo quelle dannatissime lancette che non avevano intenzione di muoversi. Paul mi beffeggiava, credendo, probabilmente, che non vedessi l'ora di passare un po' di tempo con lui. Non l'avevo mai fatto così egocentrico, prima di allora.
Quando l'ultima lezione terminò, emisi un sospiro di sollievo e gratitudine per la professoressa che ci aveva concesso dieci minuti di anticipo. Paul ridacchiò e mi prese la borsa, non appena vi tirai fuori il cellulare. C'era un messaggio di Caroline. Cavolo, mi ero completamente dimenticata di aver chiesto anche a Caroline e Matt di venire con noi e non avevo avvisato Paul. Non appena gli diedi la notizia, non sembrò dispiaciuto.
Gli feci un gran sorriso:"Ci aspettano al parcheggio", dissi, iniziando ad incamminarmi. Lui, però, mi afferrò velocemente la mano e mi attirò a sé, facendomi scontrare col suo petto. Mi sorrise e, posando una mano sulla mia guancia, mi lasciò dei piccoli e leggeri baci sulle labbra, prima di affondarvi le sue con decisione. Ricambiai, ma dopo poco sentii mancarmi il respiro. Mi allontanai con dolcezza, per non rischiare che la prendesse male. Fortunatamente, così non fu. Mi diede un bacio sulla guancia e, mano nella mano, ci dirigemmo a passo svelto verso i parcheggi. Caroline e Matt erano lì ad attenderci, poggiati al cofano della Mercedes del ragazzo. Ci salutarono con un gesto della mano, prima di entrare nella macchina. Io e Paul ci sistemammo nei sedili posteriori.
"Allora Elena, dove si va?", mi chiese Matt, mentre accendeva il motore.
Rimasi in silenzio qualche secondo, mentre cercavo di fare mente locale. Ci ero stata solo una volta e avevo visto solo la strada del ritorno, neanche troppo bene. Sperai con tutto il cuore di non sbagliarmi ed iniziai il mio compito da navigatore vivente. Fortunatamente, la mia memoria era ancora buona e, complice anche il fatto che la strada fosse praticamente priva di svolte, riuscii ad orientarmi alla perfezione ed in meno di dieci minuti fummo davanti al locale.
"Rudy's", mormorò Paul, leggendo il nome sull'insegna.
"Che posto carino!", esclamò Caroline, mentre si rigirava su sé stessa per guardarsi meglio intorno.
Matt era già in marcia verso l'ingresso. Una volta che fu davanti alla porta, si voltò verso di noi:"Che fate? Muovetevi che sto morendo di fame!", gridò e Caroline lo raggiunse velocemente, scuotendo la testa rassegnata.
Non appena entrammo, fui invasa dalla stessa aria di qualche settimana prima. Si respirava un buon profumo, una musica soft e quella tranquilla, ma allo stesso tempo movimentata, aria anni cinquanta. Mi guardai intorno e inquadrai subito la cameriera che ci stava venendo incontro. Era la mia giornata fortunata. Non appena mi vide, si immobilizzò per qualche secondo, per poi riprendere a camminare verso di noi sicura e con un sorriso cortese sulle labbra.
"Elena!", esclamò, senza nascondere affatto la sua sorpresa, e regalandomi un goffo abbraccio.
"Bonnie, ciao!", la guardai eloquentemente, sperando che sotto sotto capisse il vero motivo per cui ero lì. "Avete un tavolo per quattro?".
La ragazza mi sorrise nervosa ed annuì. Ci condusse a passo svelto ad uno dei tavoli al centro della sala, ci porse i menù e poi si allontanò svelta, sotto lo sguardo indagatore di Paul. Sicuramente si stava chiedendo dove poteva averla già vista. Fortunatamente, non ricordò: il trucco, i capelli ben acconciati ed i vestiti da lavoro erano ben lontani dall'aspetto che Bonnie aveva quel pomeriggio davanti alla biblioteca.
"La conosci?", mi chiese poi Caroline, incuriosita.
Annuii:"E' una vecchia amica", mormorai, mentendo spudoratamente.
Quando, dopo diversi battibecchi tra Matt e Caroline, decidemmo cosa ordinare, però non arrivò Bonnie a prendere le nostre ordinazioni. Mentre tutti ordinavano, io percorrevo la sala con lo sguardo alla ricerca della ragazza che mi interessava. Sorrideva cortesemente agli altri clienti e, ogni tanto, lanciava qualche occhiata fugace verso di me.
Il pranzo proseguì con serenità, tra chiacchiere e quant'altro. Paul non sembrò accorgersi delle mie continue occhiate a Bonnie e ne fui sollevata. Non posso dire altrettanto di Caroline, però, che non aveva perso un solo mio movimento e che in quel momento mi aveva appena gelata con lo sguardo. Le inviai un messaggio, sperando di essere il più discreta possibile. Le chiesi di stare al gioco, le avrei spiegato tutto più tardi. Non appena lo lesse, annuì impercettibilmente non mancando, comunque, di rimproverarmi con gli occhi.
Quando vidi Bonnie posare gli ultimi piatti sporchi sul bancone e dirigersi in bagno, la seguii. Scivolai silenziosamente dietro di lei, prima che la porta si chiudesse.
Non si voltò neanche, sapeva benissimo che ero lì. Si chinò sul lavandino e si sciacquò mani e viso.
"Elena, non mi sembra il caso", mormorò, continuando a non guardarmi.
"Per favore, Bonnie", dissi io, mostrandomi il più convincente possibile.
Quando si voltò verso di me, il suo sguardo era serio:"Non vuole vedere nessuno", disse secca.
Cercai di fare lo sguardo più languido che mi riuscisse:"Voglio solo sapere come sta", dissi piano.
Lei spostò lo sguardo altrove, lontano dal mio viso:"Bene", mentì, ad occhi bassi. Sembrava voler scoppiare da un momento all'altro. Guardandola meglio, notai che avevo la pelle un po' tirata, segno di profonda stanchezza. Le posai una mano sul braccio, aspettando una sua reazione, che non tardò ad arrivare. Esplose, letteralmente. Sbatté un pugno contro il lavandino e parlò con voce rotta:"Io non so più cosa fare. Rimane chiuso in quella dannatissima stanza. Esce solo quando io non ci sono. Non mi parla..", si interruppe e mi guardò con occhi vacui, posando le mani sulle mie spalle. "Da la colpa a me".
In quel momento, con il suo viso sconfitto a pochi centimetri da me, feci l'unica cosa che mi venne spontanea. L'abbracciai e lei non si ritrasse.
"Per cosa?", le chiesi, sperando in una risposta che però sapevo che non avrei ricevuto.
Non mi stupii, infatti, quando scosse la testa e si allontanò. Mi sorrise, come a ringraziarmi, ma non proferì alcun altra parola. La fermai, prima che potesse uscire, o meglio, scappare da quel bagno.
"Ti prego", mormorai. "Posso darti una mano, lo sai".
Mi guardò incerta per qualche minuto, poi annuii.

Una rondine nella tempesta| IN REVISIONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora