Capitolo XXVIII

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Delle volte basta poco per essere felici. Esistono momenti che restano impressi nella nostra mente come ricordi piacevoli, che sia una cena tra amici o una chiacchierata tra sorelle. Esistono poi altri momenti di cui non puoi fare a meno, il cui solo ricordo può essere quasi doloroso, per paura che svanisca o che non si possa più rivivere.
Quello, per me, fu proprio uno di quei momenti.
Quando Kade posò la sua bocca sulla mia, il mio cuore riprese a battere come da tempo non faceva e la mia mente finalmente si arrese liberandosi di ogni pensiero triste e negativo.
I mesi precedenti, pieni di sofferenza, dolore, rancore e rimorsi, parvero quasi scomparire grazie al potere di quel tocco che sembrò curare ogni ferita aperta a causa della nostra separazione.
Un gemito di piacere e sollievo fuoriuscì dalle mie labbra che, incollate a quelle di Kade, ripresero vita. Non feci in tempo ad elaborare tutto quello che aveva detto, tutte le bellissime parole che aveva pronunciato solo qualche attimo prima, perché la mia mente aveva deciso di accantonare ogni pensiero volendosi godere esclusivamente lo splendore di quella unione.
Dopo essermi ripresa dallo shock iniziale riuscii a sollevare le braccia e a permettere alle mie mani di aggrapparsi ai suoi capelli, accorgendomi in quell'esatto istante quanto mi fosse mancato farlo.
Kade colse quella mia mossa molto positivamente e contraccambiò sollevandomi da terra e ancorandomi al suo corpo, stringendomi il sedere con entrambe le mani e continuando imperterrito a infilare la sua lingua nella mia bocca.
Stavo rinascendo. Quei giorni, colmi del nostro dolore reciproco, erano stati così deleteri e travolgenti da rendere quel momento ancora più emozionante.
Senza che quasi me ne accorgessi Kade cominciò a indietreggiare, puntando probabilmente al materasso del letto a pochi metri di distanza. Quando fummo vicini, mi rimise giù senza mai interrompere il contatto delle nostre labbra, ma pochi secondi dopo fui io a farlo, troppo presa dalla voglia di sfilargli la maglietta e toccare quella pelle, quell'addome, quei pettorali che le mie mani avevano bramato e venerato per così tanto tempo.
Anche lui parve voler diminuire gli ostacoli – in quel momento rappresentati solo dai nostri vestiti – tanto che afferrò con entrambe le mani le estremità del mio vestito, cominciando a sollevarlo e a sfilarmelo.
A quel punto, però, un campanello d'allarme si accese nella mia testa, ricordandomi un dettaglio di cui lui non era ancora a conoscenza e che forse non era il caso di fargli scoprire a sorpresa.
«Kade, aspetta». Allontanai delicatamente le sue mani dal mio vestito e feci un passo indietro, beccandomi uno sguardo corrucciato e a dir poco confuso da parte sua.
«Che succede?». La sua voce già roca di eccitazione mi fece venir voglia di accelerare le cose. Lo volevo tremendamente, come si desidera una barretta di cioccolato dopo settimane di dieta, ma dovevo aspettare.
«Devo dirti una cosa». Lo guardai con molta attenzione, studiando ogni sfumatura del suo sguardo e ogni cambiamento della sua espressione. Piacere, libido, confusione, consapevolezza, preoccupazione.
«Che c'è, adesso? Ti prego, Aria, sono stanco di arrabbiarmi. Non ne possiamo parlare più tardi?». Fece per riavvicinarsi al mio corpo, chiaro segnale di voler ignorare la conversazione, ma io mi tirai nuovamente indietro e alzai la mano per fermarlo.
«No, ne dobbiamo parlare subito. Promettimi che non ti incavolerai, però».
«Stai scherzando?». Sollevò le sopracciglia. «Non ti prometto un bel niente».
«E va bene. Guarda e basta, allora». Dopo aver radunato una bella dose di coraggio sollevai le dita sulla chiusura e slacciai il vestito – quel bellissimo capo che mi aveva fatto innamorare ancor di più dei suoi occhi – lasciando che cadesse a terra e si accumulasse ai miei piedi. Lo scalciai via e mi voltai leggermente da un lato, mostrandogli la grande macchia nera d'inchiostro incisa sulla mia gamba.
Il suo sguardo si spostò subito su quel punto, come se sapesse già dove guardare. Sembrò non curarsi del fatto che indossassi solo un reggiseno blu di pizzo e un paio di slip abbinati, perché i suoi occhi non riuscirono a schiodarsi dal serpente che strisciava sul mio corpo.
Kade rimase completamente senza parole e questo lo capii solo dopo un minuto abbondante, quando dalla sua bocca non era fuoriuscito ancora alcun commento. Mi sarei aspettata una reazione, una sfuriata, un qualcosa che non fosse il silenzio, ma per l'ennesima volta quell'uomo mi sorprese.
Con mio grande stupore, Kade fece un passo avanti, quasi titubante, e si lasciò cadere in ginocchio, gli occhi sempre fissi sullo stesso punto. Piegò la testa da un lato studiando ogni minimo dettaglio di quella figura che, così tanto simile alla sua, lo rappresentava.
«Dì qualcosa, ti prego». Sussurrai, tremante. Di tutta risposta lui alzò un braccio e cominciò a sfiorare con le dita il corpo dell'animale, facendomi venire i brividi.
«Perché?». Fu l'unica parola che uscì dalla sua bocca.
«Perché, cosa?». Mi venne spontaneo chiedergli.
«Perché questo?». Il tocco delle sue dita arrivò alle due pupille blu rappresentate nel tatuaggio, forse la parte più importante di esso.
Ero ansiosa del suo giudizio. Avrei dato qualunque cosa per entrare nella sua testa e capire quali pensieri la stessero occupando. Gli piaceva? Non gli piaceva? Era arrabbiato perché non avevo mantenuto la sua promessa, quella di non farmi tatuare da nessun altro all'infuori di lui, oppure era semplicemente tanto meravigliato da non riuscire a parlare?
«Non è abbastanza ovvio il perché?». Chiesi, non aspettandomi una risposta. Dopo qualche secondo, riempito solo dal rumore dei nostri respiri, proseguii. «Volevo inciderti sulla mia pelle e l'ho fatto».
«È stato bravo, quel bastardo del mio migliore amico. Bravo soprattutto a non farmi scoprire nulla». Un leggero sorriso affiorò sul mio viso. Apprezzai la sua ironia – sotto la quale riuscì a nascondere un mezzo complimento – ma mi corrucciai quando realizzai di non aver mai nominato l'artista a cui mi ero affidata per quel capolavoro.
«Come fai a sapere che...».
«Solo Jesse sarebbe capace di replicare un mio disegno. Uno come questo, poi... Non dev'esser stato facile». Aveva ragione. Quello che Kade aveva tatuato sul braccio era stata una sua creazione, messa in pratica poi dal suo più grande amico ma frutto della sua matita e della sua arte. Il fatto che Jesse fosse riuscito a replicarlo così bene era una prova schiacciante della sua immensa bravura.
«Sei arrabbiato?». Gli domandai quando lo vidi sollevarsi da terra e posizionarsi di fronte a me, le sue mani ora sui miei fianchi.
«Ho intenzione di fare quattro chiacchiere con Jesse, ma... no. Non sono arrabbiato. Sono solo rimasto senza parole perché non me l'aspettavo e perché è...». Fece una pausa, tanto breve quanto per me interminabile. «Bellissimo». E il mio cuore, a quel commento, parve riprendere un po' più di vita.
Un'altra ferita si era rimarginata. Un altro segreto, custodito da me per mesi e mesi, era stato svelato, riassestando quell'equilibrio che in sua assenza si era rotto.
«Lo pensi davvero?». Sussurrai.
«Lo penso davvero». Sorrise, un sorriso genuino e incredibilmente bello. «Solo una domanda, però. Perché gli occhi azzurri?».
«Perché quando vedo quel serpente, vedo te. Un grande uomo che si è costruito un'altrettanta grande corazza per nascondere le proprie fragilità. Fragilità che io amo e che mi hai permesso di conoscere attraverso i tuoi occhi. Quegli occhi che mi hanno fatta innamorare di te, ancora e ancora...». Sospirai. «E ancora». Conclusi.
«Dillo di nuovo».
«Che cosa?».
«Che sei innamorata di me».
«Non ho bisogno di ripeterlo, Kade. Io...». Riempii quella poca distanza che ci separava e gli circondai il viso con le mani, lasciando che la mia pelle nuda si scaldasse a contatto col suo corpo coperto solo dai pantaloni. «Non ho mai smesso di amarti. Nonostante la lontananza di questi mesi, il dolore, la rabbia, io... Come potevo non provare più nulla? Ci ho provato, credimi, ma non ci sono mai riuscita». Il silenzio che seguì le mie parole si colmò dei suoi pensieri. Attraverso i suoi occhi immaginai di vedere gli ingranaggi del suo cervello muoversi a ritmi impressionanti, ripercorrendo il difficile periodo che aveva dovuto affrontare.
«Io mi ero quasi convinto di averti cancellata per sempre». Confessò. «Ogni volta che la mia mente tentava di riportare a galla un tuo ricordo, lo cacciavo via. E il più delle volte per farlo andavo a correre, mi allenavo fin quasi a svenire o... bevevo. L'alcol è stato sicuramente di grande aiuto». Fu il suo turno di circondarmi con le braccia e avvicinarsi ancor di più al mio corpo, poggiando la fronte calda sulla mia. «Ma quando ti ho rivista, quella sera, io... ho perso ogni battaglia che avevo cercato di combattere nei mesi precedenti. In pochi secondi ho rivissuto ogni attimo, ogni momento, ogni fottuto ricordo che avevo creduto di aver eliminato almeno in parte, ma che in realtà era sempre stato lì. Mi è bastato rivederti per capire che ogni istante vissuto con te era inciso sulla mia pelle proprio come i miei tatuaggi, e che provare a cancellare il tuo passaggio era e sarebbe stato impossibile». Non riuscii a trattenere una lacrima che sfuggì al mio controllo, lasciando una lucida e umida scia sulla mia guancia, subito asciugata dal suo pollice che prese ad accarezzarmi il viso. «Sei indelebile, Aria. E che Dio mi fulmini se permetterò a qualcun altro di portarti via da me». Avrei potuto rispondere in centinaia di modi differenti, esternandogli per l'ennesima volta l'amore incondizionato che provavo nei suoi confronti, ma le parole si erano del tutto esaurite.
L'unica cosa che riuscii a fare fu incollarmi alle sue labbra, dimostrandogli quanto ciò che aveva detto mi avesse colpito dentro. C'erano molte altre cose in sospeso di cui dovevamo parlare e su cui avevamo bisogno di confrontarci, ma in quel momento sembrò non importare a nessuno dei due.
Ci liberammo velocemente degli ultimi vestiti rimasti, rimanendo solo in biancheria intima. La mia smania mi spinse a prevalere su di lui, tanto che lo feci indietreggiare e di conseguenza sdraiare sul letto, montandogli sopra senza smettere di giocare con le sue labbra.
Gli unici rumori udibili erano i nostri sospiri eccitati e vogliosi che parevano andare in sincrono creando una melodia di amore e desiderio talmente bella da far venire i brividi.
La mia bocca, dotata ormai di vita propria, cominciò una lunga discesa sul suo corpo ripercorrendo quell'insieme di muscoli che mi erano mancati sia alla vista che al tatto. Lasciai una scia di baci sul suo collo fino ad arrivare al petto, quel petto caldo nel quale tante volte avevo trovato affetto e protezione e che decisi di accarezzare godendo nel sentire i nervi tesi a causa dell'eccitazione che speravo lo stesse travolgendo.
«Mi sei mancata così tanto, cazzo». Disse in un sussurro, confermando la mia ipotesi. Portò una mano tra i miei capelli spingendomi a continuare e guidando il tocco delle mie labbra seguito da quello della mia lingua che decise di stuzzicare i suoi capezzoli prima di scendere più giù, fino al bacino e poi ancora più giù, fino a... «Aria, non ce la faccio». La voce di Kade interruppe il flusso dei miei pensieri. Io alzai lo sguardo e sorrisi compiaciuta, leggendo nei suoi occhi una lussuria mai vista prima.
«Shhh... Non disturbarmi, sono molto impegnata». Lo presi in giro, afferrando l'elastico dei suoi boxer e spingendolo giù liberando così il suo membro eretto dall'oppressione di quell'indumento.
«Ti do trenta secondi, poi ribalto la situazione e faccio come cazzo mi pare. Ho bisogno di entrarti dentro e... Merda!». Kade imprecò buttando la testa indietro e mugolando di piacere quando smisi di ascoltarlo e lasciai passare la mia lingua lungo tutta la sua asta fino a prenderlo in bocca, succhiando e leccando la punta prima di andare più a fondo. Fu inebriante ascoltare i suoi gemiti mentre coi palmi aperti sulla testa mi spronava a proseguire, regolando il mio movimento e il ritmo con cui lo assaggiavo. «Aria...». Il modo in cui pronunciò il mio nome suonò quasi come un avvertimento.
«È scaduto il tempo?». Ironizzai, staccandomi per un secondo e osservandolo dal basso.
«E anche il mio autocontrollo». In un secondo mi ritrovai con la schiena sul letto e il respiro mozzato per la sorpresa. Il suo corpo torreggiava su di me, così virile e splendido, ma non ebbi il tempo di ammirarlo a dovere perché Kade mi strappò di dosso le mutandine e affondò in me con un solo colpo di bacino.
Mi sfuggì un gridolino stupito mentre mi aggrappavo alle sue spalle e avvolgevo le gambe alla sua vita, assecondando le sue spinte violente ma tremendamente stimolanti.
Lasciai passare le dita sulla sua schiena, immaginando il serpente scorrere sotto i miei polpastrelli e muoversi assieme ai suoi movimenti.
«Kade...». Buttai la testa indietro, accogliendo i suoi affondi e gridando il suo nome fino a sentir bruciare le corde vocali. Una patina di sudore mista ad eccitazione rese lucidi i nostri corpi, spingendoci a fonderci ancor più l'un con l'altra fino a quando non esplodemmo liberando l'orgasmo tanto bramato e ben accolto.
Una volta consumata la libidine sprofondammo nel materasso, io aggrovigliata a lui e lui aggrovigliato a me.
I nostri respiri dirigevano l'orchestra dei nostri cuori che, impazziti, galoppavano quasi a volersi unire come avevamo appena fatto noi. E quando i battiti calmarono la loro corsa, i nostri occhi si chiusero conciliando il sonno di cui avevamo infinitamente bisogno.

A svegliarmi furono i primi raggi del sole che penetrarono dalla finestra, in quel poco spazio lasciato libero dalla tenda bianca semiaperta. Mi stiracchiai allungando il braccio verso l'altro lato del letto in cerca di qualcuno, trovando però solo un cuscino vuoto e delle lenzuola stropicciate.
Sollevai la testa e mi guardai intorno, ma di Kade nessuna traccia. Ripensando agli accadimenti della sera prima un sorriso spontaneo decorò il mio volto, spingendomi ad alzarmi e ad andarlo a cercare in giro per la casa.
Infilai gli slip di pizzo e una sua maglietta e, fregandomene di essere per metà svestita, uscii dalla camera e scesi al piano terra, sperando di trovarlo in cucina.
Con mia grande delusione, non lo trovai da nessuna parte. Vagai per il salone come un'anima in pena, sperando che non fosse uscito per fare chissà cosa senza di me, e improvvisamente mi bloccai tendendo le orecchie per capire se potesse stare sotto la doccia.
Stavo per riprendere le scale e controllare meglio il piano superiore, quando udii un respiro affannato provenire dall'esterno. Mi fiondai alla porta e aprii delicatamente, affacciandomi sul terrazzo e trovando così l'oggetto dei miei desideri.
Kade era sdraiato qualche metro più in là, le gambe sollevate e le braccia volte a sorreggere la testa mentre si alzava e si abbassava in una serie infinita di addominali. Indossava i suoi soliti pantaloncini da calcio e delle scarpe da ginnastica mentre il suo petto nudo brillava di sudore, toccato solo dalla tiepida luce di un sole mattutino di prima estate.
Istintivamente piegai la testa da un lato poggiandola sul montante della porta e mi godetti la vista, sfruttando il fatto che non si fosse ancora accorto di me.
Osservandolo in quel piccolo attimo di quotidianità, pensai a quanto lo ritenessi bello. L'addome scolpito si piegava a ogni suo movimento mentre i capelli bagnati si scompigliavano facendomi venir voglia di correre da lui per tirarglieli indietro, e così feci. La fantasia lasciò lo spazio alla realtà: mi staccai dall'ingresso e mi incamminai nella sua direzione, rivelando la mia presenza a quegli occhi che subito si posarono su di me.
Mi squadrò dalla testa ai piedi, rimanendo fermo a mezz'aria come a voler guardare meglio.
«Buongiorno». Lo salutai regalandogli un sorriso, ma non aspettai una sua risposta. Quando gli arrivai accanto mi piegai sistemandomi a cavalcioni su di lui e abbassandomi per sfiorargli le labbra con le mie. Data la posizione, la maglietta si sollevò sui miei fianchi e i nostri corpi si incastrarono alla perfezione. Finsi di trovare la giusta posizione, sfregando il mio sesso contro il suo già duro e rigonfio.
«Buongiorno a te». Una risata soffocata gli fece vibrare il petto. Tornò con la testa sul pavimento e allungò le mani verso di me, avvolgendomi i fianchi e trasmettendomi tutto il suo calore.
«Ti sei alzato presto». Affermai, senza il bisogno di chiederglielo. «Ti alleni per dimenticare la notte scorsa?». Lo stuzzicai, rammentando ciò che aveva confessato la sera prima.
«Oh, no. Sono dovuto correre via dal letto stamattina, altrimenti ti avrei svegliata chiedendoti il bis». A quel punto finsi di mettere il broncio.
«Non mi sarebbe per niente dispiaciuto». Mi chinai per baciarlo, spingendo volontariamente il mio basso ventre sulla sua erezione.
«Stai rovinando il mio allenamento, sai?».
«Secondo me lo sto migliorando...». Le mie labbra, dotate ormai di vita propria, presero la strada del suo collo lasciando una scia di baci fino ad arrivare al suo petto nudo e splendido. Mi inebriai dei suoi mugolii di piacere, ma il momento fu breve perché all'improvviso mi sentii afferrare per i fianchi e inavvertitamente lanciai un gridolino sorpreso.
Kade ribaltò la situazione, spingendomi con la schiena sul pavimento e torreggiandomi sopra. Restando in equilibrio su un braccio solo, sfruttò l'altro per solleticarmi la pancia e ovunque riuscisse ad arrivare.
«Mi fai... il solle...tico! Ka...de! Ti prego!». Tentai di parlare, scossa dalle risate che lui mi stava provocando di proposito.
«Provocatrice». Terminò la battaglia dandomi un delicato bacio sul naso, mentre io placavo i battiti del cuore col sorriso ancora dipinto sul volto. «Allora, mia bellissima ragazza, avevi in mente di fare qualcosa oggi?». Finsi di pensarci mentre lo guardavo tirarsi su in piedi e offrirmi la mano per fare altrettanto. Accettai il suo aiuto e allisciai la maglietta che avevo indosso pensando ad un ipotetico programma per la giornata.
«Potremmo tornare al locale di ieri. Credo di aver lasciato qualche conto in sospeso...». Kade, che aveva afferrato una bottiglietta d'acqua da non so dove, si bloccò a mezz'aria fulminandomi con lo sguardo. Trattenermi dal ridere fu un'impresa alquanto difficile.
«Ripetilo, se hai il coraggio». Alzò l'involucro di plastica ormai senza tappo, minacciando di rovesciarmi l'acqua addosso se avessi detto qualcosa di sbagliato.
«Ho detto...». Cominciai ad indietreggiare, il sorriso pronto a illuminarmi il viso. «...che potrei scegliere un altro bel vestito...». Altro passo indietro, altro sguardo fulminante da parte sua. «...e sfoggiarlo in qualche altro pub, così, solo per infastidirti...».
«Perché mi provochi a tal punto, Aria? Perché?». Chiese disperato, continuando ad avvicinarsi col suo fare intimidatorio.
«Perché quando ti incazzi, mi piaci da morire». Sussurrai, sfrontata.
«Hai tre secondi per scappare. Se ti acchiappo, sono cazzi amari». Il suo tono serio non mi spaventò. Era vero quello che avevo detto. Quando si innervosiva, quando mi mostrava tutta la sua rabbia, io mi sentivo più viva ed eccitata che mai. Per questo lo provocavo: nutrirmi della sua ira era il mio hobby preferito. «Uno...». Iniziò a contare, cogliendomi impreparata. Lo guardai e mi persi nei suoi occhi già illuminati dal desiderio di acciuffarmi. La sua bellezza mi distrasse a tal punto che solo quando lo sentii pronunciare il "due" scattai verso la porta d'ingresso e imboccai le scale. «Tre!». Lo sentii urlare da fuori e lo immaginai partire all'inseguimento.
La casa si riempì di gridolini (i miei), di risate (le sue) e di respiri affannati. Non feci in tempo a chiudermi in bagno che il suo corpo mi sovrastò. Mi afferrò da dietro attaccando il suo petto alla mia schiena e la sua bocca al mio orecchio.
«Presa». Mi sussurrò.
«Solo perché mi sono fatta prendere». Lo beffeggiai.
E non ci fu altro da aggiungere. Cominciammo a spogliarci a vicenda, smaniosi di arrivare al dunque. Vogliosi di recuperare il tempo perso, ma soprattutto bramosi l'uno dell'altra.
Quando fummo completamente nudi, Kade mi sollevò e cominciò ad incamminarsi verso la doccia. Aprì il rubinetto dell'acqua calda senza mai staccare le labbra dalle mie e solo quando la temperatura fu di suo gradimento ci immerse entrambi sotto il getto.
Sorrisi sulle sue stesse labbra avvolgendogli le gambe al corpo e staccandomi quel poco che bastava per guardarlo negli occhi. Cominciai a giocherellare coi ciuffi bagnati dei suoi capelli lunghi godendo del contatto dei miei seni nudi contro il suo petto bagnato.
Il mio squilibrio psicologico pareva essersi riassestato, ritrovando l'equilibrio tanto anelato. La mia mente aveva trovato di nuovo la pace, così come il mio cuore, tornato a battere al ritmo col suo.
«Dovremmo parlare di quello che è successo, Kade». Unii la mia fronte alla sua e, riacquistando un po' di lucidità, dissi quello che entrambi sembravamo voler rimandare. Ciò che avevamo scoperto era qualcosa di importante, oltre che la causa del nostro litigio, e non potevamo di certo passarci sopra come se nulla fosse.
«Lo so. Ne parleremo. Non adesso, però». Ribatté lui frettoloso, cominciando a disegnare una scia di baci a partire dal mio collo fino ad arrivare alla spalla nuda.
Non mi fidai molto di quel "ne parleremo", ma lo lasciai fare e mi godetti il momento non avendo altra scelta. Mi lasciai coccolare dalle labbra di Kade che tastarono delicate ogni centimetro del mio corpo mentre io assaporavo il tocco della sua pelle e il flettere dei suoi muscoli sotto le mie dita.
Il momento "coccole" durò una manciata di minuti, dopodiché Kade mi sbatté con la schiena contro le piastrelle della doccia e si immerse tra le mie gambe in una serie di spinte violente.
Gemetti e buttai la testa indietro aggrappandomi poi alle sue spalle per sostenermi. Con le gambe ancora avvolte alla sua vita cercai di spingermi più a fondo, andando incontro al suo ritmo vigoroso e deciso.
I nostri mugolii diventarono così rumorosi da sovrastare il rumore dell'acqua che scorreva vicino ai nostri corpi avvinghiati e vogliosi, fino a quando non venimmo travolti dalla stessa intensa passione che ci aveva uniti mesi addietro.
Dopo questo primo round mattiniero decidemmo di farci una doccia vera e propria, insaponandoci a vicenda e tirandoci di tanto in tanto la schiuma formatasi col bagnoschiuma. Ci asciugammo e vestimmo in tempi record per poi fare colazione sul tavolo della cucina con tutto ciò di commestibile presente in credenza.
Terminata la colazione, Kade decise di andare a fare qualche commissione, lasciandomi sola e avvertendomi con un sorriso di non scappare o fare nulla di avventato. Io, senza riuscire a schiodarmi il sorriso dal volto, mi diedi da fare e cominciai a girovagare per casa sistemando ogni cosa mi capitasse a giro. Raccattai i nostri vestiti sparsi a terra per gran parte del bagno e della camera da letto e li sistemai accuratamente negli appositi armadi. Cambiai le lenzuola attaccando una lavatrice con quelle da lavare e passai l'aspirapolvere in tutte le stanze. Nel momento in cui mi accucciai per arrivare a pulire anche sotto all'ampio letto matrimoniale, però, urtai contro quella che sembrò una... scatola?
Spensi quell'aggeggio rumoroso e mi accucciai per verificare l'entità dei danni. Non mi sembrava di aver rotto nulla ma di aver solo colpito qualcosa, e tutto mi fu chiaro quando tirai fuori una scatoletta in legno non troppo grande, ma neanche troppo piccola. Soffiai via un po' di polvere accumulatasi sopra e mi chiesi se fosse il caso di scoprirne o meno il contenuto. Una scatola del genere tenuta sotto al letto poteva essere tanto innocua quanto misteriosa. Non volevo certo fare la ficcanaso, ma la mia curiosità comandò le mie azioni prima che riuscissi a trattenermi obbligandomi, in un battito di ciglia, ad aprire la serratura calamitata.
Il contenuto mi lasciò per un attimo senza fiato. Erano... lettere. E non fu tanto quello a sorprendermi, quanto la quantità di lettere presenti nella scatola. Saranno state centinaia e ci volle poco a immaginare chi fosse il mittente. In cima a quelle decine e decine di epistole, una risultò aperta e non ripiegata a dovere, tant'è che cadde a terra costringendo inevitabilmente i miei occhi a passare tra le parole di quella grafia ormai fin troppo familiare.

Figlio mio,
più passa il tempo e più faccio fatica a guardarti da lontano.
Delle volte mi sento di troppo, nonostante tu non sappia neanche della mia esistenza.
Ma osservarti a distanza, che sia da un angolo della strada o da dietro il vetro della mia macchina, è l'unico modo che ho per conoscere frammenti di quella vita di cui non potrò mai essere partecipe.
Oggi hai passato gran parte della giornata nel tuo nuovo negozio, a fare quello che hai sempre amato. Quel sogno per cui hai lottato e che sei riuscito non con poco sforzo a realizzare.
Questa sera ti ho visto uscire dal tuo "Ink" veramente distrutto. Ero preso a leggere un libro nella mia auto, aspettando che finissi quello che speravo fosse l'ultimo cliente, e quando hai finalmente varcato la soglia e ho notato quanto fossi stanco, il mio cuore ha perso un battito.
L'irrefrenabile desiderio di scendere e correre da te ha preso il sopravvento, tanto che istintivamente mi sono ritrovato con la mano sulla maniglia e la portiera aperta.
Sarei corso da te per darti una pacca sulla spalla e dimostrarti tutto il mio orgoglio.
Sarei corso da te per dirti che quello era solo l'inizio, che ogni giorno sarebbe stato sempre più difficile, sempre più stancante, ma anche estremamente costruttivo e soddisfacente.
Ti avrei detto che ogni fatica sarebbe stata ripagata, che ogni goccia di sudore sarebbe valsa a qualcosa e che se eri riuscito ad arrivare fin lì il merito andava solo alla tua forza e alla tua altrettanta determinazione.
L'avrei fatto, sì, ma il coraggio che apparteneva a te era di gran lunga distante dal mio.
Così ti ho osservato salire in macchina e sgommare via, perdendo l'ennesima occasione per parlarti e conoscerti.
Così mi ritrovo a scrivere tra le righe di un foglio, anelando il giorno in cui finalmente riuscirò a presentarmi a te trovando quel coraggio che tu continui a dimostrarmi.
Così te lo incido nero su bianco, in modo che tu non lo possa dimenticare mai: sono fiero di te.

N. A.

Sentii l'emozione salire agli occhi senza che potessi fermarla, mentre la gravità di tutti i trascorsi che ci avevano riguardato mi sbatterono in faccia con la forza di un pugno ben assestato.
Kade aveva perso il padre senza neanche conoscerlo e lui aveva cercato di racchiudere tutto il suo amore in quelle parole che il figlio sembrava voler rigettare. All'infuori di quella, tutte le altre lettere erano ancora sigillate nascondendo un affetto paterno che anelava di esser rivelato anche se al destinatario pareva non importare.
«Aria! Sono tornato. Dove sei?». Cazzo. La voce di Kade mi ridestò dai miei pensieri. Infilai quel pezzo di carta nell'apposita scatola prima di chiuderla e nasconderla nuovamente sotto al letto.
«Sono qui!». Risposi a quel punto, uscendo dalla camera e incontrando lui che saliva le scale. Studiò il mio viso: gli occhi lucidi, il fiato corto, l'espressione corrucciata, e mi chiese quello che già leggevo nel suo sguardo.
«Tutto bene?». La domanda risultava semplice, ma racchiudeva in sé un significato incredibilmente più grande.
«Dobbiamo parlare, Kade». Era arrivato il momento. «Dobbiamo parlare di tuo padre».

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 26 ⏰

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