Capitolo sedici- In azione

1.1K 54 5
                                    

Bonnie mi guardava con gli occhi sgranati; il bicchiere, appena preso dal tavolo, era a terra, ridotto in mille pezzi. Caroline si stava impegnando a raccoglierli.
Avevo trovato sconveniente informarla al telefono di quel che era caduto. Così mi ero precipitata a casa sua, dopo aver avvisato Caroline e Paul. Anche in quel momento, però, non riuscii a spiccicare una parola. Ci pensarono i miei amici al mio posto. La voce calma e pacata di Paul però non riuscii a placare l'animo di Bonnie. Continuava a fissarmi, senza parole, con le lacrime agli occhi. Leggevo paura dentro di lei, ma anche rabbia. Probabilmente nei miei confronti. Dopo aver preso un minimo di coraggio, mi avvicinai a lei che si lasciò abbracciare, senza opporre resistenza. Sentii il suo respiro spezzato sul collo.
"Cosa ha intenzione di fargli?", chiese, quando fummo tutti intorno al tavolo.
Buttai giù in un sorso il mio amaro caffè e scrollai le spalle:"Sicuramente niente. Vuole me... Ian è solo un'esca". Nessuna emozione traspariva dal mio volto. Almeno davanti a loro dovevo mostrarmi forte.
"Hai idea di dove può essere?", domandò Paul, che intanto aveva acceso il computer e si era concentrato su una banalissima mappa degli States. Sapevo benissimo dove si trovava, quella mappa non sarebbe servita a nulla. Il momento dei giochi era finito.
"New York", sospirai.
Avrei dovuto tornare in quella città. In quel luogo da cui ero scappata. Dovevo tornare da lui e arrendermi. Arrendermi alla sua volontà per salvare Ian. Non me lo sarei mai perdonata, se gli avesse fatto del male. Temevo che potesse accadere, ma cercai di trattenermi. Di tenere lontani quei pensieri in presenza di Bonnie.
Paul mi lanciò un'occhiata, che lasciava intendere che aveva già capito. Lo ammonii con lo sguardo. Sicuramente, in quell'impresa, era l'unico che mi sarebbe stato d'aiuto. Ma non l'avrei accettato, anche se si fosse offerto lui di sua spontanea volontà. Cosa che, dopo pochi minuti, fecero tutti e tre.
"Quando si parte?", chiese Bonnie, puntando i suoi occhi chiari su di me.
Cercai di non incrociare il suo sguardo:"Io partirò appena farà giorno", mormorai, ma con un tono che non ammetteva obiezioni. "Io.", sottolineai.
Caroline, come prevedibile, alzò gli occhi al cielo:"Non essere ridicola! Non hai una macchina, come vorresti fare?".
Sorrisi, ripensando a ciò che avevo imparato negli anni passati. Un semplice contatto e il motore andava da sé. Non ne andavo fiera e speravo di non doverlo fare mai più, ma era la mia unica soluzione. Inoltre, avrei dovuto spolverare la mia rubrica e mettermi in contatto con qualche vecchia conoscenza. Persone non del tutto raccomandabili. Avevo bisogno di diverse cose e ciò implicava il furto. Non volevo che loro mi vedessero per quel che ero in realtà. Tra l'altro, arrivata da Jasper, mi sarei arresa, mi sarei concessa a lui per liberare Ian. Loro non potevano essere presenti.
Ero talmente immersa nei miei pensieri, che non mi accorsi nemmeno che Bonnie si era alzata in piedi ed era davanti a me. Il suo viso a pochi centimetri dal mio.
"Il mio migliore amico è nelle mani di un lurido verme che vuole uccidere una delle persone a me più care. Tu non mi impedirai di aiutarti", disse, con voce bassa e cruda. La guardai negli occhi, erano rossi a forza di trattenere quelle lacrime che avrebbe dovuto versare almeno un'ora prima. Mi voleva bene davvero e avrebbe sofferto per la mia morte, come tutti loro, come Ian, come mia nonna. E non volevo che accadesse. Non avrei mai immaginato di riuscire a circondarmi di persone così... Di dare e ricevere amore in modo così spontaneo. Mi ero ripresa tutto e ora ero costretta a perderlo di nuovo.
Non so dove trovai la forza per pronunciare quelle parole, ma lo feci. Avrei comunque un modo per tenerli al sicuro.
"Partiamo all'alba".

Passai la notte a casa con Bonnie, mentre Paul e Caroline tornarono al Campus. Non ci serviva chissà quale bagaglio, quindi potevo arrangiarmi con i pochi vestiti che avevo lasciato in uno dei cassetti di Ian e sfruttare qualche sua felpa. Non dormimmo per niente. Quando finimmo di preparare i borsoni, scendemmo al piano di sotto per prendere qualcosa da mangiare. Avremmo usato la macchina di Bonnie e quella di Paul. Era stata una mia idea. Se avessi dovuto seminarli, non potevo di certo lasciarli a piedi. Mentre Bonnie preparava un'altra borsa con tutto il necessario, io iniziai a spolverare la rubrica. Durante la mia prima fuga, avevo fatto affidamento su un paio di persone e speravo che mi non mi abbandonassero proprio in quel momento. La signora Thincker, proprietaria di un tavola calda alla periferia di Manhattan, mi aveva dato ospitalità nella piccola roulotte sul retro la notte della mia fuga. Magari avrebbe potuto aiutarmi a tenere impegnati i ragazzi, mentre andavo a mercanteggiare con Andy. Andy Nicholls. Lui sì che sarebbe stato davvero duro. Un giovane ragazzo, originario di Chicago, proprietario di quella che all'apparenza poteva sembrare un gioielleria. Gli affari gli andavano bene anche con quella copertura, ma la maggior parte dei clienti si recavano da lui verso l'orario di chiusura, per poi sgattaiolare dal retro con le armi ben nascoste sotto le giacche. Avevo già trattato con lui, ma l'unica cosa che ero riuscita ad ottenere era stata una pistola a salve. Non era quel di cui avevo bisogno in quel momento. Probabilmente credeva che fossi morta, quindi presentarmi al suo negozio, viva, vegeta e determinata ad uccidere Jasper nel caso in cui non mi avesse riconsegnato Ian, sarebbe stata una mossa a mio favore. Lui sarebbe stato un osso duro, ma avevo già in mente come girare la situazione a mio favore. Sapeva da chi scappavo, il giorno che ero andata da lui, e aveva avuto pietà e paura per me. Forse, non sarebbe stato così difficile come credevo.
"Caroline e Paul sono qui fuori", disse piano Bonnie, mentre prendeva le borse.
In silenzio, la seguii verso la macchina. Sistemammo tutto nel bagagliaio e ci mettemmo in marcia. Il sole, alle nostre spalle, iniziava a sorgere. Bonnie prese a seguire il fuoristrada di Paul, mentre io cercavo di rilassarmi sotto le note di una celeberrima canzone di Elton John. Le mie labbra si mossero da sole e, dopo poco, la mia voce riempì l'abitacolo. Avevo gli occhi chiusi: detestavo i viaggi in macchina e, ancor di più, vedere il paesaggio sfrecciare fuori dal finestrino. Non mi accorsi, quindi, che Bonnie mi lanciava continue occhiate, divertita.
"Abbiamo una cantante qui", disse, quando la canzone terminò e le mie labbra tornarono ad unirsi in un'espressione impassibile. Voltai di poco la testa, al suono della sua voce, e sorrisi imbarazzata.
"Ian apprezzerebbe", aggiunse, lo sguardo fisso sulla strada. "Gli hai mai cantato qualcosa?".
Scossi la testa in segno di diniego. Mi aveva sentita cantare qualche volta, ma più che altro bisbigliavo, tenendo la mia voce per me. Sapeva che scrivevo canzoni, così come io sapevo che lui faceva lo stesso, ma nessuno dei due aveva mai pensato di dedicare le proprie parole, la propria musica all'altro. Ma forse dedicare non è la parola giusta... Già, perché ogni mio nuovo singolo pezzo parlava un po' di lui, perfino quello che stavo osservando in quel momento. L'avevo buttato giù in quell'ultimo mese; descriveva perfettamente il mio tormentato stato d'animo: le mie notti tempestate dagli incubi, l'inquietante e veritiera sensazione di essere spiata, l'ansia ed il dolore che mi provocavano i messaggi di Jasper e, infine, la quieta e costante presenza di Ian, quasi come una luce che illumina l'oscurità degli incubi. Non riusciva a convincermi particolarmente, molti versi facevano a botte. Era come se quella fosse una lingua che non appartenesse a quelle parole, come se la canzone non fosse destinata a me.
Sospirai e voltai pagina, incontrando immediatamente un altro foglio zeppo di parole e note scarabocchiate qua e là. Una musica spezzata, poche frasi sconnesse, ma che riportavano immediatamente alla mente un sol volto, una sola voce.
"I need a voice to echo,
I need a light to take me home.
I kinda need a hero, is it you?"
Parole che sembrano fluttuare nel vuoto, ma non lasciate al caso. Avevo bisogno di qualcuno su cui fare affidamento, qualcuno che mi proteggesse, e l'avevo trovato. Solo che ora me l'avevano portato via. Provai immediatamente un moto di rabbia nei confronti di Jasper. Mi conosceva troppo bene, sapeva esattamente in quali punti colpirmi. Per questo motivo non sarebbe stato facile convincerlo a lasciar andare Ian: dovevo necessariamente arrendermi e consegnarmi a lui. Mi ero preparata anche all'eventuale reazione di Ian, dovevo sforzarmi di allontanarlo da me. Ma, probabilmente, gli scagnozzi di Jasper mi avrebbero facilitato il tutto. Almeno speravo.
Serrai gli occhi, per levarmi quelle immagini dalla testa e tornai al mio testo.
"Can you be my nightingale?
Sing to me, I know you're there.
You could be my sanity,
Bring me peace,
Sing me to sleep.
Say you'll be my nightingale."
Con un poco di concentrazione, riuscii quasi a sentire la sua voce quella notte nella sua stanza, dopo il primo messaggio di Jasper. Il suo respiro caldo sul mio collo, le mani sul mio ventre, i suoi occhi...
Sentii le lacrime iniziare a scivolare sulle mie guance, accaldate per via del riscaldamento. Chiusi gli occhi e posai la fronte sul finestrino, per cercare un po' di tepore grazie al vetro fresco. La mano di Bonnie si posò sulla mia spalla sinistra. Non mi voltai, rimasi in quella posizione senza muovermi. "Elena, mi prometti una cosa?", la sua voce era pacata, ma sapevo che non voleva che la contraddicessi.
Sospirai, decisamente con troppa enfasi, ed annuii.
"Non darti colpe che non ti appartengono", disse subito, cercando di mantenere i nervi saldi, ma vedevo le sua mani agitarsi sul volante. "Troveremo Ian e lo porteremo via... E, mi dispiace dirlo, ma, se necessario, uccideremo Jasper".
Alzai la testa e la guardai stupita. Voleva davvero troppo bene a Ian ed era disposta a tutto pur di salvarlo, perfino commettere un omicidio. Le sorrisi, senza proferire parola. Non le avrei permesso di sporcassi le mani di un simile reato. La mia testa iniziò a macchinare diversi piani per depistarli, una volta arrivati alle porte di Manhattan. Sorrisi: la signora Thincker non mi avrebbe mai detto di no.

Una rondine nella tempesta| IN REVISIONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora