«Non staremo facendo una grandissima stronzata, Trixie?». Le domandai, non proprio convinta della nostra decisione.
«Tesoro mio... Sei diventata mamma a ventun anni e non commetti uno sbaglio da almeno quattro anni. Se non ti diverti ora, è la fine. Non ci pensare troppo, chiaro?». Mi rispose lei, la testa infilata nel suo armadio alla ricerca di un indumento perduto.
«Quindi lo ammetti anche tu che stiamo facendo una cazzata, no?».
«È ovvio che stiamo facendo una cazzata, Aria». Ribatté la mia migliore amica, non consolandomi per niente. «Ma è divertente proprio per questo. Trovato!». Uscì finalmente dal caos del suo guardaroba con un toppino sportivo bianco alquanto striminzito. «Tieni». Me lo lanciò ed io lo presi al volo, poi lo sollevai tenendolo tra le mani per vederlo meglio.
«Trixie, questo coso è minuscolo. Non sono neanche sicura che mi entri!».
«Sì che ti entra, finiscila! È elasticizzato e fatto apposta per tirare su le tette. Tu che le hai, mostrale». La guardai, scandalizzata e sempre meno sicura di perseguire il nostro obiettivo.
«Non lo so. Non me la sento di farlo, credo...».
«Aria, guardami». Mi interruppe lei, inchiodandomi sul posto con lo sguardo. «Andiamo solo a divertirci, okay? Potrebbe anche non esserci. In tal caso, passeremo un semplice pomeriggio tra amiche e ci divertiremo a fare le posizioni strambe dello yoga. Niente di più, niente di meno». Annuii, questa volta un po' più convinta, e ringraziai mentalmente Trixie per le sue parole. L'idea rimaneva folle, c'era da ammetterlo, ma ormai ci stavo dentro con tutte le scarpe quindi tanto valeva andare fino in fondo.
Era un semplice giovedì pomeriggio, che presto sarebbe diventato tutt'altro che semplice, ed io mi trovavo a casa della mia migliore amica a cercare un look che fosse sportivo e sexy al tempo stesso. L'idea folle che stavamo per mettere in pratica era ovviamente stata proposta da Trixie quando, due giorni prima, le avevo raccontato della mia avventura di lunedì sera con Kade. Era uscita fuori dai ghingheri quando le avevo detto che voleva fare le cose con calma, ma soprattutto che lui, omaccione quale era, riuscisse a resistermi tutto il tempo che voleva. La mia amica, beh, credeva nel potere delle donne e il suo obiettivo era quello di mandare Kade Acker al tappeto, e probabilmente anche di infilarlo nel mio letto, ma questo non me l'aveva confessato. Così la "Trixie detective" si era attivata e, dopo aver fatto le sue ricerche, aveva scoperto quale fosse la palestra in cui si allenava Kade. In sostanza, aveva visto un post su Instagram. Ma la sua grande genialata non era quella, no. Lei aveva chiamato la palestra in questione e aveva chiesto una lezione di prova gratuita di yoga, l'unica disponibile di giovedì pomeriggio alle sei, ed ora mi stava conciando come un personal trainer versione sexy per portarmi proprio lì, nella speranza di trovarci quel "bel bocconcino", da lei chiamato così, e di farlo cadere ai miei piedi. Io non sentivo Kade da quel famoso lunedì sera. Non ci eravamo né chiamati, né messaggiati, ma i miei pensieri, purtroppo, erano in gran parte fissi su di lui.
«Va bene, mi vesto». Dissi io.
«Brava la mia ragazza!». Urlò Trixie un po' troppo eccitata. «E ricordati di levare gli slip quando metti i leggins». A quella frase, mi bloccai.
«Scherzi, vero?».
«Per niente. Se li tieni si vedrà il segno, quindi levali e basta. Non è fastidioso, anzi, è una grande libertà non portare le mutandine». Mi fece l'occhiolino ed io per l'ennesima volta rimasi scandalizzata, ma lo tenni per me. Non volevo fare altre storie. L'unica cosa che volevo era che quel pomeriggio passasse presto. Quindi, seguendo i suoi consigli, sfilai gli slip e infilai i pantacollant neri. Non portando le mutandine, mi si misero immediatamente in mezzo al culo ma l'effetto, c'era da dirlo, non era niente male. Dopo i leggins fu il turno del top sportivo che faticai un po' a mettere. Alla fine ci riuscii ma decisi di coprirlo con una T-shirt larga, almeno per il tragitto casa-palestra.
Mentre aspettavo che Trixie finisse di sistemarsi chiamai mamma. Quel giorno aveva scelto con piacere di andare a prendere Tommy a scuola e di passare il pomeriggio con lui. Aveva anche insistito per farlo rimanere a dormire da lei, ma io le avevo detto che non ce n'era bisogno e che sarei andata a prenderlo dopo cena.
Parlai cinque minuti al telefono con mia madre, chiedendole cosa stessero facendo e salutando mio figlio, poi dovetti interrompere la chiamata per le urla di Trixie che mi intimavano di sbrigarmi.
Erano le 5:35 p.m. quando montammo in macchina. Calcolando un quarto d'ora per arrivare e cinque minuti buoni di traffico, ce la potevamo fare ad arrivare puntuali per la lezione delle sei.
Dopo venti minuti, infatti, ci trovavamo proprio lì, la macchina parcheggiata di fronte, la borsa in spalla e l'agitazione a mille.
«Siamo sicure, eh?». Domandai, alzando gli occhi sulla scritta Hello Fitness che presunsi fosse il nome della fatidica palestra.
«Sicurissime! Andiamo». Seguii Trixie all'interno e, appena varcai la soglia, cominciai a vagare con lo sguardo dappertutto cercando la figura dell'uomo che mi aspettavo di trovare lì. Mentre la mia migliore amica conversava con la ragazza in segreteria chiedendole informazioni, io osservai attentamente ogni persona presente in sala pesi e constatai, con leggera delusione, l'assenza di Kade. «Vieni, Aria». Trixie richiamò la mia attenzione e mi guidò verso gli spogliatoi.
«Non c'è». Le sussurrai mentre camminavamo fianco a fianco.
«Magari arriverà. Non perdere subito la speranza». Nello spogliatoio poggiammo le borse e ci sistemammo i capelli, io in una coda alta e Trixie in una mezza coda, avendoli molto più corti de miei. «Levala». Mormorò facendo cenno alla mia T-shirt.
«No».
«Levala!».
«No».
«Aria!». Cominciò a strattonarmi il lembo della maglietta mentre litigavamo, sussurrando e gesticolando per non farci sentire dalle altre donne presenti. Alla fine vinse lei ed io, per farla tacere, mi liberai di quella T-shirt, facendole una smorfia d'indignazione. «Si va in scena». Esclamò Trixie.
«Sembriamo tanto due di quelle troie che vengono in palestra solo per farsi vedere». Ammisi, mormorandole le parole all'orecchio.
«Ma noi stiamo facendo esattamente questo, amica mia».
Mentre camminavamo per arrivare non so dove, mi presi un attimo per studiare il luogo in cui ci trovavamo. Alle nostre spalle c'erano gli spogliatoi maschili e femminili, quelli da cui eravamo appena uscite, affiancati dai bagni. La sala pesi occupava gran parte dell'ambiente. Era abbastanza ampia, con i vari attrezzi sparsi per la stanza e uno spazio lasciato libero per chi volesse scaldarsi o fare qualsiasi altra cosa che richiedesse solo l'uso di un tappetino. Proprio di fronte la sala pesi vi era un'altra sala delimitata da vetrate trasparenti. In sostanza, qualsiasi cosa avvenisse lì era perfettamente visibile a chiunque si trovasse in palestra. E chi si stava dirigendo proprio lì? Beh, proprio noi.
«È qui che fanno yoga?». Chiesi a Trixie quando la vidi entrare nella sala vetrata.
«Per tua fortuna, sì».
«E quale sarebbe la fortuna, precisamente?».
«Beh, se dovesse arrivare il tuo omaccione, sicuramente lo vedresti». E quello era vero, peccato che anche lui avrebbe visto me e non ero proprio certa di quanto mi convenisse.
Una volta entrate, la mia migliore amica si diresse al lato della sala dove raccolse due tappetini, uno viola per lei e uno azzurro per me.
«Vieni, mettiamoci qui». Ci posizionammo abbastanza distanti dalla prima fila e stendemmo sul pavimento i nostri tappetini colorati, già pronte per la lezione. Pochi secondi dopo fece il suo ingresso quella che pensai fosse l'insegnante di yoga. Magra ma tonica, indossava dei leggins corti che le arrivavano poco sotto al ginocchio e una canottiera gialla abbinata alle scarpe da ginnastica della stessa tonalità. I capelli biondi erano legati con un elastico in una coda bassa e sbattevano sulla sua pelle pallida, accentuando anche i suoi occhi molto chiari. In una mano aveva un tappetino, probabilmente il suo personale, mentre nell'altra teneva il cellulare e un mazzo di chiavi. Appena entrò sorrise, la bocca luccicante grazie ad un leggero lucida labbra.
«Buonasera, ragazze!».
«Buonasera». Rispondemmo tutte in coro da brave allieve.
«So che oggi abbiamo due nuove arrivate. Benvenute». Il suo sguardo si posò proprio su me e Trixie ed insieme sorridemmo, senza sapere che altro dire. Svelarle che la nostra partecipazione alla sua lezione era solo una copertura non sarebbe stato proprio carino.
«Che dici, glielo diciamo che non ce ne frega un cazzo dello yoga?». Mi disse Trixie tra i denti, senza smettere di sorridere e di guardare l'insegnante. Io, in risposta, le diedi una gomitata cercando di non farmi vedere e continuando a sfoggiare la bella dentatura.
«Bene! Mi sembra che siamo tutte quindi possiamo cominciare». Ci alzammo tutte in piedi e ci posizionammo ognuna sul proprio tappetino, in attesa di sapere cosa dover fare. «Per chi non lo sapesse io sono Crystine, ma potete chiamarmi Cry. La lezione di oggi sarà abbastanza soft, in modo da agevolare le due ragazze nuove, quindi rivedremo le posizioni imparate finora e poi, se riusciamo, andremo avanti con qualcosa di diverso. Per adesso, però, ci riscaldiamo!». La mitica Cry si diresse allo stereo e fece partire la musica, un brano rilassante e perfetto per iniziare. Poi si mise in testa al gruppo e cominciò col riscaldamento.
«Dai, facciamo vedere a questa bionda quanto siamo snodate». Sussurrò Trixie ed io mi trattenei dal ridere per evitare di fare rumore.
Iniziammo a scaldare prima i polsi, girandoli da una parte e dall'altra, poi la testa, nello stesso modo, poi le braccia, con vari esercizi, e infine le gambe. Ci ordinò di aprirle leggermente e di scendere con la schiena fino a toccare il pavimento con le mani, poi ci fece spostare sia a destra che a sinistra.
«State andando alla grande, ragazze!». Esclamò l'insegnante, alzando il tono di voce per sovrastare la musica. «Ora partiamo da una delle posizioni più semplici... La posizione del cane a testa in giù». Si girò di profilo per far vedere meglio i movimenti. «Allora, mettetevi in ginocchio e poggiate le mani sul pavimento. Così... Brave. Un respiro profondo... Ora poggiatevi sulle punte dei piedi e alzate le ginocchia fino ad allungare tutta la schiena. Lentamente... Lentamente...». Ci mostrò la posizione finale, poi si alzò e cominciò a girare per la sala, aiutando chi ne avesse bisogno e dando consigli per svolgere l'esercizio perfettamente. «Continuate a respirare profondamente. Prima inspiro... Poi espiro...». La sua voce ci tranquillizzava e tutti quei respiri iniziavano veramente a far rilassare i miei poveri muscoli contratti in parte per l'ansia.
«Secondo me la nostra Crystine ci sa fare alla grande a letto. Tu che ne pensi?». Sentii domandare da Trixie a bassa voce, senza riuscire a vederla perché avevo la testa bassa.
«Taci, Trixie». Le sussurrai in risposta.
«Aria, guarda...».
«No, sei una pervertita!». La interruppi, senza lasciarla finire.
«Aria...».
«Smettila o ci caccerà via!».
«Aria, girati cazzo!».
«Che c'è?!». Finalmente voltai la testa verso di lei, cercando di rimanere nella fottuta posizione del cane.
«O sto avendo le allucinazioni, o quello è proprio il tuo uomo». Seguii subito lo sguardo di Trixie con il cuore che già batteva a mille dopo aver realizzato ciò che aveva appena detto. Poi, finalmente, lo vidi. Stava passando proprio davanti la nostra sala, con il borsone in spalla, una T-shirt sportiva e dei pantaloncini da calcio blu con il numero ventiquattro stampato sul tessuto in basso a destra. Sembrava si stesse dirigendo verso gli spogliatoi, il passo deciso e i tatuaggi bene in vista. L'animale che gli avvolgeva il braccio, che ormai sapevo fosse un serpente, dava l'idea di esser sempre più reale ogni volta che lo guardavo. Era stupendo, anche in versione palestra, ed io ero fottuta. Totalmente.
«Oh, cazzo...». Esclamai. Per fortuna Kade non girò la testa nella nostra direzione, così riuscii a godermi tutta la vista senza farmi beccare.
«Te l'avevo detto che sarebbe venuto!».
«Respiri profondi, ragazze. Se parlate, non riuscirete a rimanere concentrate». Disse Cry rivolgendosi palesemente a noi che non la smettevamo di chiacchierare sotto voce.
«E quale sarebbe il piano, ora?». Chiesi alla mia migliore amica, tornando ad abbassare la testa più per nascondermi che per altro.
«Aspettiamo semplicemente che si accorga di te».
«Il tuo piano è assurdo e non ci porta da nessuna parte!».
«Shhh». Trixie mi zittì ed io non potei fare altro che chiudere la bocca. L'insegnante ci ordinò di poggiare le ginocchia e di inarcare la schiena, il tutto sempre con le braccia tese e le mani poggiate sul pavimento. Ora avevamo il viso puntato verso il soffitto e il culo all'infuori. Ottimo.
«Bene. Adesso alzatevi in piedi e partiamo con la seconda posizione». Eseguimmo alla lettera ciò che spiegò Crystine. Questa volta ci cimentammo in quella che lei chiamò la "posizione del triangolo". In poche parole, dovevamo aprire le gambe, girando la destra di novanta gradi, e scendere lentamente con la mano destra fino a toccare il piede, tenendo entrambe le braccia tese. «Mantenete questa posizione per sessanta secondi». Ci disse lei. E fu proprio in quei sessanta secondi che i miei occhi ritrovarono ciò che stavano tanto cercando. Vidi Kade uscire dallo spogliatoio senza più il borsone in spalla, pronto per la faticosa seduta di palestra. Si diresse verso uno dei tanti attrezzi presenti in sala pesi, ignorando totalmente la nostra lezione. Grazie a Dio, aggiungerei. Ma non fece in tempo neanche a mettersi seduto e a sollevare il bilanciere che una biondina con le tette all'aria e il culo mezzo scoperto per colpa dei pantaloncini corti si avvicinò a lui cominciando a parlargli. Non ci siamo, pensai. Si vedeva da chilometri di distanza quanto ci stesse provando e quanto fosse civettuolo il suo modo di fare. La guardai indicare a Kade quello che a me sembrava un vogatore, come se stesse chiedendo spiegazioni per il suo utilizzo. Io non ero una grande esperta di palestra anzi, il mio rapporto con lo sport era praticamente inesistente, però sarei riuscita lo stesso ad usare un attrezzo come quello. Ad ogni modo, dalla mia solita posizione osservai lui risponderle gentilmente, ma non fu quello a mandarmi in bestia, no. Ciò che mi mandò su di giri fu vedere quella odiosa biondina poggiare una mano sul braccio di Kade – quello col serpente, per la precisione – e sorridere nella sua direzione come se lo stesse ringraziando e gli stesse promettendo silenziosamente una notte piena di sorprese. Se quella fosse gelosia io non potevo saperlo, sentivo solo un fuoco innalzarsi dentro di me, segno che l'incazzatura stava sempre più aumentando e che presto mi avrebbe fatta esplodere.
«Oh, oh. Guai in vista». Esclamò Trixie, probabilmente accorgendosi del mio sguardo fulminante, ma io la ignorai. I miei occhi erano concentrati unicamente su quei due però il mio cuore si acquietò un po' quando notai che la troietta si era levata dalle palle ed era andata finalmente a provare quel benedetto vogatore.
«Bene, ragazze! Un minuto di pausa per bere e poi continuiamo». Crystine decise di darci un attimo di tregua, così io e la mia migliore amica ci fiondammo sul lato della sala per bere un goccio d'acqua. Non ricordavo di averla portata, ma probabilmente ci aveva pensato Trixie. «Tutto bene, Aria?».
«Alla grande». Risposi senza spostare lo sguardo da Kade che in quel momento era per metà sdraiato su un attrezzo e stava alzando un bilanciere da chissà quanti chili.
«Incazzata alla grande, intendi?».
«E perché dovrei esserlo?». Chiesi, ironica. Ora il mio piano era ben delineato nella mia mente, dettaglio dopo dettaglio, e lo misi in pratica appena l'omaccione tatuato smise di allenare le sue braccia già abbastanza muscolose. Quello che bastò fare fu attirare il suo sguardo su di me. Lo stavo fissando, quindi prima o poi si sarebbe sentito osservato. E fu proprio così. D'un tratto i suoi occhi vagarono distrattamente per la stanza e si posarono accidentalmente su di me.
Bingo. Non mi sfuggì l'espressione sorpresa che fece quando mise a fuoco la mia figura, anzi, mi alimentai di quello stupore che non fece altro che darmi più energia. Più carica. Quasi non gli diedi il tempo di vagare con lo sguardo sul mio corpo, perché alzai una mano e lo salutai con un bel sorriso finto stampato in faccia. Lo stavo provocando, e lui se ne rese conto. Una volta terminato il saluto mi voltai per tornare alla mia postazione, permettendogli di dare un'occhiata anche al mio didietro avvolto solo dal tessuto aderente dei pantacollant.
«Quanto avrei voluto registrare questa scena per poterla rivedere in futuro...». Lasciai perdere i commenti stupidi di Trixie e focalizzai tutta la mia concentrazione su Crystine che, grazie al cielo, riprese subito con la lezione.
«Prestate attenzione perché ora passiamo ad un livello leggermente più difficile. Come prima cosa...». L'insegnante interruppe all'improvviso la sua spiegazione, beccandosi uno sguardo interrogativo da parte di tutte noi. «Prego, dica pure». Disse, sorridendo calorosamente in direzione della porta alle nostre spalle.
Non servì voltare la testa per vedere chi diavolo fosse. Mi bastò ascoltare l'imprecazione di Trixie e, subito dopo, la sua voce.
«Mi dispiace molto interrompere la vostra deliziosa lezione, signore, ma avrei bisogno di una certa Aria Green in segreteria. C'è qualche mansione urgente da sbrigare, purtroppo». Calcò col tono sul mio nome facendomi rabbrividire e incazzare al tempo stesso. Ora faceva anche finta di non conoscermi?
«Ma certo, non si preoccupi! Aria Green? Chi è Aria Green?». Cominciò a domandare l'ingenua Crystine. Io la ignorai e, prendendo coraggio, mi voltai.
«È proprio necessario?». Chiesi incrociando le braccia al petto e cercando di non farmi coinvolgere dal fascino di quell'uomo e, soprattutto, dai suoi occhi, così chiari e limpidi.
«Temo di sì». Rispose secco, inchiodandomi sul posto con un'occhiataccia.
«Non possiamo risolverla alla fine della lezione?». Insistetti, probabilmente esasperandolo sempre di più.
«Ci sono parecchie questioni da risolvere, quindi la prego di seguirmi. Adesso». Il modo in cui pronunciò l'ultima parola mi portò alla resa. Guardai Trixie, che mi lanciò un'occhiata del tipo "vai e stendilo", e poi mi diressi verso la porta, pronta a duellare con Kade Acker.
Mentre camminavo nella sua direzione, lui mi squadrò dalla testa ai piedi soffermandosi specialmente sul seno e sulle gambe che ormai erano diventate un tutt'uno coi leggins. Senza commentare o reagire, si incamminò verso la segreteria. Sentivo gli sguardi di tutti puntati addosso, quelli di Trixie compresi, ma decisi di ignorarli. In quel momento la mia mente era concentrata solo sulla persona che avevo di fronte.
Non ebbi il tempo neanche di posare gli occhi sulla segreteria che Kade all'improvviso mi prese per un braccio e mi strattonò dentro un... ripostiglio? Quando entrammo la luce era spenta ma lui la accese subito, poi si sbatté la porta alle spalle e girò la chiave. Era un po' incazzato, sì, e non faceva nulla per non darlo a vedere. Senza più il buio a circondarci, però, scoprii che quello in cui ci trovavamo era veramente una specie di ripostiglio. C'erano tappetini, pesi, corde, fitball e molte altre cose utili alla palestra. Io avrei tanto voluto concentrarmi su tutti quegli oggetti, ma Kade si voltò fulminandomi coi suoi occhi azzurri più scuri del solito, sia per la scarsa luce presente, sia per la rabbia che ci leggevo dentro.
«Ho qualche semplice domanda da farti, Aria, e ti prego di rispondere». Affermò. Nel suo tono di voce, ormai, non c'era più traccia di alcuna cordialità.
«Ah! Adesso ti ricordi chi sono, allora?». Ironizzai, solo per il gusto di farlo innervosire di più. Lui in risposta fece un passo avanti e proseguì il suo discorso.
«Uno. Che diavolo ci fai qui?».
«Quello che si è visto. Yoga». Risposi, innocente e fiduciosa che lui mi credesse.
«Falso». Disse Kade. «Ma andiamo avanti». E fece un altro passo verso di me. A quel punto, d'istinto, indietreggiai. «Due. Come sapevi che questa era la mia palestra?».
«Non lo sapevo, ovviamente. Pura casualità incontrarti qui».
«Falso». Ribatté subito lui lasciandomi a malapena il tempo di finire la mia frase. «Ma passiamo alla terza domanda, forse la più importante». Altro passo avanti da parte sua. Altro passo indietro da parte mia. «Come cazzo ti sei vestita?». A quella richiesta quasi sorrisi, felice che almeno i miei indumenti avessero avuto l'effetto desiderato.
«Look sportivo, non trovi? Sono comunque più vestita di quella biondina che prima ti sbavava dietro». Quella frase uscì dalla mia bocca senza che me ne accorgessi, causando lo sguardo allucinato di Kade.
«Oggi sei più esasperante del solito. Davvero». Si passò una mano tra i capelli corti, chiaro segno di esasperazione, ma io lo ignorai, sentendo la rabbia impossessarsi di me.
«Scusa... La prossima volta salterò la lezione di yoga e verrò a chiederti direttamente il modo migliore per sbattermi sul vogatore».
«Cazzo, Aria!». Sbottò lui, alzando il tono di voce. «Ti sembra il luogo o il momento di fare una scenata di gelosia?».
«Io non sono gelosa!». Avanzai coraggiosa verso Kade puntandogli un dito sul petto.
«Oh, sì che lo sei». La sua risposta fu un sussurro mentre i nostri respiri leggermente affannati sbattevano l'uno sul viso dell'altra.
«Detto da quello che ha trovato la prima scusa plausibile per rinchiudermi in un ripostiglio?». Domandai, ironica.
«Non ho problemi ad ammetterlo. Come non ho problemi a dirti che non puoi andare in giro conciata così. Non qui. Non davanti a me». Le sue parole, così schiette e sincere, mi fecero venire i brividi.
«Se solo sapessi...». Mormorai a voce così bassa che anche io feci fatica a sentirmi.
«Se solo sapessi, cosa?». Mi avvicinai fino a trovarmi a meno di un millimetro dalle sue labbra e pronunciai la mia risposta proprio lì, senza più indietreggiare, senza più tirarmi indietro. Sfacciata. Sfrontata. Spudorata.
«Che non porto le mutandine, Kade». A quella mia provocazione lui, invece di parlare, agì. In pochi secondi mi ritrovai sbattuta contro... qualcosa. Forse la porta, forse il muro, ma non importava. Non ebbi comunque il tempo di indagare perché la sua bocca spinse sulla mia in un bacio che entrambi stavamo bramando. Kade sfogò la sua rabbia sul mio corpo toccandomi ovunque ed io lo accettai volentieri. Non fu un bacio dolce e delicato come lo erano stati i precedenti. Fu un bacio carico di provocazioni, di risentimento, di collera, di eccitazione. Un bacio in cui lui comandava ed io lo seguivo.
«Stai portando avanti una guerra che non puoi vincere, Aria». Mi disse lui, staccandosi da me e cominciando a dedicarsi al mio collo.
«Peccato che a me non interessi vincere, Kade». Gemetti quando mi diede un leggero morso sulla spalla. Buttai la testa all'indietro e inarcai la schiena, avvicinando pericolosamente il mio sesso al suo.
«Dimmi che non è vero...». Sussurrò.
«Cosa?». Cominciai a far scorrere le mie mani ovunque sul suo corpo. I capelli, il viso, il petto, le braccia... Ma volevo di più. Agognavo di più.
«Che sei venuta fin qui senza quelle cazzo di mutandine».
«Provare per credere». Sorrisi malefica, sputando fuori quelle parole cariche di eccitazione e speranza. Il cuore cominciò a battere impazzito nel petto quando Kade prese finalmente la decisione di infilare una mano nei miei pantacollant. Sì! Esultai nella mia mente, sentendomi già bagnata e pronta per lui. Quella che incontrò all'inizio fu solo la mia pancia, ma poi le sue dita si addentrarono più in fondo trovando il fulcro della mia intimità non coperto dagli slip. Quando se ne rese conto dalla sua bocca uscì un verso molto simile ad un ringhio, come se stesse approvando e disapprovando al tempo stesso quella mia scelta. «Te l'avevo detto...». Gli dissi, confermando la mia vittoria. Lui non rispose, piuttosto infilò con violenza un dito dentro di me, senza nessuna carezza o gentilezza, ed io urlai.
«Shh... Non ti vorrai mica far sentire da tutti?». Mormorò lui tappandomi la bocca con la mano libera e infilando un altro dito nel mio sesso. Poi un altro ancora. Chiusi gli occhi, godendomi quel tocco rude ed eccitante, e gli morsi la pelle del palmo per sfogarmi su qualcosa. Poco dopo Kade sostituì la mano con le labbra che io cominciai immediatamente a reclamare. I nostri denti e le nostre lingue si scontrarono provocandoci quasi dolore, ma non ci badai. Quello che volevo era sentirlo, così gli sollevai la maglietta e andai a toccare il suo addome mentre lui proseguiva con la tortura delle sue dita. Su e giù... Giù e su...
Grazie al tessuto sottile dei pantaloncini riuscii a percepire il suo membro eretto ed eccitato che mi premeva sulla pancia e che mi lasciava intendere quanto tutto quello stesse piacendo anche a lui. Oramai la collera di prima era quasi completamente sparita, lasciando spazio solo al piacere che provavamo l'uno nei confronti dell'altra.
«Kade...». Sussurrai, cercando di riprendere fiato.
«Dio, Aria. Sto...».
«C'è qualcuno lì dentro?». La sua frase fu interrotta dalla voce di un uomo che bussò alla porta, costringendo ad interrompere il nostro contatto.
«Arrivo subito!». Esclamò Kade, zittendo chiunque ci fosse dall'altro lato. Poi sfilò la mano da dentro i miei pantacollant e fece un passo indietro facendomi sentire come tutte le altre volte, vuota e inappagata. «Vieni con me». Non mi diede il tempo di riprendermi dal suo attacco. Mi prese per mano e mi trascinò fuori, non preoccupandosi minimamente dell'uomo che ci vide uscire insieme dal ripostiglio. Quando passammo davanti la sala con le vetrate dove ancora si stava svolgendo la lezione di yoga provai ad attirare l'attenzione di Trixie ma non ci riuscii. Era concentrata nel svolgere una posizione e aveva la testa bassa, così si perse il nostro improvviso passaggio. Fortunatamente in pochi ci notarono mentre ci dirigevamo nella direzione degli spogliatoi. Cosa aveva intenzione di fare? «Hai mandato a puttane il mio allenamento di oggi, Aria». Si fermò in mezzo a due porte, quella dello spogliatoio maschile a destra e quella dello spogliatoio femminile a sinistra.
«Beh, potremmo allenarci insieme in altri modi...». Sorrisi per il mio tono palesemente ironico.
«Quando ho detto di fare le cose calma non pensavo che mi avresti torturato così. Me la stai facendo pagare, eh?».
«Forse». Feci spallucce, incrociando le braccia al petto e sollevando inavvertitamente il seno.
«Santo Cielo, copriti. Non riesco proprio a vederti così». Senza neanche lasciarmi il tempo di ribattere, Kade tirò su le braccia, afferrò la maglietta da dietro e se la sfilò.
«Kade, ma che diavolo...». Chiusi di scatto la bocca quando lo vidi a petto nudo. Era la prima volta che lo vedevo senza maglietta e, beh... Non restai indifferente. Con grande sorpresa, mi resi conto che sia i pettorali che l'addome erano completamente liberi dall'inchiostro. I suoi unici tatuaggi si trovavano sulle braccia e, da quanto aveva detto a Tommy, sulla schiena. Il resto era completamente vuoto. Limpido. C'era spazio solo per la sua pelle un po' scura d'abbronzatura e definita dalle linee dei suoi muscoli. Senza la T-shirt di mezzo fui in grado di intravedere un'altra piccola parte del famoso serpente che, scoprii, saliva sulla sua spalla per poi finire dietro la sua schiena. Ora dovevo solo aspettare che si voltasse e poi, finalmente, avrei potuto contemplare l'intero capolavoro.
Troppo attenta a guardarlo, quasi non mi accorsi che mi aveva infilato la testa e le braccia nella sua T-shirt per coprirmi da occhi indiscreti.
«Ora va meglio». Affermò, soddisfatto di sé.
«Ah, quindi io mi devo coprire ma tu puoi andare in giro mezzo nudo?». Mi accigliai, poco contenta della sua nudità.
«Io ora vado direttamente nello spogliatoio a farmi la doccia quindi nessuno mi vedrà. Tu, invece, ci hai fatto quasi una lezione intera svestita così». E non aveva tutti i torti.
«Vai a casa adesso, quindi?». Gli domandai, anche per cambiare discorso.
«Sì. E tu?».
«Idem. O meglio, prima porto a casa Trixie, poi passo a prendere Tommy da mamma e poi, finalmente, me ne torno a casa».
«Vuoi che accompagno io Trixie?».
«No, Kade. Stai tranquillo». Sorrisi alla sua gentilezza. «Grazie del pensiero, comunque». Mi avvicinai e gli posai una mano sulla guancia, necessitando un suo contatto. Lui, d'istinto, piegò la testa per farla aderire al meglio sul mio palmo e chiuse gli occhi, beato.
«Non c'è di che. Ci sentiamo più tardi, allora».
«Ci sentiamo più tardi, sì». Kade mi depositò un dolce bacio a stampo sulle labbra che fece sciogliere il mio cuore.
«Fa' la brava». Mormorò con la bocca ancora sulla mia.
«E tu fa' il bravo». Risposi di rimando, copiando la sua affermazione. Poi si staccò da me e, finalmente, si voltò. Il tragitto dal punto in cui ci trovavamo all'entrata dello spogliatoio maschile fu l'esatta rappresentazione del tempo che ebbi per studiare ogni piccolo e insignificante dettaglio del tatuaggio che mi si presentò di fronte agli occhi. Io... rimasi senza parole e faticai nel trovare vocaboli che potessero descrivere al meglio quel capolavoro. Il serpente, dopo aver sorpassato la spalla, strisciava giù per la schiena, poi girava leggermente verso destra e risaliva su, curvando più volte e a tratti incrociandosi col suo stesso corpo, dando l'idea di muoversi come se fosse reale. La cosa più strabiliante, però, era la raffigurazione della testa dell'animale che, in prossimità dell'altra spalla, apriva le sue fauci scoprendo i denti e la lingua sottile. Per non parlare della sua pelle poi... Così bella e verosimile. Le squame che caratterizzavano il suo corpo erano più chiare sulla coda e andavano a scurirsi man mano che si avvicinavano alla testa, in un gioco di sfumature e ombre degne di nota. Quell'animale, per quanto sembrasse reale, faceva quasi paura. E se pensavo che il disegno era stato fatto da Kade, beh... Mi veniva voglia di corrergli incontro, baciarlo e complimentarmi con lui. Se quel magnifico tatuaggio avesse un significato io non lo sapevo, ma potevo farmene un'idea. Nonostante fosse un tatuatore, non ne aveva molti di tatuaggi. Le uniche parti coperte da inchiostro erano le braccia. La sinistra composta solo da tribali e ghirigori vari, la destra invece avvolta da quel serpente. La mia conclusione, quindi, era che quell'animale dovesse per forza avere un significato se Kade aveva deciso di disegnarlo e di inciderselo addosso per la vita.
«Ehi! La lezione è appena finita. Tu tutto bene? Dov'è lui? E questa maglietta?». Trixie mi raggiunse in un lampo, bombardandomi subito con le sue domande e strappandomi violentemente dai miei pensieri.
«Cambiamoci e ti racconto tutto in macchina».
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Permettimi di amarti
ChickLitAria Green non ha mai preteso tanto dalla vita. La nascita di suo figlio le ha cambiato l'esistenza, donandole il più bel regalo che potesse mai ricevere. È una donna determinata, tenace, caparbia e nonostante i suoi venticinque anni ha avuto molt...