"Non mi rivolge parola", borbottai con la faccia sul cuscino, mentre Caroline si preparava per affrontare quell'ennesima giornata di studio - lavoro. Era passata ormai più di una settimana dal giorno in cui Ian aveva rovinato tutto, più di una settimana dal giorno in cui Paul aveva smesso di rivolgermi anche solo uno sguardo. Quella sera ci sarebbe stata la festa di Halloween, organizzata dalla confraternita di cui Matt faceva parte. Ovviamente Caroline non voleva lasciarmi da sola, quindi ero stata praticamente costretta ad accettare l'invito forzato del suo ragazzo. Una cosa abbastanza imbarazzante.
Non avevo un vestito per la serata, ma Caroline era riuscita ad intrufolarsi nella zona costumi del teatro ed ecco che, appeso vicino alla finestra, c'era un elegante abito bianco con uno strascico lungo il giusto e una serie di finti Swarovski azzurri e luccicanti sul busto. Sul mio comodino era posata una piccola aureola d'oro.
Caroline aveva impiegato tutta una notte a convincermi ad indossare quell'abito in linea con il suo: un mini abito rosso svolazzante, decorato anch'esso con centinaia di perline sul busto. Sopra il suo, di comodino, c'erano delle graziose corna da diavolo. Mi faceva piacere sapere che mi credeva un angelo, ma io quelle ali gigantesche, che aveva trovato nel teatro, non le avrei mai indossate.
Mi sarei sentita in imbarazzo totale con quella roba indosso, ma l'avrei fatto solo per la mia amica. Più che altro, lei mi voleva alla festa per monitorare i suoi comportamenti: non voleva ubriacarsi e fare strane scenate per la prossima partenza di Matt.
"Stai tranquilla", mi disse, quando uscì dal bagno ed io presi il suo posto. "Vedrai che si sistemerà tutto".
Sospirai. Paul non prendeva neanche più posto accanto a me a lezione. Al contrario di Ian che, durante letteratura inglese, non mi mollava un attimo. La mia intolleranza nei suoi confronti aumentava ogni giorno di più. Era incredibile come si facesse amare ed odiare allo stesso tempo. Era una cosa insopportabile.
Indossai velocemente i miei soliti jeans ed un comodo maglioncino e, presa la borsa, mi diressi in biblioteca. Non avevo lezioni quel venerdì, quindi tanto valeva fare qualcosa di produttivo invece che starsene buttata a letto tutto il giorno. Nel corridoio del dormitorio, Caroline mi sorpassò di corsa, salutandomi con una pacca sulla spalla destra. Alzai gli occhi al cielo: come sempre, era in ritardo.
Con passo moderato e a testa bassa, cercando di non incrociare lo sguardo sospettoso di nessuno, arrivai alla biblioteca. Tutti quanti credevano fossi la ragazza segreta di Ian o robe simili. Ipotesi totalmente ridicole e fondate solamente sulle poche volte che ci avevano visti insieme, nonostante sapessero benissimo che gli davo ripetizioni, inutili oserei dire, di letteratura inglese.
In silenzio presi posto ad un tavolo per due persone, addossato al muro, in una zona abbastanza isolata della biblioteca. Era il mio posto preferito, lontano da ogni distrazione. Purtroppo non quel giorno.
Tirai fuori i miei libri e, con l'ipod alle orecchie, mi immersi nello studio.
Stavo cercando di farmi entrare in testa le migliaia di implicazioni sociali dei romanzi di Tolstoj, quando qualcuno picchietto sulla mia spalla. Chiusi gli occhi, pregando in tutte le lingue del mondo che colui che stava alle mie spalle non fosse chi stavo pensando.
Voltai di poco la testa e le mie poche speranze furono annientate dal suo sorriso smagliante. Ian.
"E' libero?", mi chiese indicando il posto accanto al mio.
Mi guardai intorno:"Certo..", risposi, mentre lui già si accomodava. Poi aggiunsi, quasi sibilando:"Come gli altri duecento posti qui dentro".
Alzai gli occhi al cielo e poi gli puntai di nuovo sul libro, riportando le cuffie dell'ipod alle orecchie. Dopo poco, però, una di queste venne levata e i miei occhi, stanchi ed esasperati, incontrarono quelli ridenti di Ian.
"Maroon 5?", chiese divertito.
Alzai un sopraciglio:"Qualcosa non va?", ribattei stizzita, tornando ad evitare il suo sguardo due minuti dopo averlo incrociato.
Scrollò le spalle:"Hai più l'aria da Bruno Mars", mormorò, tenendo la mia cuffia al suo orecchio.
Feci un mezzo sorriso e, con una mossa veloce, feci scorrere la playlist fino ad arrivare alla canzone interessata. Non appena la feci partire, lui sorrise facendo slittare velocemente gli occhi dal suo libro al mio viso. Avevo come l'impressione che le mie intenzioni di studiare sarebbero scemate molto presto.
"E se ti avessi detto OneRepublic?", chiese, mentre giocherellava con la matita.
Il sorriso sul mio viso si allargò e la mano risalì piano la playlist, trovando subito la seconda canzone che cercavo.
Ian avvicinò di più la sua sedia alla mia ed io non mi scostai. Era incredibile l'effetto che aveva su di me. Incredibile e allo stesso tempo fastidioso. Perché non ero ancora andata via? Semplice, non volevo. Mi piaceva la sua irritante compagnia.
Allungò di poco il collo e, successivamente, la mano verso il mio ipod. Iniziò a scorrere le canzoni e a leggere i titoli con un sorriso divertito sul volto. Abbassai la testa imbarazzata. Ascoltavo di tutto: dalla musica più "antiquata", ai giovani cantantuncoli del nostro secolo. Quelle ultime scelte mi imbarazzavano un po', ma io davo occasione a tutti e mi piaceva spaziare i miei orizzonti.
Lui non sembrò farci caso. Sembrava più che altro voler capire chi fossi, attraverso la mia musica. Non sapevo cosa ci avrebbe visto e iniziai ad agitarmi un po'. "Non hai musica italiana", mormorò sorpreso.
Scrollai le spalle:"Fatta eccezione per Verdi e Pavarotti, non conosco un granché", mormorai. Poi tacqui e, mentre lui continuava a cambiare canzone ogni trenta secondi, tornai a studiacchiare. Anche se quello era un parolone, visto che la sua presenza non mi faceva concentrare affatto. Il suo gomito sfiorava il mio e la mia schiena continuava ad essere percorsa da una serie incontrollata di brividi. Inspirai profondamente e spostai i capelli sulla spalla destra, così da creare un muro tra noi due.
"Hai un buon profumo", mormorò lui, dopo qualche minuto.
Sentii le guance avvampare e mi immobilizzai sulla sedia. Dalla bocca non mi uscirono parole, nemmeno qualche verso. Feci finta di non averlo sentito e continuai la mia lettura. O meglio, la mia finta lettura, visto che stavo guardando e riguardando, da più di dieci minuti, la stessa frase senza averne capito minimamente il significato. Sospirai sconfitta e chiusi il libro.
Ian, che aveva finalmente lasciato il mio lettore musicale, era concentrato su un disegno. Sembrava un occhio, ma era ancora troppo poco delineato per riuscire a comprenderlo.
Sospirai e mi alzai. Lui, allo scricchiolio della sedia sul pavimento, si voltò immediatamente nella mia direzione:"Dove vai?", chiese con un punta di dispiacere.
"A prendere una boccata d'aria", mormorai, muovendomi svelta fuori dalla porta.
A quell'ora e con quel tempaccio, c'erano pochi studenti in giro per il campus. Mi sedetti sui gradini della biblioteca e mi guardai intorno. Nel prato di fronte a me, una ragazza stava stretta tra le braccia di quello che supposi fosse il suo ragazzo. Scrutava il suo viso con sguardo innamorato e non potei fare a meno di sorridere, ma sentire un enorme vuoto dentro. Era quello l'amore? Non potevo saperlo. Non riuscivo a capirlo. Io.. io non ci avevo mai pensato. Non l'avevo mai provato. Non avevo mai provato attrazione per qualcuno. Almeno fino a quel momento.
Sentii gli occhi inumidirsi, ma riuscii a ricacciare indietro le lacrime appena in tempo. Ian si era appena accomodato accanto a me, una sigaretta tra le labbra. Era già quasi a metà, ciò voleva dire che era lì fuori da più tempo di quanto credessi o lui avesse voluto farmi credere.
Allontanai gli occhi da quella coppia e li lasciai vagare in un punto imprecisato davanti a me, senza mai portarli su di lui.
"Stai bene?", mi chiese improvvisamente, facendomi quasi sobbalzare.
Fui presa alla sprovvista, tanto da non riuscire neanche a negare l'evidenza. Non risposi. Abbassai lo sguardo sui miei piedi e feci un gesto con la testa che voleva fargli intendere di lasciar perdere. Di lasciarmi perdere. Forse sarebbe stato meglio per me.
La sua mezza sigaretta comparve, stretta tra il suo dito indice e medio, nel mio campo visivo come un'offerta. La osservai qualche secondo. Avevo perso quel vizio, iniziato all'età di tredici anni, ormai da un anno. Ma un tiro che mi avrebbe fatto? L'accettai e la portai alla bocca, sotto il suo sguardo apprensivo.
Non parlammo. Lui si limitava a fissarmi ed io a cercare di non fare lo stesso con lui.
Come faceva ad essere così sicuro di sé?
Quando mi resi conto che ormai stavo aspirando il filtro, spensi la sigaretta e la lanciai lontano. Poi voltai la testa, quel tanto che bastava per incrociare gli occhi scuri di Ian.
"Non mi hai risposto", mormorò, senza lasciar andare il mio sguardo ed aprendosi in un mezzo sorriso comprensivo.
"Non mi va di rispondere", dissi. Alzai di poco le ginocchia e le strinsi tra le braccia, poggiandoci sopra la testa, sempre rivolta verso di lui.
Le mie labbra sorrisero, ma sentii che i miei occhi non ne furono contagiati e lui se n'è accorse.
"Hai voglia di fare una passeggiata?", mi chiese.
Nonostante il tono pacato, il suo sguardo non ammetteva obiezioni. Annuii ed entrai dentro a riprendere le nostre cose ma, mentre tornavo da lui, l'occhio mi cadde sul suo blocco da disegno. Lo sfogliai velocemente prima di rimetterlo dentro il suo zaino. C'erano centinai di disegni e testi sparsi per le pagine. Non feci in tempo ad osservarli tutto, ma l'attenzione mi cadde sulla base di un foglio. Sicuramente sopra c'era un disegno, purtroppo riuscii a scorgere solo una piccola scritta in una grafia un po' disordinata:"After all the pain, only love remains".
Istintivamente sorrisi, poi infilai velocemente il blocco nella sua borsa e mi precipitai fuori. Lui aveva una nuova sigaretta alla bocca. Questa non gliel'avrei rubata. Gli porsi lo zaino e lui mi regalò un sorriso, per ringraziarmi.
Iniziammo a camminare, dalla parte opposta a quella in cui c'erano, o si stavano dirigendo, tutti gli studenti. Ovviamente, non mancarono gli sguardi maliziosi e sospettosi, ma cercai di non farci caso. Ian, dal canto suo, camminava tranquillo e, di tanto in tanto, mi rivolgeva qualche domanda con la speranza che mi aprissi a lui. Sospirai malinconica. Non mi piaceva parlare di me nemmeno nella mia vita precedente, figuriamoci in quella attuale. Ero un muro, troppo alto anche per lui.
Dopo qualche minuto, di silenzio tombale da parte mia e di riflessione da parte sua, parlò:"Mi piaci Gilbert".
Continuai a camminare, mantenendo il ritmo del suo passo, nonostante quella frase, detta così all'improvviso, mi avesse gelato il sangue nelle vene. Dentro di me, mi immobilizzai. Non capii più niente. Riuscii solo a lanciargli un'occhiata interrogativa, cercando di mascherare il meglio possibile il rossore sulle mie guance.
"Sei un mistero", mormorò. "E poi ti mostri così sicura di te, sempre.. Non ti stanchi?"
Lo guardai aggrottando le sopraciglia, ma lui non continuò. Guardò semplicemente davanti a sé, con uno strano sorriso sulle labbra. Un po' seccata, lasciai perdere. Non avevo la forza di portare avanti una discussione. Non con lui poi, che un minuto prima mi faceva impazzire di rabbia e quello dopo mi faceva impazzire per lui. Nascosi un mezzo sorriso con i capelli. Lo detestavo.
Quando arrivammo davanti al mio dormitorio, mi prese un braccio per fermarmi.
Lo guardai interrogativa.
"Ci vieni alla festa stasera?", chiese.
Annuii:"E son già in ritardo secondo la tabella di marcia di Caroline".
"Alle dieci?"
Annuii, sempre più confusa, sapevo benissimo a che ora iniziava. Lo guardai stranita mentre mi salutava con un gesto della mano e si allontanava a grandi passi.
In camera, Caroline era già affaccendata ad acconciarsi i capelli e a sistemare la postazione per il trucco. Io non avevo mai testato la sua forza da uragano in questi momenti, ma alcune sue amiche mi avevano ben messa in guardia. Riusciva a fare duecento cose contemporaneamente e tutte perfettamente, il problema era che diventava quasi un despota.
"Ti sembra il momento di arrivare?!", esclamò prendendomi per un braccio e facendomi sedere al centro della stanza. Chiusi gli occhi e mi lasciai nelle mani della mia amica, ripensando a quella strana giornata. Mi stavo guardando allo specchio, quando qualcuno bussò alla porta. Caroline la fissò incuriosita. Non aspettavamo nessuno, fatta eccezione per Matt che aveva comunque detto che ci avrebbe aspettate fuori dal dormitorio. La festa non si sarebbe tenuta lontano dal nostro edificio, quindi andare a piedi non era un problema.
Mentre io cercavo di infilare quelle trappole mortali, che la gente normale definiva tacchi, ai piedi, la mia amica andò ad aprire. Avendo lo sguardo basso, non notai subito chi vi fosse davanti a lei. Quando mi alzai dal letto, i miei occhi si scontrarono con gli ultimi che mi sarei aspettata di trovare davanti a quella porta. I suoi, profondi come un mare , mi osservavano oltre la spalla di Caroline e.. sorridevano, così come il resto del suo viso. Guardandolo meglio, notai che indossava un elegante completo giacca e cravatta nero. Non volevo ammetterlo, ma gli donava davvero. Forse anche troppo.
Caroline si voltò verso di me con aria sconvolta, poi si allontanò per lasciarmi il passo ed andò in bagno ad infilarsi il vestito. Io non guardai Ian, mi voltai verso il mio comodino e cercai di indossare quella strana aureola.
"Che vi fai qui?", gli chiesi, sempre dandogli le spalle.
"Son venuto a prenderti", rispose e la sua voce, così vicina, mi fece sobbalzare. Quando mi voltai, lo trovai a pochi centimetri da me. I nostri corpi quasi si sfioravano, così come i nostri volti. La mia nuova altezza, ottenuta grazie a quelle vertiginose scarpe dorate, mi permetteva quasi di raggiungere la sua. Almeno potevo guardarlo negli occhi senza dover sollevare di troppo la testa.
Lo fissai incuriosita ed imbarazzata, mentre le sue mani sistemavano meglio la coroncina sulla mia testa.
"A prendermi?", mormorai, abbassando lo sguardo sua cravatta.
"Certo! Andiamo?", mi chiese, allontanandosi di poco. Notai che i suoi occhi non si decidevano a lasciare il mio corpo. Improvvisamente, sentii quel vestito troppo stretto sul mio corpo e quella scollatura troppo profonda. Le guance avvamparono e cercai in tutti i modi di nasconderlo, ma non potei fare a meno di fissarlo perplessa aspettando che mi desse delle spiegazioni più chiare.
Dopo qualche minuto, capì e parlò:"Hai accettato tu, questo pomeriggio", disse cauto.
Aggrottai la fronte:"Cosa?!", chiesi allibita. "Io non ho accettato niente".
In quel momento la porta del bagno si spalancò e ne uscì Caroline con un sorriso a trentadue denti. Detestavo quella sua espressione, segno che stava macchinando qualcosa. Indosso aveva in suo mini abito rosso e delle calze a rete per cui Matt avrebbe avuto sicuramente qualcosa da ridire, geloso com'era. Il trucco, scuro e pesante, metteva in risalto i suoi occhi azzurri e la sua pelle diafana.
Ci osservava divertita e con quel sorriso spaventoso sulle labbra.
"Ma puoi accettare adesso!", esclamò, mentre ci prendeva entrambi per mano e ci spingeva fuori dalla stanza. "Ci vediamo alla festa!", ci salutò agitando una mano.
La guardammo, entrambi senza parole, e ci dirigemmo lentamente verso l'uscita del dormitorio. Per la strada incontrammo Matt che ci lanciò un'occhiata sorpresa. Stava sicuramente andando a vedere che fine aveva fatto la sua ragazza. Quella traditrice. Mi aveva detto di venire alla festa solo per monitorare i suoi movimenti, ma era ovvio che volesse passare tutto il tempo con Matt. Non aspettava altro che un momento come quello. Aveva sperato in Paul ma lui a quanto pare non era disposto a perdonarmi e lei era stata pronta a buttarmi sulle braccia del primo che passava. Casualmente, il primo fu proprio Ian. Quello per cui lei nutriva non pochi sospetti e per il quale non aveva mai avuto una buona parola, se non per il suo aspetto fisico.
Sospirando, mi strinsi nel cappotto e seguii Ian molto fiaccamente. Avevo perso tutta la poca voglia che avevo di andare a quella dannatissima festa. Sicuramente ci sarebbe stato anche Paul. Chissà se aveva deciso di andarci con qualcuna. Cercai di non pensarci e mi concentrai sul ragazzo che avevo accanto, che non aveva più aperto bocca da quando eravamo usciti dalla mia stanza.
"Come mai così elegante?", gli chiesi, voltandomi di poco nella sua direzione.
Scrollò le spalle:"La squadra ha optato per un look alla Man in Black", disse con un mezzo sorriso.
Lo squadrai perplessa:"Sarete vestiti tutti nello stesso modo?".
Annuì, continuando a fissarsi i piedi.
"Inquietante", mormorai, scatenando la sua risata.
Quando arrivammo nella zona della festa, la musica iniziò a penetrare fastidiosamente le mie orecchie. Prima che potessi fare un altro passo verso l'edificio, Ian mi afferrò per un braccio.
"Sei sicura di voler andare lì dentro?", chiese e capii che lui desiderava fare tutt'altro.
Lo guardai negli occhi, sembravano volermi pregare ma io non avrei ceduto. L'avevo promesso a Caroline.
Annuii sicura e lo trascinai dentro con me.
Al nostro ingresso, quasi tutti gli sguardi dei presenti si posarono su di noi. Abbassai gli occhi imbarazzata e mi sfilai il cappotto. Ian lo prese dalle mie mani e lo sistemò in una sedia, insieme al suo.
Cercando di mostrarmi il meno impedita possibile, mi diressi verso un tavolo che fungeva da open bar. La presenza di Ian alle mie spalle, però, non faceva altro che alimentare la curiosità degli altri che non ci toglievano gli occhi di dosso ed iniziavano a bisbigliare tra di loro chissà cosa. Sicuramente immaginavano le peggio cose.
Avevo chiesto al ragazzo dietro il tavolo una Tequila, ma lui a quanto pare non mi aveva sentita, impegnato com'era a perdere lo sguardo sul mio corpo. Stavo per riformulargli la domanda, quando Ian mi precedette:"Ehi! Ti ha chiesto un drink!", sbottò scocciato, stringendo una mano intorno ai miei fianchi e nascondendomi di poco dietro il suo corpo. Lo guardai sorpresa, mentre lui continuava a fissare furibondo il ragazzo di fronte a lui, che gli preparò velocemente due drink. Ne porse uno a me e si allontanò a grandi passi, trascinandomi con sé. Si addossò in un angolo della sala, un po' isolato e mi fissò con occhi accusatori.
Presi un sorso della mia Tequila e lo fissai a mia volta:"Che c'è?", chiesi infastidita.
Aggrottò la fronte, spostando lo sguardo sul mio abito:"Non credo che gli angeli si vestano in questo modo", disse secco.
Alzai un sopraciglio:"Adesso ce l'hai con il mio costume?", chiesi esasperata.
Lui non mi guardò. Fissò, invece, tutti quelli che erano alle mie spalle con sguardo minaccioso:"C'è troppa gente che vorrebbe portarti a letto", sibilò, finendo in un sol sorso il suo cocktail.
Incrociai le braccia al petto e gli lanciai un'occhiata eloquente:"Tu no, invece?", chiesi, conoscendo benissimo la risposta.
Lui spostò lo sguardo su di me, ma non parlò. Si limito a guardarmi per un tempo che sembrò infinito. Io ressi il suo gioco, fino a quando una voce familiare non mi chiamò. Alcune mie compagne di corso mi chiesero di unirmi a loro sulla pista da ballo ed io non ci pensai due volte. Lasciai Ian ai suoi stupidi pensieri e raggiunsi le ragazze, che si complimentarono con me per il costume. Uno dei pochi originali lì dentro. Loro, così come quasi tutte le altre, indossavano quasi tutte costumi sexy: infermiera, insegnante, cuoca.. Il tripudio della volgarità. Trattenni per me quei pensieri e cercai di divertirmi e, soprattutto, di allontanare la mia attenzione ed il mio sguardo da Ian.
La musica di una delle ultime canzoni di David Guetta rimbombava nelle mie orecchie ed il suo ritmo mi impediva totalmente di pensare. Mi divertii con quelle ragazze. Ogni tanto una di noi si allontanava dal gruppo per andare a prendere qualcosa da bere e, quando restavamo in due, qualche ragazzo si avvicinava a noi per ballare. Sentivo le loro mani scorrere sul mio corpo ed il loro bacino aderire al mio fondoschiena, ma non mi allontanai come avrei fatto solitamente. Mi lasciai andare, così come tutte le altre ragazze. Detestavo che continuassero a pensare che tra me e Ian ci fosse qualcosa ed iniziavo ad essere intollerante nei confronti del suo comportamento possessivo. Non ero la sua ragazza, non si poteva neanche dire che eravamo amici.. Non eravamo niente. Ma, in quel momento, era inutile cercare di capire cosa fossimo. Di tanto in tanto, lanciavo occhiate nella sua direzione e lo vedevo sempre poggiato al muro, con un drink diverso e lo sguardo truce. Sorrisi tra me e me: del resto era quel che si meritava. All'ennesima occhiata verso di lui, non lo trovai e rimasi piuttosto spiazzata. Tornai a dare attenzioni al ragazzo dietro di me ma, quando alzai lo sguardo, mi resi conto che era di qualche centimetro più basso e non aveva i capelli biondi. Le sue mani si posarono sui miei fianchi ed erano più delicate di quelle di tutti gli altri ragazzi con cui avevo ballato, e mi allontanarono di qualche metro dalla pista affollata. Le sue labbra si avvicinarono al mio orecchio e la sua barba mi solleticò il collo.
"Che stai facendo?", mi chiese piano.
Trattenni il sospiro di piacere che mi aveva causato sentire la sua voce così pacata:"Che ti importa, Ian?", mormorai, restando immobile tra le sue braccia.
Il suo respiro sul mio collo mi fece rabbrividire. Il suo alito odorava di alcol, ma non credo che il mio fosse migliore in quel momento.
"Cosa vuoi dimostrare?", chiese ancora, facendo sfiorare il suo naso con il mio orecchio. Sentii i brividi sulla schiena aumentare, mentre le sue mani accarezzavano il mio ventre e le sue labbra iniziavano a scivolare sul mio collo. Avevo gli occhi semi chiusi, mi stavo lasciando andare sempre di più in balia delle sue carezze.
"Che so.. c-cavarmela da s-so-sola", balbettai, cercando di riprendere il controllo di me.
Con la vista un po' annebbiata, notai che il resto della sala si stava allontanando e che il luogo intorno a me diventava sempre più buio. Sentii le mani di Ian viaggiare lungo le mie spalle e il suo desiderio aumentare contro il mio corpo. Con qualche ultimo briciolo di lucidità, mi allontanai da lui di scatto.
"Che diavolo stai facendo?!", gridai furibonda.
I miei occhi cercarono i suoi, che viaggiavano vacui da una parte all'altra della stanza semi buia.
"Mi.. mi dispiace", sussurrò, abbassando il volto sui suoi piedi.
Lo osservai ancora per qualche secondo, fino a quando la mia rabbia non sbollentò. Sembrava sinceramente pentito e, probabilmente, era stato l'alcol a dettare i suoi gesti.
"Mi dispiace, davvero.. Io..", cercò di dire qualcosa, ma gli mancarono le parole. Allungò un braccio verso di me ed io cercai, con tutte le mie forze, di non allontanarmi. "Non volevo..", sussurrò, mentre accarezzava piano il mio braccio sinistro, incrociato al petto con quello destro.
I miei occhi scrutavano il suo viso, rivolto verso il basso. Sembrava stesse rimuginando su quel che aveva appena fatto. Era davvero dispiaciuto. Ed io non potevo arrabbiarmi, del resto mi ero lasciata andare anche io. Sospirai e gli strinsi la mano che aveva posato sul mio braccio.
A quel punto alzò gli occhi e li incastonò nei miei.
"Potrai anche non crederci..", mormorò, tornando velocemente con lo sguardo basso. "Ma io ci tengo a te".
Detto questo, sciolse l'intreccio che si era creato tra le nostre mani ed uscii dalla stanza. Restai imbambolata lì per qualche minuto, a cercare di capire cosa fosse successo. La testa mi doleva, sembrava voler esplodere da un momento all'altro, e ciò mi impediva di meditare a dovere sulla situazione.
Chiusi gli occhi ed inspirai profondamente, prima di uscire anche io. Sulla soglia, mi scontrai con qualcuno.
"Oh scusami!", esclamai, portando una mano alla testa visto il giramento che mi aveva causato il contraccolpo. La mano di un ragazzo mi afferrò per mantenere saldo il mio equilibrio, ormai instabile. Quando alzai lo sguardo, gli occhi color del mare di Paul mi inchiodarono sul posto.
"P-Paul...", balbettai, mentre lui lasciava andare immediatamente la presa sul mio braccio. "Ciao".
Lui rispose con un mezzo sorriso forzato. Mi odiava e non potevo dargli torto, ma volevo almeno provare a fargli cambiare idea, a spiegargli come stavano davvero le cose. Lo guardai imbarazzata, mentre cercavo le parole adatte. Lui si guardava intorno ed ogni tanto fermava il suo sguardo sulla figura di Vicky Lain, dall'altra parte della sala. Era seduta sullo stesso divanetto di Ian e lo guardava con occhi languidi e, probabilmente, seducenti. Paul doveva essere venuto lì con lei e lei l'aveva lasciato per andare a fare la civetta con Ian, così come metà delle ragazze presenti in sala. Mentre seguivo lo sguardo di Paul, incontrai quello di Caroline che ballava al centro della pista con Matt, così come tutte le coppiette presenti quella sera. In sottofondo, una canzone di Robbie Williams. Prima di voltarmi nuovamente verso Paul, incrociai gli occhi scuri di Ian che mi fissavano, glaciali.
"Ti va di ballare?", chiesi piano a Paul, allontanando velocemente lo sguardo dal viso contrito di Ian.
Lui scrollò le spalle e mi porse la mano. Io la strinsi e lo seguii sulla pista da ballo. Quando fummo in mezzo agli altri, feci girare le braccia intorno al suo collo mentre lui posava le sue mani sui miei fianchi. Continuava a far scorrere lo sguardo per sala, portandolo lontano dal mio viso e lanciando diverse occhiatacce nella direzione di Ian. Sospirai e presi coraggio.
"Paul... non è come pensi", mormorai, fissando il suo petto.
Lo sentii ghignare:"Ah no? Quindi non sei uscita tutta scombussolata dalla stessa stanza da cui, qualche minuto prima, è uscito Somerhalder sistemandosi la cravatta?", chiese sarcastico. "Andiamo, Elena... Non prendermi in giro".
Lo guardai dispiaciuta. Ian riusciva sempre a confondere la situazione. Non che Paul si sbagliasse del tutto. Se non avessi ripreso un po' di lucidità, chissà cosa sarebbe accaduto in quella stanza. Abbassai nuovamente lo sguardo e, mentre volteggiavamo su noi stessi, i miei occhi ogni tanto finivano inevitabilmente sulla figura di Ian. In quel momento, stringeva la coscia che Vicky gli aveva posato sulle gambe. Lui sorrideva con malizia, mentre lei gli accarezzava il viso, spostando poi le mani in ogni dove.
"Ti sbagli, comunque", mormorai, ma Paul continuò ad essere scettico. "Non provo niente per lui.. Forse sta diventando un amico, ma non posso dirlo con certezza".
Sospirai rumorosamente:"Non potrei mai stare con qualcuno che tratta le ragazze in quel modo", conclusi, posando la testa sulla sua spalla. Sentii le sue mani stringersi di più intorno alla mia vita e sorrisi. Mi sentivo bene tra quelle braccia: sollevata e, soprattutto, al sicuro. Il ritmo del suo respiro mi infondeva sicurezza.
Le sue mani continuavano a scorrere delicate, accarezzando la mia schiena.
Sentii il sorriso di Paul vicino al mio volto, così alzai lo sguardo. Le sue labbra erano a pochi centimetri dalle mie. Incrociai i suoi occhi e li vidi sorridenti, tanto da contagiarmi.
"Quindi..", mormorai, avvicinandomi ancora di più al suo viso. "Mi perdoni?".
Fece una strana smorfia, come se ci stesse riflettendo su. Lo guardai offesa e gli diedi un piccolo schiaffo sulla spalla. Lui rise ed annuì, avvicinando poi nuovamente il suo volto al mio. Le nostre labbra si sfioravano. Indugiò qualche secondo, timoroso della mia reazione, ma non appena chiusi gli occhi, la sua bocca si incollò alla mia e le sue mani corsero veloci al mio viso, per prolungare quel momento. Quello strano momento per me. Era da troppo tempo che non mi accadeva una cosa simile. Probabilmente non mi era mai successo. Non avevo mai baciato qualcuno, era l'unico punto su cui ero categorica quando facevo il mio lavoro. Perciò fui invasa da centinaia di emozioni mai provate prima. Solo poco prima avevo sentito una sensazione simile, alla base dello stomaco, quando le mani di Ian avevano avvolto con sorprendente delicatezza. Non ero mai stata in grado di provare piacere, ero sempre stata solo in grado di fingere. Così, in quel momento, mi sentii viva e piena di emozioni.
Sorrisi ad occhi chiusi quando Paul si allontanò, lentamente, dal mio viso. Le sue mani mi accarezzavano piano le guance. Quando aprii gli occhi, notai diversi sguardi divertiti posati su di noi. Tutti sorridevano, tutti men che uno. Ian ci fissava stranito, stringendo gli occhi fino a farli sembrare due fessure. Prese poi il viso di Vicky tra le mani ed incollò con slancio le sue labbra a quelle della ragazza, che sembrava non aspettare altro per il resto della serata. Le loro lingue si intrecciavano sotto i miei occhi divertiti. Non poteva davvero credere che quella scena mi avrebbe smosso. Anzi, continuava a non farmi cambiare idea su di lui. Non era di certo il tipo di ragazzo che avrei voluto al mio fianco.
Presi la mano di Paul e, con lui, andai via dalla festa.
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Una rondine nella tempesta| IN REVISIONE
FanfictionUna delle migliori sensazioni al mondo è quando abbracci la persona che ami e lui ti ricambia stringendoti più forte.