Capitolo VII

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Per tutto il tragitto verso una meta a me sconosciuta, spostai lo sguardo dalla strada a Kade e da Kade alla strada. Non badai tanto alle vie che stavamo percorrendo ma mi concentrai di più sul profilo di quell'uomo. Sui suoi occhi blu che brillavano anche nel buio della sera. Sulla sua mano destra poggiata comodamente sopra il volante e su quella sinistra abbandonata invece sulle gambe. Studiai con più calma il tatuaggio presente sul suo braccio, riuscendo a intravederlo poco nell'oscurità della macchina. Il corpo di quello che pensavo fosse un serpente si attorcigliava sulla sua pelle partendo dal polso e salendo su, per poi sparire nella manica della camicia. L'animale avvolgeva il suo avambraccio, dando l'idea di volerlo soffocare e proteggere allo stesso tempo. Cosa poteva significare? Avevo una voglia matta di saperlo e soprattutto di vedere dove andasse a finire quel capolavoro, ma lo tenni per me. Probabilmente glielo avrei domandato presto, ma non era quello il momento.
Gli chiesi quanto mancasse al nostro arrivo almeno tre volte. Ero curiosa, curiosissima direi, e non vedevo l'ora di scoprirlo. Solo quando imboccò una strada sterrata e completamente buia cominciai a preoccuparmi. «Kade? Dimmi un po', sei un serial killer a cui piace uccidere le donne innocenti o stiamo solo andando in un posto fuori dal mondo?». Tentai di ironizzare e nella penombra lo vidi sorridere.
«Non credo tu sia una donna innocente come dici di essere, ma comunque... Nessun posto fuori dal mondo. Siamo proprio nel cuore di Southampton».
«Tu dici, eh? A me non sembra». Sussurrai le ultime parole e stavolta decisi di tenere lo sguardo fisso sulla strada. Dopo qualche minuto fermò la macchina nel bel mezzo del nulla e ingranò la retromarcia. Io continuavo a capire sempre meno, soprattutto perché attorno a me vedevo poco e niente. Sterzò il volante e si buttò sulla destra col dietro della sua macchina. Poi, lasciandomi completamente senza parole, spense il motore e scese. «Kade?». Lo chiamai inutilmente, dato che non poteva sentirmi. «Kade!». Pronunciai il suo nome come un'imprecazione e mi fiondai fuori dall'auto, pronta a raggiungerlo e a chiedergli cosa cavolo avesse in testa. «Mi spieghi cosa diavolo stai... Oh». Mi ammutolii non appena il paesaggio si aprì davanti a me. Non poco lontano da noi c'era un grande schermo ancora spento, dove immaginai stesse per iniziare un film. Proprio antistante lo schermo vi erano una decina di macchine parcheggiate e posizionate in fila. Noi ci trovavamo sul lato sinistro di quell'enorme spiazzo, distanti da loro e circondati solo dal buio e da qualche albero. Un angolo solo nostro dove a disturbarci non c'era nessuno.
«Spero ti piaccia il cinema drive-in». Mi disse Kade, confermando le mie ipotesi.
«È... fantastico. Davvero».
«Non ci eri mai stata?». Mi domandò. Poi si diresse verso il cassone del suo pick-up e lo aprì, scoprendo una borsa termica posizionata proprio all'angolo in fondo. Con nonchalance e un'atletica in me assente, montò sopra e si mise a sedere allungando comodamente le gambe e poggiando la schiena sul retro della cabina dove vi erano i sedili. Il suo BMW era dotato di cabina singola quindi il cassone era così spazioso da poterci fare quasi un pic-nic. E forse così stavamo per fare.
«In realtà, no. Ci ho pensato qualche volta, ma non ho mai avuto il piacere di guardare un film all'aperto». Cercando di non fare la figura dell'idiota, posizionai le mani sul ripiano e feci pressione per sollevarmi. Poggiai il sedere sul cassone e scivolai accanto a lui dove a separarci, ormai, c'era solo la borsa termica.
«Sono felice che la tua prima volta sia con me, allora». Lo guardai e sorrisi, lasciandolo parlare. «Magari ti aspettavi un ristorante stellato o una cena a base di pesce, non so, però ci tenevo a fare qualcosa di diverso. Non volevo il solito banale appuntamento».
«Uh, fai sul serio allora. Kade Acker che mi concede un appuntamento speciale».
«In fondo, anche i ragazzacci come me hanno un cuore». Accompagnò la sua affermazione dal suo solito occhiolino furbo ed io, come sempre, risi.
«Comunque, per chi mi hai presa? Non ho bisogno di nessun ristorante stellato e di nessuna cena a base di ostriche e champagne». Feci una smorfia, calcando la voce sulle ultime parole. «Davvero, Kade. È perfetto così».
«Ho guadagnato qualche punto allora?»
«Mh, dipende. Cosa ci offre il menù?» Scherzai, indicando con un cenno della testa la borsa presente tra noi.
«Vediamo un po'...». Aprì la cerniera e infilò le mani dentro. «Abbiamo vari tipi di sandwich. Pollo e bacon. Prosciutto e formaggio. Ce n'è anche uno con le verdure grigliate. Non sapevo cosa ti piacesse, così li ho presi di vari tipi». Me li mise tutti di fronte, dandomi la possibilità di scegliere per prima. Per rimanere leggera, decisi di prendere quello con prosciutto e formaggio e lo ringraziai di cuore. Si era persino preoccupato di comprare diversi tipi di sandwich solo perché non sapeva quale potesse piacermi... Roba da pazzi. Era proprio per questo che non riuscivo ancora a inquadrare bene Kade Acker. Non capivo se fosse il ragazzaccio pieno di tatuaggi sul corpo, o l'uomo buono che aveva organizzato un "appuntamento speciale" solo per me, con tanto di tramezzini e cinema all'aperto. Non capivo se fosse l'arrogante un po' cazzone che si era presentato il giorno del mio tatuaggio, o il gentilissimo e a tratti romantico ragazzo che mi aveva spedito dei fiori e che aveva bussato alla porta di casa mia con una vaschetta di gelato tra le mani. Che fosse tutte queste cose? Non potevo saperlo, ma avevo intenzione di scoprirlo.
«A volte ti perdi, Aria. Mi piacerebbe tanto capire cosa ti passa per la testa». Riportai la mente al presente e feci spallucce, guardandolo addentare il suo sandwich col pollo. Per un solo secondo feci scivolare lo sguardo sulle sue labbra ma poi mi ripresi subito.
«Non credo. Delle volte odio me stessa per i pensieri che faccio. Non perché io faccia pensieri brutti, per carità, ma perché mi affollano la mente e non riesco a liberarmene. Penso troppo e... sono frenata».
«Frenata in che senso?».
«Non lo so. Penso sempre alle conseguenze delle mie azioni, non sono impulsiva e non agisco mai d'istinto. Quando devo fare una cosa, ci rifletto almeno dieci volte». Feci una pausa, staccando una briciola di pane e infilandomela in bocca, cercando nel mentre le parole giuste da utilizzare. «Sono molto razionale in questo. Penso a tutto il contesto, alle persone che mi circondano e che fanno parte della mia vita e solo dopo, quando tutto mi è chiaro, agisco. Diciamo che sono sempre stata così, ma sono peggiorata drasticamente dopo la nascita di Tommy». Accennai un sorriso con lo sguardo basso sul mio sandwich. Ero riuscita a parlare senza esitazioni, a fargli conoscere una piccola parte di me senza paura, ma questo non era ancora nulla.
«Non pensarla come una cosa tanto brutta, però. Questo vuol dire che le tue decisioni non sono mai scontate o improvvise».
«Già. Solo che a volte mi piacerebbe buttarmi a capofitto su qualcosa, decidere senza pensare, agire senza riflettere... Non so cosa si provi a fare tutto quello che ti passa per la testa, ecco». Kade aprì la bocca per rispondere ma fu interrotto da un rumore di sottofondo. Lo schermo si illuminò, offrendoci un po' di luce nel buio della sera, e comparve subito la scritta del film in programmazione. «Colazione da Tiffany? Non ci credo». Lo guardai, scioccata e incredula che mi abbia davvero portata a vedere quel capolavoro cinematografico.
«Ti piace?» Mi chiese e quasi mi strozzai col tramezzino.
«Scherzi? Lo adoro! Insomma... Audrey Hepburn. George Peppard. Holly e Paul. Tutta la loro storia». Mi bloccai, vedendo la confusione nei suoi occhi. «Ma tu sapevi che avrebbero dato questo film stasera?».
«Certo».
«E hai comunque voluto portarmici?»
«Certo».
«Non fraintendermi, ma i film romantici non sono una noia per voi uomini?». Rise, forse più per tutte le domande che gli stavo facendo che per quello che veramente dicevo.
«A me non dispiacciono. Preferisco altri generi, certo, ma questo non l'ho mai visto quindi non mi permetto di giudicarlo solo perché si tratta di una storia d'amore».
«Sono felice che la tua prima volta sia con me, allora». Ripetei le stesse identiche parole utilizzate da lui poco prima, in riferimento alla mia prima volta al drive-in, e sorrisi. Dopo quel breve scambio di battute, il silenzio calò tra noi. Il film cominciò, mostrandoci la scena iniziale nella quale Holly scende dal taxi e si gode la vista delle vetrine di Tiffany, consumando nel mentre la sua colazione. Andammo avanti così per almeno un quarto d'ora, finendo i nostri tramezzini e lanciandoci qualche sguardo di tanto in tanto. Non stavamo troppo vicini, c'era sempre quella maledetta borsa a separarci, e quando mi capitava di incontrare i suoi occhi bramavo di toccarlo. Desideravo sentire nuovamente i fuochi d'artificio esplodere nel mio stomaco. Volevo le nostre mani intrecciate e le mie labbra sulla sua pelle, così come le sue sulla mia, ma erano solo pensieri, solo sogni. Pensieri che mi torturavano. Sogni che non si realizzavano, e che cercai di rinchiudere per l'ennesima volta in un cassetto della mia mente.
«Posso farti una domanda?» Fu Kade a rompere il nostro silenzio e a distrarmi non tanto dal film, ma da quei pensieri che come al solito affollavano la mia testa. E per questo, in parte, lo ringraziai mentalmente.
«Dimmi pure». Intanto il cibo era stato sostituito da un bicchiere d'acqua, sempre gentilmente portato e offerto da lui. Ne bevvi un sorso, preparandomi a qualsiasi sua richiesta.
«Ecco... È una domanda un po' invadente, non lo nego, però me lo chiedo da tanto e, non so, vorrei saperlo». Io, che già sospettavo dove volesse andare a parare, lo lasciai parlare, dandogli il tempo di formularla. «Chi è il padre di Tommy?». Breve e conciso, chiese proprio ciò che avevo immaginato.
«Wow. Discorsi seri per un primo appuntamento». Scherzai, semplicemente per alleggerire un po' la tensione, ma senza riuscirci più di tanto.
«Lo so e capisco se non vuoi rispondermi ora e...».
«Kade». Lo interruppi subito. «Sto scherzando. Non ho problemi a risponderti. Ho più paura di annoiarti con questa storia».
«Se si tratta di te, non mi annoio mai». Sorrisi leggermente ma non con il solito entusiasmo. Ero già entrata nel mood di quello che stavo per dirgli che, c'era da ammetterlo, non era proprio un argomento felice da trattare con in sottofondo Colazione da Tiffany.
«Io... Allora». Sospirai. Cominciare era forse la cosa più complicata.
«Aria, davvero, se non te la senti non fa niente».
«No, non è quello il problema. È che non so da dove iniziare». Posai il bicchiere al mio fianco perché sentii che le mani cominciavano a tremarmi. Era per il freddo o per quello che stavo per dire?
«Inizia quando vuoi e da dove vuoi. Io sono qui. Ti ascolto». Incoraggiata un po' dalle sue parole, serrai le palpebre e feci un respiro profondo. L'aria fredda di quella sera mi penetrò le narici e mi diede la forza di cui avevo bisogno per aprire il mio cuore a lui. Ed era quello, più di tutto, che mi terrorizzava.
«All'età di vent'anni mi sono... invaghita, diciamo così, di quello che oggi posso definire un grandissimo coglione: Cooper Cole. Credevo, a quei tempi, di essermi veramente innamorata di lui e solo dopo capii che non era affatto amore quello che provavo nei suoi confronti». Feci una pausa, osservando attentamente ogni singola reazione dell'uomo di fronte a me. Mi sembrò vederlo stringere i pugni ma, col buio che c'era, non ne avevo la certezza. Ad ogni modo, proseguii. «Stavo passando il peggior periodo della mia vita, o meglio, gli anni prima erano stati per me devastanti, quindi quando incontrai Cooper non ero proprio... mentalmente stabile. Fu per questo che caddi volentieri nella sua trappola e ne fui felice, credimi. Mi portava fuori a cena, mi regalava fiori e cioccolatini, mi diceva che ero l'amore della sua vita e tutte quelle stronzate lì. E andò bene per un anno circa. Poi, come volevasi dimostrare, lo beccai mezzo ubriaco in un bar mentre si limonava un'altra. Non ne fui sorpresa, ovviamente. Né tantomeno dispiaciuta. Tra noi andava male già da qualche mese, ma io non avevo mai avuto il coraggio di lasciarlo. Con quel tradimento, però, colsi la palla al balzo». Kade si mostrò come un attento ascoltatore. Assorbiva perfettamente ogni mia parola, cercando di capire sempre di più della donna che aveva di fronte. I suoi occhi, per tutto il tempo, non si staccarono dai miei neanche di un millimetro. Anzi, mi scavavano dentro, mi studiavano, per prendersi da solo ciò che voleva sapere di me. «Due settimane dopo scoprii di essere incinta. La bella notizia era che sarei diventata mamma mentre quella brutta, beh, riguardava il padre del bambino. L'ultima cosa che volevo era che Cooper diventasse il padre di mio figlio però, ahimè, non avevo molta scelta. Avevamo anche fatto sesso protetto e...»
«Per favore, non dirlo. Non ci tengo a sapere quei dettagli». Kade interruppe il mio monologo e portò lo sguardo altrove. Okay, forse mi ero lasciata troppo andare.
«Hai ragione. Comunque... Insomma, da lì in poi la storia la sai. Papà Cooper si è cagato sotto, scusa l'espressione, e non si è fatto vedere per nove lunghi mesi. Poi, però, ha improvvisamente capito di voler fare il padre ed è tornato a rompere le scatole. Io lo apprezzo per questo, per carità. Capisco che anche per lui sia stato uno shock e lo ammiro per aver compreso le sue responsabilità, pure se un po' più tardi del dovuto, ma rimane il fatto che non lo stimo come persona. Sarò sincera, non ho mai pensato alla possibilità di ritornare con Cooper solo per far crescere Tommy in una famiglia apparentemente unita e felice. Non penso che mio figlio si meriti questo, di crescere nella falsità, credendo che l'amore tra la sua mamma e il suo papà sia amore vero. Io voglio insegnargli i veri valori, il vero amore, anche se questo comporta farlo vivere con due genitori separati. Alcune volte, non lo nego, mi pento e mi incolpo di non potergli dare tutto questo, ma sto facendo di tutto per permettergli di vivere una vita il più vicino possibile alla normalità. Io gli do tutta me stessa e lui... Lui colora le mie giornate e le riempie di gioia». Mi asciugai una lacrima, quell'unica lacrima che riuscì a sfuggire al mio occhio e a scendere sulla mia guancia. Kade, col suo sguardo, ne seguì tutto il percorso e poi tornò a concentrarsi sul mio viso. Mi presi un secondo per guardare lo schermo dove intanto il film era andato avanti. In quel momento, George stava guardando Holly che, affacciata alla finestra con la chitarra in mano, intonava le note della canzone Moon river. Quella canzone... Mi veniva da piangere solo a sentirla.
«Sei una grande donna, Aria. E una grande mamma. Non torturarti infliggendoti colpe che non hai e che non meriti». Sorrisi alle parole di Kade, felice e sollevata di non sentirmi giudicata per le scelte che avevo fatto.
«Grazie». Sussurrai, con la voglia di fiondarmi su di lui ed abbracciarlo. Ora come non mai, avevo bisogno di essere invasa e protetta dal calore del suo corpo a contatto col mio, ma decisi di non muovermi. Avevo la sensazione che quella conversazione non fosse affatto finita.
«Mi è sfuggito qualcosa, però». Come non detto, pensai. «Prima hai detto che quando hai incontrato Cooper stavi passando il peggior periodo della tua vita. Cosa intendevi?». E lo sapevo. Sapevo che non avrebbe ignorato quel dettaglio, così come sapevo che sarebbe arrivato il momento di confessargli anche quell'altra parte della mia vita. Quella che mi aveva segnata. Quella che mi aveva distrutta, fisicamente e psicologicamente. Quella che mi aveva fatta cadere nel vuoto e nella disperazione più totale.
«Non importa, Kade. Cioè, lo so che ti importa, ma posso raccontartelo anche un'altra volta. Non voglio rattristarti o rovinare la serata con la misera storia della mia vita. Davvero». Bevvi un sorso d'acqua, sentendo la gola un po' secca.
«La tua storia non è misera, Aria, e non stai rovinando un bel niente. Se te lo chiedo è perché sono interessato e perché voglio saperlo, ma se non te la senti di dirmelo allora sono il primo a dirti di non farlo». Annuii ma rimasi in silenzio. Non avevo idea di cosa fare. Io volevo dirglielo, volevo farlo veramente, ma avevo paura di concedergli un altro pezzo di me. Avevo paura di aprirgli un'altra volta il mio cuore, offrendoglielo sul palmo di una mano. Avevo paura di renderlo partecipe della mia vita, come se già non lo fosse. Avevo paura di avere paura. Di rimanerci male. Di soffrire. Ma non potevo neanche privarlo di quel tassello mancante perché, prima o poi, lo avrebbe saputo in ogni caso.
Mi persi nelle mie riflessioni, come al solito, e non mi accorsi che Kade aveva cominciato a riordinare le cose attorno a noi. Aveva riposto l'acqua, i bicchieri e i tramezzini avanzati nella borsa termica, per poi chiuderla e metterla da parte. Una volta terminato il suo compito, con cautela e senza dire una parola, si avvicinò sedendosi proprio accanto a me. A separarci ormai più nulla. La mia gamba destra toccava la sua gamba sinistra, così come i nostri fianchi e le nostre braccia. Riuscivo a sentire il calore della sua pelle a contatto con la mia e coperta solo da quei vestiti ora fin troppo ingombranti. Fu quel calore a darmi la forza, quel calore che mi penetrò fin dentro le ossa e che mi diede la giusta spinta per iniziare a parlare.
«Quando avevo solo sedici anni, mio padre morì in un incidente stradale». Inconsciamente, poggiai la mia testa sulla sua spalla ed evitai di guardarlo. Sentii il suo corpo irrigidirsi e serrai le palpebre. Probabilmente si aspettava di sentirmi dire tutto, men che meno quello. «Fu devastante. Eravamo una famiglia bellissima nonostante fossimo solo in tre: io, mia mamma e mio papà. Da quel momento in poi, però... rimanemmo in due. Non fu per niente facile, soprattutto per mia madre. Non accusò bene il colpo, così come non lo feci io, e per questo motivo furono anni molto difficili». Mi tirai su e lo guardai. L'unica cosa che vedevo erano quelle pozze blu dei suoi occhi che mi confortavano, mi tranquillizzavano. Mi persi in esse, cercando di capire quali emozioni stesse provando lui, ma non trovai alcuna risposta. «Prometto che un giorno ti racconterò tutto quello che vorrai sapere riguardo a quel periodo buio, ma non oggi. Oggi voglio solo godermi la serata». Posai la mano sulla sua gamba e strinsi forte, come a fargli capire che andava tutto bene e che avrei mantenuto quella promessa ad ogni costo.
«Grazie, Aria». Mormorò lui. Poi alzò il braccio e con due dita mi scostò i capelli dal viso, portandomeli dietro l'orecchio. Ogni volta che mi sfiorava sentivo la pelle incendiarsi. Sospirai.
«Grazie per cosa?». Gli chiesi io in un sussurro. Non ci stavo capendo nulla. Aveva avvicinato il suo viso al mio e mi stava fissando così intensamente da non farmi respirare.
«Per avermi aperto il tuo cuore e permesso di conoscerti un po' di più». Annuii, imprigionando quelle parole in un cassetto nella mia testa per poterle ricordare in un secondo momento. Ora ero troppo concentrata su di lui per prestare attenzione a quello che diceva. Il suo sguardo cominciò a passare dai miei occhi alle mie labbra, dalle mie labbra ai miei occhi. Stavo per impazzire e il cuore che mi batteva infuriato nel petto ne era la prova.
«Ora sta a te raccontare la tua storia, però». Piegai la testa da un lato e sorrisi, cercando di alleggerire l'atmosfera creatasi tra noi.
«Non stasera. Ora godiamoci la fine del film». Kade si avvicinò ancora di più e per un attimo credetti stesse davvero per baciarmi, ma poi deviò il percorso delle sue labbra e mi depositò un bacio sulla guancia.
Un misero bacio sulla guancia. Il mio corpo non ne fu molto contento. Lui desiderava di più, bramava di più. La mia testa, invece, diceva il contrario. Lei era più razionale, più giudiziosa, ma sapevo che prima o poi avrebbe ceduto.
Per tutto il resto del film ci godemmo il silenzio. Un silenzio pieno di speranza, di passione, di cose non dette. Ad un certo punto sperai che lui allungasse una mano per toccarmi o si inventasse una scusa anche solo per sfiorarmi, ma non fu così. Il nostro unico contatto era dato dal fatto che eravamo seduti vicini, nulla di più. Odiavo volerlo tanto, soprattutto perché non capivo se lui mi volesse allo stesso modo.
Prima avrebbe potuto tranquillamente baciarmi, ma non l'aveva fatto. Perché? Aveva paura che lo rifiutassi? Impossibile. Aveva paura di affrettare le cose? Non credevo proprio. Insomma, a casa mia si era parecchio divertito col mio collo. Perché non fare lo stesso con la mia bocca? Alzai gli occhi al cielo, senza farmi notare da lui e rimproverando me stessa per i pensieri che stavo facendo. Sembravo una ninfomane vogliosa di sesso, cazzo. Dovevo darmi una calmata. Nella mia mente cominciò una battaglia interiore tra la parte di me che aveva voglia di strappargli i vestiti anche solo per vedere dove andasse a finire quel maledetto tatuaggio e l'altra parte, più cauta, che voleva restare al suo posto e comportarsi da brava ragazza quale era.
Presa da quella lotta tra titani, non mi accorsi neanche che il film era finito e che quelli che stavano passando sullo schermo erano i titoli di coda. Voltai la testa per guardare Kade e lo scoprii a fissarmi.
«Allora? Ti è piaciuto?». Gli chiesi, senza sapere cos'altro dire con quelle pozze blu puntate addosso. Se c'era una cosa che adoravo di lui, erano proprio i suoi occhi.
«Devo dire di sì». Rispose, sorridendo lievemente. «Sai, credo che il segreto del suo incredibile successo stia nel fatto che si tratta di una favola senza tempo. Insomma... Tutti vorrebbero vivere una storia come la loro». Lo osservai per bene, non credendo che quelle parole fossero state pronunciate proprio da lui.
«Anche tu la vorresti?». Domandai dopo qualche secondo di silenzio.
«Non penso di poter rispondere. Devo mantenere la mia reputazione da ragazzaccio, dopotutto». Mi fece l'occhiolino ed io risi. Già... Dall'aspetto poteva sembrare veramente un ragazzaccio. I tatuaggi, i suoi modi di fare... Senza conoscerlo, poteva apparire anche arrogante e sfacciato. Ma poi apriva bocca e tutto quello che avevi pensato di lui cambiava. Bastava guardarlo negli occhi, così intensi, così belli, e ascoltare ciò che diceva, ciò che pensava, e non vedevi più il ragazzaccio che avevi creduto fosse. Tutt'altro. Vedevi un uomo buono, dolce, simpatico, a tratti romanticone e con la testa sulle spalle.
«Sei una bella persona, Kade Acker». Glielo dissi davvero, perché era ciò che pensavo in quel preciso momento.
«Allora vuol dire che non mi conosci abbastanza». Mi rispose con un mezzo sorriso e poi si spostò in avanti per scendere, sempre atleticamente, dal cassone del suo pick-up. Ma come ci riusciva? «Andiamo?». Chiese poi, offrendomi la sua mano per aiutarmi. Non diede molto peso alla frase che aveva appena pronunciato, ma io sì. Lui non credeva di essere una bella persona? Probabile. Ma la domanda vera era: perché? Decisi che quello non era il momento adatto per chiedere spiegazioni, così lasciai cadere il discorso e scesi anche io.
Quando entrammo in macchina, mi resi conto che erano da poco passate le undici. Controllai il cellulare solo per vedere se era arrivato qualche messaggio o chiamata e poi lo rimisi subito in borsa. Kade mise in moto e partimmo, lasciandoci alle spalle la fantastica serata al drive-in. Questa volta decisi di non guardare la strada di fronte a noi, ma di tenere gli occhi fissi su di lui. Osservare il suo profilo, le sue braccia poggiate sul volante con i muscoli contratti e il suo sguardo attento mentre guidava era forse la cosa che più mi piaceva, finora. Il mio nuovo bellissimo e segreto hobby, che avevo deciso di godermi per quegli ultimi minuti insieme.
«Da quanto vi conoscete tu e Jesse?». Gli domandai all'improvviso. Se non potevo andare a fondo per scoprire la sua storia, forse potevo chiedergli qualcosa di meno importante.
«Ci siamo conosciuti al liceo, quindi sono più di dieci anni».
«Wow. Quanti anni hai?».
«Quanti me ne daresti?». Sorrise ed il mio cuore, probabilmente, perse un battito.
«28, forse?».
«C'eri quasi. 29».
«Caspita. Siamo vicini ai trenta allora. Aspetta, è un capello bianco quello?». D'istinto Kade si passò una mano tra i capelli cortissimi per poi guardarmi e scuotere la testa.
«Molto divertente, piccola». Risi con lui, poi lasciai passare qualche minuto e attaccai con un'altra domanda. Era il mio momento per scoprire qualche cosa in più.
«Da quanto lavorate all'Ink?». Dissi, in riferimento al negozio di tatuaggi.
«Sono più o meno otto anni ormai. Quando ho deciso di aprire avevo ventun anni e Jesse mi è venuto dietro». Annuii, facendo mentalmente due conti per vedere se tutto coincideva.
«E il ragazzetto all'entrata, invece? Lui sembra molto più piccolo di voi».
«Austin, intendi?». Chiese ma non risposi, perché non ricordavo il suo nome. «È un bravo ragazzo. Si è presentato qualche mese fa dicendo di voler lavorare con noi a tutti i costi. Mi è piaciuta subito la sua grinta. Ha solo vent'anni e non è un idiota come molti suoi coetanei. Ha un obiettivo preciso e lo vuole raggiungere, noi lo stiamo solo aiutando. Per ora prende gli appuntamenti, ci guarda lavorare e si allena coi disegni, ma presto lo vedremo all'opera». Sorrisi, pensando alla dolcezza e alla gentilezza di Austin che aveva accolto me e la mia migliore amica il giorno del nostro tatuaggio.
«Mi è piaciuto fin da subito. Sembra davvero carino».
«Devo essere geloso?». Spalancai gli occhi, ridendo. Lui per un attimo mi guardò e poi tornò a concentrarsi sulla strada.
«Non credo proprio. Ha vent'anni, Kade».
«Questo non vuol dire niente». Aveva in viso un'espressione seria, come se credesse veramente a quello che stava dicendo, ed io risi ancora di più.
«Dovresti essere geloso di Jesse, non di Austin». Lo provocai.
«Ti piace Jesse?!». Mi chiese, forse con troppa veemenza.
«Trixie pensa che sia un bel bocconcino».
«E anche tu pensi questo?». Non risposi, giusto per farlo impazzire un po' di più. «Non farmi incazzare, Aria. E non costringermi a fare fuori il mio migliore amico». Non so se fu quello che uscì dalla sua bocca a farmi ridere, o il tono serio con cui lo disse. Ad ogni modo, mi sbellicai, poggiando una mano sulla pancia che cominciò a farmi quasi male per le tante risa.
«Quando ti arrabbi sei veramente esilarante». Alzò gli occhi al cielo e per tutto il resto del tragitto non proferì più parola. Ormai mancavano pochi minuti a casa mia, quindi decisi di godermi il silenzio e la sua vista. Per il momento, basta domande.
Fermò la sua auto proprio davanti al mio palazzo. Non spense il motore ma tirò il freno a mano e scese dalla macchina, seguito dalla sottoscritta. In due secondi me lo ritrovai di fronte, le sue iridi blu fisse su di me. «Grazie per avermi concesso la tua compagnia, Aria Green». Sorrise, e con lui sorrisero anche i suoi occhi.
«Grazie per il tuo appuntamento speciale, Kade Acker». Mormorai di rimando e sperai, con tutto il cuore, che facesse un passo avanti e che cercasse un contatto.
Aspettai e lo guardai.
Aspettai e spostai lo sguardo sulle sue labbra.
Aspettai e sperai, ma non successe niente.
Aspettai, e alla fine mi arresi.
«Buonanotte». Dissi e cominciai a camminare verso il portone, rompendo quell'atmosfera piena solo dei nostri sguardi.
«Buonanotte». Lo sentii rispondere alle mie spalle.
Quando arrivai all'uscio decisi di voltarmi. Solo per un secondo. Solo per poterlo guardare un'ultima volta quella notte. E lo trovai proprio come qualche ora prima, poggiato col sedere sullo sportello della sua BMW, le mani in tasca, la gamba accavallata. L'unica differenza era che in quel momento non aveva il telefono in mano e non era distratto. In quel momento stava guardando me, senza perdersi alcuna mossa. E mi sorrideva, come spesso aveva fatto quella sera. Un sorriso sincero, unico, speciale. Un sorriso che illuminava i suoi splendidi occhi e che scaldava il mio cuore.
«Kade». Sussurrai senza volerlo e probabilmente lui neanche mi sentì. Non sapevo cosa volessi fare. Non lo sapevo proprio. Ma, inconsciamente e irrimediabilmente, mi ritrovai a camminare verso quell'uomo, coprendo quella poca distanza che ci separava. Mi portai proprio di fronte a lui, il più vicino possibile, e cominciai a studiare il suo viso per coglierne ogni reazione, ogni espressione.
«Che c'è?». Mormorò quelle due parole in un soffio mentre, come me, mi avvolgeva col suo sguardo. Non pensai a quello che stavo facendo. Non pensai al contesto, alle conseguenze, al luogo, al momento. Non pensai a nulla, se non a lui. Chiusi la mia mente a chiave e impedii a qualsiasi pensiero di influenzarmi o di frenarmi in quello che stava per succedere. Solo per quell'attimo decisi di non essere razionale, di non essere giudiziosa, ma di essere impulsiva. E così fu. Mi alzai leggermente sulle punte per arrivare alla sua altezza e, incredibilmente, straordinariamente, irreparabilmente, poggiai le mie labbra sulle sue. Forse lo sentii trattenere il fiato, non ne ero sicura, ma lo ignorai. E mi godei quella manciata di secondi in cui la mia bocca era sulla sua, le mie mani sulle sue spalle e i nostri corpi, vicinissimi, finalmente a contatto. Mi godetti quel piccolo bacio a stampo e, alla fine, mi tirai indietro, decidendo a malincuore di non andare oltre.
«Buonanotte, Kade». Ripetei per la seconda volta, perché non avevo molto altro da dire. Prima di girarmi e tornare per la mia strada, però, lo guardai negli occhi e fui felice di vederli brillanti, quasi estasiati. O almeno così speravo. Poi, finalmente, mi voltai senza aspettare una sua risposta.
«Dove scappi?». Non andai molto lontano. Kade mi afferrò un gomito e mi riportò indietro, facendo sbattere il mio petto contro il suo. Trattenei il fiato per quella mossa improvvisa, ma soprattutto per quella vicinanza che il mio cuore apprezzò non poco. «Non te la cavi così facilmente». Non ebbi il tempo di comprendere il significato di quelle parole che Kade mi posò una mano sulla guancia e si impossessò delle mie labbra, meno gentilmente di come avevo fatto poco prima io. All'inizio non reagii, colta alla sprovvista, ma bastò qualche secondo che il mio corpo si attivò. Alzai le braccia e infilai le mani tra quei capelli cortissimi e impossibili da tirare. Ad ogni modo, lo strinsi e lo tirai di più verso di me per fargli capire che volevo di più. Molto di più.
Kade colse il mio messaggio silenzioso, portò le mani sui miei fianchi e infilò la lingua nella mia bocca, prima dolcemente, poi più ferocemente. Gemetti sulle sue labbra e a lui parve piacere perché, d'un tratto, invertì le nostre posizioni, sbattendomi con la schiena sulla portiera della sua fantastica auto. Mi baciò e mi ribaciò, voltando la testa da un lato e poi dall'altro, ed io gli andavo dietro, seguendo ogni sua mossa, accompagnando lo scontro violento delle nostre lingue. Sembravamo impazienti, smaniosi, irrequieti, come se avessimo aspettato quel momento fin troppo. Coraggiosamente, infilai una mano sotto la sua camicia e quando arrivai a toccare la sua pelle calda quasi impazzii. Sentii i muscoli del suo addome contrarsi e un piacevole lamento fuoriuscire dalla sua bocca. Gli stava piacendo?
«Aria...». Pronunciò il mio nome in un sospiro, con le labbra ancora incollate alle mie. Stavo per infilare anche la seconda mano sotto quell'ostacolo fatto di cotone bianco, ma Kade non me lo permise perché si staccò da me interrompendo il nostro passionevole contatto. «Se continuiamo così, non penso di riuscire a fermarmi al bacio». Disse dopo essersi leggermente ripreso.
«E sarebbe un problema?». Sorrisi.
«Aria... Non stuzzicarmi». Feci un passo avanti, accarezzando la punta del suo naso con il mio. Provocarlo era ormai il mio hobby preferito.
«Ma io adoro farlo».
«Non vincerai tu». Scese con la bocca sul mio collo e mi diede un morsetto che mi fece lanciare un gridolino. Poi si allontanò e, per mia sfortuna, si diresse dall'altro lato del pick-up per aprire lo sportello. «Sogni d'oro, Aria». Detto quello, mi fece un occhiolino e montò sopra, sfrecciando via con la sua BMW e lasciandomi lì, sola, stanca, felice ed emozionata, col sapore delle sue labbra ancora sulle mie.



L'angolo dell'Autrice
I primi appuntamenti sono sempre speciali... Kade e Aria hanno finalmente aperto una piccola parte del loro cuore, uno dei due sicuramente più dell'altro, ma questo è solo l'inizio. 
Cosa ne pensate di questa loro conoscenza più approfondita?
Fatemelo sapere!
Ci riaggiorniamo in settimana.
Sylvie

Permettimi di amartiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora