Capitolo X

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Il resto della settimana trascorse normalmente. I giorni in pasticceria furono pieni e impegnativi come sempre e in un attimo arrivò sabato. Quella mattina portai Tommy da Cooper prima di attaccare il turno perché dovevo preparare una torta di compleanno per un cinquantesimo che, probabilmente, mi avrebbe portato via molto tempo.
Il programma del pomeriggio, poi, era ancora un'incognita. Dovevo scegliere se andare a fare una sorpresa a Kade presentandomi all'Ink con una confezione di miei pasticcini per farglieli assaggiare, oppure se tornare a casa, sola e sconsolata, a guardare la tv e a mangiare pizza surgelata.
Scelta difficile, c'era da ammetterlo. Amavo la mia solitudine, ovviamente, ma ero molto tentata di andare a sorprendere Kade, sia per vedere la sua reazione inaspettata, sia perché durante quei giorni ci eravamo scambiati solo qualche messaggio e cominciavo a sentire la sua mancanza.
O meglio, i miei occhi bramavano di vederlo e le mie mani di toccarlo. E poi sentivo il dovere di chiedergli scusa per la comparsa inaspettata in palestra. Non ne avevamo più parlato, ma dopo aver riacquisito un po' di lucidità mi ero accorta di provare un gran dispiacere e a tratti quasi mi vergognavo.
«Che stai combinando?». Mi punzecchiò Trixie, vedendomi riempire un piccolo vassoietto con dei pasticcini. Erano le quattro del pomeriggio, tutto ciò che dovevamo fare era stato fatto e l'ora della chiusura si stava pian piano avvicinando.
«Voglio far assaggiare le nostre prelibatezze a Kade. Quando finiamo qui, penso di passare all'Ink così gliele porto». Confessai, consapevole che avrebbe chiesto spiegazioni se non gliele avessi date.
«Sono fiera di te, ragazza!». Alzai gli occhi al cielo, afferrando con le pinze una crostatina alla frutta, un mini tiramisù e un bignè al cioccolato.
«Lo faccio anche per scusarmi della nostra performance in palestra. Idea tua, sottolineerei». Le lanciai un'occhiataccia e lei mi rispose sorridendo.
«Idea geniale, sottolineerei». Scoppiai involontariamente a ridere, senza riuscire a resistere di fronte alla sua scaltrezza. Finii con calma di riempire il vassoietto e lo impacchettai per bene utilizzando la confezione con stampato sopra il nostro marchio e con annesso il bigliettino con tutte le informazioni. Non ne aveva bisogno, ma mi piaceva quindi lo lasciai lo stesso. Una volta terminato con quello, cominciai a sistemare il bancone e la cucina per la chiusura. Si presentò qualche altro cliente e, circa mezz'ora dopo, mi ritrovai a girare la chiave del negozio. «Ci vediamo lunedì, allora. Buona sorpresa!». Mi disse Trixie, avvicinandosi e dandomi un bacio sulla guancia. Ricambiai il suo affetto e sorrisi.
«A lunedì!». Le risposi per poi dirigermi di corsa alla macchina. Il tragitto dalla pasticceria all'Ink fu più breve di quanto immaginassi. Trovai poco traffico e pochi semafori rossi così, in poco più di un quarto d'ora, raggiunsi la destinazione e parcheggiai quasi di fronte al negozio. Un'insolita fortuna, pensai.
Spensi l'auto, inserii il freno a mano e presi al volo la borsa con la confezione di pasticcini, fiera del lavoro da me fatto.
Con il cuore palpitante e una leggera ansia – quell'ansia piacevole che si prova quando si fanno sorprese del genere – mi diressi verso l'entrata. Da fuori vidi Austin alla sua postazione, seduto dietro la scrivania, impegnato a scrivere qualcosa su un'agenda. Sorrisi osservando il suo volto ventenne concentrato sul lavoro e, facendomi coraggio, entrai.
«Ehi!». Lo salutai amichevolmente e cominciai a vagare con lo sguardo per la stanza, aspettando che Kade spuntasse da qualche parte. Ma, ovviamente, non fu così.
«Ehi! Aria... Giusto?». Mi chiese un po' dubbioso ed io annuii subito.
«Scusa il disturbo. C'è Kade, per caso? Sono passata per dargli una cosa ma non l'ho avvisato. È libero?». Domandai, timida.
«Nessun disturbo! Ha finito con gli appuntamenti per oggi. E credo sia nel suo studio. Puoi andare, se vuoi». Mi indicò il corridoio a fianco e mi sorrise cordiale. Lo ringraziai almeno tre volte e poi mi feci strada da sola, conoscendo già il posto.
Sentii il rumore della macchinetta da tatuaggi provenire dallo studio di Jesse e me lo immaginai intento a fare il suo lavoro. La porta di Kade, invece, era stranamente socchiusa quel tanto che bastava a vedere dentro e a... sentire? Credevo non avesse compagnia ma, quando mi avvicinai per afferrare la maniglia, sentii una voce. Una voce femminile. D'istinto, ritrassi la mano e attizzai l'orecchio. Ero sicura che non fosse niente, ma il mio sesto senso mi spinse ad impicciarmi. D'altronde, Austin aveva detto che Kade aveva finito con gli appuntamenti per oggi, quindi chi diavolo era quella?
Mi accostai nel modo più silenzioso possibile alla porta e la aprii un po' di più, cercando di trovare la posizione migliore per vedere cosa stesse accadendo lì dentro.
«Kade, dammi almeno una spiegazione ragionevole!». La voce di quella donna mi urtò immediatamente. Ma la cosa che più mi diede fastidio fu il suo aspetto. Era maledettamente bella, nel suo vestitino attillato nero a collo alto che lasciava le braccia scoperte e metteva in risalto le sue gambe lunghe, magre, super depilate e slanciate. Per non parlare del suo viso... Occhi chiari, ciglia lunghe, naso perfetto e labbra carnose, accentuate dal rossetto rosso opaco. I capelli, invece, erano scuri e ricci e le incorniciavano il volto in un quadro stupendo. Insomma, sembrava una modella ed in quel momento, accanto a Kade, nel suo studio, beh... Qualcosa non tornava.
«Non devo darti nessuna spiegazione, Cassie». La voce dell'uomo che volevo sorprendere coi miei pasticcini mi piombò addosso, facendomi battere il cuore ancora più forte. Lo vidi girato di schiena, i jeans scuri e una T-shirt bianca addosso, intento a sistemare qualcosa nell'armadietto.
«Abbiamo passato così tanto tempo insieme... Così tante notti... Perché non vuoi andare avanti? Ti ho chiesto una semplice cena». Sorrise con fare civettuolo ed io chiusi gli occhi di scatto. Solo per un secondo. Solo per concedermi un attimo. Cosa voleva dire con "tanto tempo insieme" e "tante notti"? A cosa si riferiva? Erano stati fidanzati, quei due?
«E io ti ho detto un semplice no». Kade si voltò verso di lei e la bellezza del suo viso mi accese esattamente come la prima volta che l'avevo visto. Era vestito in modo così semplice... Ma era lui a fare la differenza. Il suo atteggiamento, il suo corpo, i suoi tatuaggi, i suoi occhi. Persino i suoi capelli corti e la sua barba appena accennata mi incantavano. Nella sua normalità, era bello da togliere il fiato.
«Perché? C'è qualche troietta che ti occupa la testa, in questo momento?». A quelle parole cominciai ad infuriarmi. Lo sentivo. E mi incazzai ancora di più quando vidi la sua unghia laccata di rosso strisciare sul petto di Kade. Quel petto che io avevo visto nudo, anche se solo una volta, e che avevo molta voglia di rivedere. «Non ti manca passare una bella serata con me? Una serata in cui siamo solo io, te, il tuo letto e...». Fu in quel preciso istante che mandai a farsi fottere tutta la mia buona volontà e la mia intenzione di rimanere in disparte e in silenzio ad ascoltare. Spalancai la porta spintonandola di colpo con la mano – causando anche un certo rumore – ed entrai come una furia, interrompendo l'indecente frase di quella donna che già non tolleravo più.
«Oh... Scusate tanto. Ho disturbato, per caso?». Chiesi, lanciando prima un'occhiataccia alla ragazza e poi concentrandomi unicamente sulla faccia stupita di Kade.
«Aria?». Domandò lui con tono sorpreso. «Che ci fai qui?». Il modo seccato in cui lo disse, quasi accusando la mia presenza, non fece altro che infastidirmi maggiormente.
«Che ci faccio qui? Davvero? Non pensavo accogliessi così le troiette che ti occupano la testa, sai?». Lo pugnalai con le mie parole, utilizzando le stesse che aveva pronunciato la donna al suo fianco e facendogli capire, in questo modo, che avevo sentito tutto. O almeno buona parte della loro conversazione.
«Aria...». Kade fece un passo avanti, probabilmente cercando di spiegarsi, ma quella sgradevole voce femminile lo interruppe.
«Non dirmi che ti porti a letto questa qui, tesoro». Disse Cassie squadrandomi dalla testa ai piedi. La mia rabbia, ormai arrivata alle stelle, non mi diede neanche modo di replicare come avrei dovuto. Volevo scoppiare e urlare al tempo stesso. Volevo gridare a entrambi la mia indignazione, ma soprattutto non volevo provare nei confronti di Kade ciò che stavo provando in quel momento.
«Va' a farti fottere». Fu l'unica cosa che dissi, in un sussurro, rivolgendomi alla mitica Cassie. Poi, più razionalmente di quanto mi aspettassi, decisi di girare i tacchi e andare via il più veloce possibile. Avevo anche voglia di buttare la scatola di pasticcini che avevo tra le mani ma, visto che non ne avevo il coraggio, mi fermai al volo in segreteria da Austin e gli posai la confezione sulla scrivania.
«Pasticcini per te e Jesse. Assaggiateli, sono davvero buoni». Dissi in un attimo e poi scappai verso l'uscita.
«Non ti azzardare a toccare quei pasticcini. E dillo anche a Jesse!». Sentii dire da Kade, ma non ci badai. Piuttosto mi concentrai sulla mia fuga e, ringraziando Dio, ricordai di aver trovato parcheggio abbastanza vicino al negozio. «Aria!». Mi chiamò, ma lo ignorai. «Aria, aspetta!». Cominciai ad accelerare il passo, sapendo bene quanto fosse facile per lui raggiungermi. Al volo tirai fuori le chiavi dalla borsa e aprii l'auto. Poi corsi verso la portiera, la spalancai e mi ci fiondai dentro. Dopo esser salita in macchina, la prima cosa che feci fu spingere il tasto di chiusura delle porte. «Aria!». Kade cominciò a tirare la maniglia e a battere violentemente con la mano sul finestrino. «Aria, apri!». Io raccolsi tutte le forze che avevo e obbligai me stessa a non voltare lo sguardo verso di lui perché sapevo che, se avessi incontrato anche solo per un attimo quegli occhi color del cielo, probabilmente avrei ceduto alle sue richieste. Quindi finsi di non sentire le sue urla, finsi di non averlo lì fuori, nervoso e sbraitante, e finsi di non sobbalzare ad ogni sua manata contro la mia auto. Semplicemente, accesi il motore e mi immisi in strada lasciando lì, solo e incazzato.
La mia sorpresa era andata a farsi benedire. Poteva sembrare una reazione esagerata, la mia, ma immaginarlo a letto con quella donna... Immaginare quella Cassie dalle gambe lunghe nelle vesti di sua ragazza, beh... Non riuscivo a sopportarlo. E chissà con quante altre donne del genere era stato Kade.
Ma chi ero io per giudicare? Nessuno. La cosa che non capivo, però, era come potessi piacergli io. Non ero tanto male, per carità, ma non ero neanche lontanamente vicina dall'essere una super modella.
Diceva di voler fare le cose con calma, lui. Già... E se mi avesse solo preso in giro? Se il suo "fare le cose con calma" fosse un altro modo per dire "devo capire se mi piaci abbastanza da portarti a letto"?
«Stupida, stupida, stupida». Dissi ad alta voce rivolta a me stessa per poi essere interrotta dallo squillo del telefono che, collegato tramite Bluetooth alla macchina, risuonò in tutto l'abitacolo. Sul display della radio apparve il nome di Kade. Davvero pensava di ricevere risposta? Probabilmente sì, così lo lasciai squillare un po' prima di attaccare, giusto per dargli uno spiraglio di speranza. Dopo qualche secondo ci riprovò, imperterrito, ed io continuai ad attaccargli per le successive quattro volte. Alla quinta chiamata cominciai a perdere la pazienza e pensai seriamente di spegnere il telefono, ma mi bastò sollevare gli occhi sullo specchietto retrovisore per dimenticare ogni mio proposito.
«Non. Ci. Credo». Mormorai guardando il muso della sua BMW che puntava esattamente verso di me, minaccioso e imponente, tanto da provocarmi una leggera ansia. Come diavolo aveva fatto a raggiungermi in così poco tempo? Cazzo. Kade accelerò fino ad arrivarmi sotto, talmente sotto che riuscii a vederlo mentre con una mano teneva il volante e con l'altra reggeva il cellulare all'orecchio continuando a chiamarmi insistentemente. Fin da qui potevo notare nel suo sguardo un certo disappunto misto ad una delicata incazzatura. «Ignoralo, Aria. Ignoralo». Mi concentrai il più possibile sulla strada sperando che in qualche modo Kade sparisse, cosa improbabile, o che quantomeno smettesse di seguirmi, cosa ancora meno probabile.
In lontananza vidi un semaforo, forse la mia unica salvezza, e all'improvviso cominciai ad accelerare. Dai! Pensai, premendo sempre di più sul pedale.
«Ce la posso fare». Mi dissi, continuando a spostare lo sguardo dalla strada a Kade. Da Kade alla strada. La sua auto, però, era molto più potente della mia quindi riusciva benissimo a starmi dietro. «Non diventare rosso. Non diventare rosso». Ripetei come un mantra, pregando che il semaforo non diventasse rosso per me ma per la BMW che avevo alle calcagna. «Cazzo!». Premetti con forza il pedale del freno quando quel maledetto semaforo scattò, obbligandomi a fermarmi. Il rumore dei freni mi arrivò alle orecchie, provocandomi una smorfia. Chiaro segno che, sfortunatamente, non avevo raggiunto il mio obiettivo. Non solo Kade era riuscito a raggiungermi, ma aveva anche avuto la grande idea di posizionarmisi accanto. Così ora eravamo io, lui e le nostre due auto l'una al fianco dell'altra in attesa dello scatto del semaforo. Fantastico. La cosa ancora più fantastica fu che il telefono cominciò a squillare per l'ennesima volta. In quel momento, però, non resistetti e voltai la testa di lato per guardarlo. Aveva ancora la mano sinistra poggiata comodamente sul volante mentre la destra teneva il cellulare sollevato e poggiato sull'orecchio. I suoi occhi, più scuri del solito, erano puntati dritti verso di me, fissandomi in attesa di una risposta. Era bello... Così bello da far venire i brividi, ma cercai di non lasciarmi distrarre dal suo tenebroso splendore. O perlomeno ci provai e, prendendo coraggio, attaccai. Kade si corrucciò e spinse subito un tasto sul display del telefono per far ripartire la chiamata, il tutto senza smettere di guardarmi nemmeno per un secondo. Dio!
«Rispondi!». Mi disse, parlando lentamente per permettermi di leggere il suo labiale.
«No!». Lo imitai, cercando di fargli capire per bene la mia ovvia risposta, ma lui non si arrese. Abbassò il telefono e cominciò a smanettarci. Ma cosa diavolo stava facendo, ora? Alzai gli occhi al cielo e poi li puntai dritti sul semaforo, pregando che scattasse. Ti prego... Ti prego... Ma le mie preghiere del tutto vane furono interrotte dall'arrivo di un messaggio. Faceva sul serio? Scocciata, presi il telefono per vedere di chi fosse, anche se già ne avevo un'idea.

K: Rispondi a questo cazzo di telefono!

Lanciai un'occhiataccia a Kade, una di quelle che ti inceneriscono sul posto, ma a lui non sembrò fare effetto.

A: NO!

Stranamente, decisi di rispondergli e quando mi voltai lo ritrovai a scrivere un'altra volta con uno sguardo tra l'esasperato e il concentrato.

K: Dopo questo messaggio ti richiamerò e farai bene a rispondere, Aria, o ti giuro che scendo dalla macchina e ti vengo a prendere con la forza. Vuoi fare una scenata qui, in mezzo alla strada? Io non credo.

Alla fine dell'SMS constatai che la mia unica salvezza, in quel momento, era proprio il semaforo. Alzai gli occhi su di esso ma, ahimè, non successe nulla. Ancora non si decideva a scattare ed io non avevo più scampo. Il telefono squillò. Guardai Kade che era tornato nella posizione iniziale, mi fissava ed aspettava. Purtroppo credevo alle sue parole e quindi sapevo che, se non avessi risposto, avrebbe davvero fatto una scenata di fronte a tutti. Merda. L'unica soluzione che rimaneva, quindi, era rispondere a quella fottuta chiamata.
«Che c'è?». Chiesi, scontrosa.
«Ah! Con le minacce funziona, allora». Ribatté lui, ironico.
«Ci metto mezzo secondo a riattaccarti, Kade. Cosa vuoi?». Parlavamo osservandoci da una macchina all'altra in uno scontro di sguardi a dir poco elettrizzante. E non in senso buono.
«Voglio che mi ascolti, quindi accosta appena puoi e parla con me».
«Ma io non voglio parlare con te, Kade. Sarà meglio che torni a parlare con quella Cassie, invece. La vostra conversazione stava andando piuttosto bene».
«Aria...».
«Aria, cosa? Cosa?». Lo interruppi subito, gesticolando e avvicinando la testa al finestrino per guardarlo meglio. «Non ho intenzione di discutere con te, davvero. In questo momento voglio solo andarmene a casa e stare da sola».
«Non ti lascerò andare a casa se prima non chiariamo».
«Non c'è niente da chiarire. E non puoi di certo fermarmi».
«Non mi sfidare, piccola».
«Sto per attaccarti, Kade».
«Non ci provare. Non sto...». Non riuscii a sentire cosa stesse per dire perché gli attaccai il cellulare in faccia. Lo vidi urlare il mio nome dalla sua macchina ma lo lasciai perdere, troppo attratta dal semaforo su cui finalmente scattò il verde. Sì!
Partii a tutta velocità e guadagnai anche un po' di vantaggio su Kade che, probabilmente, era impegnato a far ripartire la chiamata. Cominciai a sorpassare ogni auto possibile, guidando come una matta verso il mio confortevole appartamento in cui volevo rinchiudermi a pensare.
Avevo voglia di rilassarmi e di ragionare sui fatti accaduti senza nessun altro a disturbarmi. Volevo avvolgermi nella mia solitudine sperando che almeno lei mi desse un po' di sollievo.
Dopo aver sorpassato tre o quattro macchine non vidi più Kade alle mie spalle. Forse ero riuscita veramente a scamparlo, oppure aveva semplicemente deciso di tornarsene al negozio.
Il solo pensiero di rivederlo a parlare con quella Cassie mi chiuse lo stomaco a tal punto che a malapena mi accorsi di essere entrata nella via di casa mia. Non fui fortunata come prima ed impiegai almeno cinque minuti a trovare parcheggio, poi mi diressi senza troppa fretta verso il mio appartamento.
Stavo per aprire il portone quando sentii un rumore di sgommata alle mie spalle. Vidi una BMW trovare magicamente parcheggio a soli circa cinquanta metri da dove mi trovavo in quel momento, e poi vidi Kade scendere come una furia e sbattere la portiera. Non riusciva proprio a lasciarmi in pace? E io che pensavo di averlo perso durante il tragitto.
Affranta, mi concentrai nell'aprire il portone e cominciai a salire di corsa le scale. In pochi secondi arrivai alla porta del mio appartamento e la sorpassai ma lui, ahimè, mi aveva già raggiunta. Mi seguì dentro e si sbatté la porta alle spalle con più forza di quanto immaginassi. Dentro di me sperai che i vicini non avessero sentito nulla, ma ne dubitai. Buttai la borsa da una parte e mi voltai verso Kade più incazzata di prima.
«Hai guidato come una pazza, Aria! Ti sembra normale?». Urlò.
«Non mi sembra normale il fatto che tu mi abbia seguita fin qui quando ti avevo palesemente detto di voler stare da sola!». Gli voltai le spalle in un chiaro messaggio della mia non voglia di parlare e mi diressi in bagno. Lui, ostinato, mi seguì.
«E io ti avevo palesemente detto di voler chiarire con te!».
«Ma cosa pensi ci sia da chiarire, Kade?». Arrivata al lavandino mi sciacquai le mani con del sapone e le asciugai, parlandogli senza nemmeno guardarlo.
«Perché sei venuta all'Ink?». Domandò, fermo sulla porta del bagno.
«Che c'è? Non potevo?».
«Non ho detto questo».
«Così sembra». Mi girai verso di lui, un po' delusa, un po' infuriata. «Eri impegnato con quella Cassie. O sbaglio? Ed io, come una stupida, ero venuta a farti una sorpresa perché sentivo il bisogno di scusarmi dopo l'avventura in palestra». Mi soffermai ad osservarlo per un attimo. Aveva i muscoli delle braccia tesi, i pugni chiusi e l'espressione corrucciata, come se non si fosse rilassato nemmeno per un secondo.
«Non ero impegnato con Cassie, Aria. Stavamo semplicemente parlando».
«Già...». Dissi in un sospiro. «Te la sei portata a letto?». Glielo domandai senza riflettere, solo per confermare quello che in realtà Cassie aveva già detto apertamente.
«È questo il problema?». Sì! Avevo voglia di urlarglielo in faccia però non lo feci. Piuttosto lo sorpassai per uscire dal bagno ma lui mi afferrò per un braccio, impedendomi di andare oltre. Io, più decisa di lui, sfilai il braccio dalla sua presa e me ne andai, lasciandolo solo per la seconda volta.
«Lascia perdere, Kade». Gli dissi di spalle mentre mi dirigevo in salone per sistemare i giochi sparsi da mio figlio sul pavimento, giusto per fare qualcosa che mi impedisse di guardarlo dritto negli occhi.
«È successo molto prima di incontrate te, Aria! Possibile che non capisci? Abbiamo passato qualche serata insieme ma è accaduto mesi fa. Oggi era venuta a chiedermi di uscire ma io gli ho detto di no. Fine. Non badare alle stronzate che dice solo per infastidirmi». Ascoltai attentamente le parole di Kade e il mio cuore un po' si acquietò, anche se non del tutto. Sapere che l'avventura con Cassie era avvenuta molto tempo prima era un bene, ma alcune cose rimanevano comunque poco chiare.
«Okay». Fu la mia unica risposta mentre raccoglievo da terra un camion dei pompieri e una macchinetta della polizia e li sistemavo in fondo alla stanza.
«Okay, cosa? Cazzo, nessuno riesce a esasperarmi più di te».
«Lo prenderò come un complimento».
«Aria, guardami». Mi chiese, ma non mi voltai. «Aria, ti prego».
«Tornatene al negozio, Kade». Mormorai, con un forte bisogno di rimanere sola. Tutta la rabbia accumulata prima stava per farsi sentire, abbattendosi su di me come un tornado di emozioni. Sentivo di star per cedere e la cosa accadde quando Kade mi prese da dietro e mi fece voltare, puntando lo sguardo dritto sul mio viso. I miei occhi si fecero lucidi, colpa di tutta quella situazione che mi piombò addosso, tutti quei pensieri, quelle preoccupazioni e quelle domande che mi stavo portando dentro e a cui non riuscivo a dare risposta.
«Ti prego, dimmi cosa c'è». Sussurrò lui, posandomi una mano sulla guancia e accarezzandomi col pollice. Di scatto chiusi gli occhi per non mostrargli quanto, in quel momento, fossi debole, e lo scansai facendo un passo indietro, troppo attratta da quel tocco e troppo fragile per resistergli.
«Perché vuoi fare le cose con calma?». Chiesi all'improvviso ma lui non riuscì a rispondere subito, confuso da quella mia insolita domanda.
«Che intendi?».
«Perché con me vuoi fare le cose con calma mentre con le altre, tipo Cassie, sembra che tu non abbia alcun tipo di problema?». Kade mi fissò, ancora più confuso di prima, ed io proseguii. «Non capisco se non ti piaccio abbastanza o se semplicemente non vuoi passare per il cazzone di turno che si porta a letto chi gli pare e piace».
«Pensi davvero di non piacermi abbastanza, Aria?». A quella richiesta decisi di non rispondere. «Cazzo... Non hai capito proprio niente, allora».
«Esatto! Non riesco a capirti, Kade. Sembra che tu sia tanto attratto da me, però allo stesso tempo ti tiri indietro. Non voglio che tu faccia le stronzate da coppia innamorata solo per far bella figura ai miei occhi. Non voglio che tu ti trattenga solo per sembrare meno stronzo. Io voglio semplicemente che tu sia te stesso! È tanto difficile? Non devi seguire ciò che fanno gli altri solo perché ti sembra più giusto, ma devi fare ciò che desideri fare. Io sto seguendo il mio istinto. Forse per la prima volta nella mia vita, sto agendo d'impulso e pretendo che tu faccia lo stesso. Io mi sono aperta e ti ho raccontato la mia vita quando invece, di te, non so ancora nulla. Probabilmente Cassie sa più del tuo passato o della tua famiglia di quanto invece ne sappia io. E questo perché? Perché vuoi fare le cose con calma. Mi dispiace, ma non ci sto». Mi feci avanti e gli puntati un dito contro, sputandogli addosso tutto quello che pensavo senza più resistere altro tempo. «Se vuoi baciarmi, baciami. Se vuoi portarmi a letto, portamici. Se invece vuoi semplicemente passare una serata con me, va bene. Ci sto. Ma fallo perché vuoi farlo, non perché ti senti obbligato. Io voglio il vero Kade Acker, non quello costruito da te solo per farmi piacere». Feci un attimo di pausa, giusto per riprendere fiato, poi proseguii. «Quindi, se non la pensi come me, ti prego di andartene via e di lasciarmi sola». Sussurrai, a voce talmente bassa che faticai io stessa a sentirmi. Mi sentivo prosciugata, completamente. Prosciugata dalle mie parole, ma soprattutto da lui che mi guardava con occhi attenti, cercando di leggermi dentro, come se non bastasse tutto quello che gli avevo già detto.
Mi sentivo sconfitta, perché avevo tirato fuori a voce ogni mio sentimento come mai mi era successo prima. E mi sentivo stupida, perché mi stavo rendendo conto di quanto mi piacesse e di quanto fossi attratta da quel maledetto Kade Acker.
Da lui, però, non arrivò alcuna risposta. Semplicemente mi fissava, mi studiava, ed io facevo lo stesso. Provai in tutti i modi a capire cosa provasse, cosa pensasse, ma non ci riuscii e, dopo quasi un minuto di assoluto silenzio, mi arresi. Abbassai lo sguardo e lo superai, senza più nulla da dire, senza più altro da aggiungere. Scoraggiata, infelice, disperata.
Riuscii a fare qualche passo, forse tre, per poi essere fermata da una mano. Non una presa ferrea, come aveva fatto prima. Solamente la sua mano che prendeva la mia, le sue dita che si avvolgevano alle mie stringendole in una promessa consolante che rappresentava ciò che avrebbe voluto dirmi ma che non riusciva ad esprimere a parole.
E così fece. Decise di comunicare agendo, non parlando, e mi attirò a lui. Il calore del suo petto andò a scontrarsi con il mio. Sentii il mio seno schiacciarsi contro i suoi pettorali, le nostre pelli vogliose di entrare a contatto senza l'ostacolo dato dal tessuto dei nostri vestiti. Alzai lo sguardo sul suo viso chiedendomi cosa stesse facendo o cosa avesse intenzione di fare, ma ci misi poco a scoprirlo e a darmi una risposta. Kade mi prese il volto tra le mani grandi e calde e mi baciò, depositando le sue labbra sulle mie. Mugolai, sorpresa di quel suo gesto inaspettato così piacevole, così eccitante. Dopo pochi secondi si fece avanti con la lingua e quel bacio, inizialmente delicato, diventò più intenso e bramoso.
Le mani di Kade finirono sul mio culo così io, in una presa di coraggio e follia, mi aggrappai alle sue spalle e mi tirai su, avvolgendo le mie gambe ai suoi fianchi e premendo il mio sesso contro il suo. Kade gemette stringendomi ancora più forte ed io mi inebriai di quel verso. Infilai le mani tra i suoi capelli – per modo di dire, dato che erano cortissimi – e gli presi il labbro inferiore tra i denti, trasformando la rabbia in piacere, la tristezza in desiderio, la disperazione in brama.
«Tu non immagini neanche quanto io abbia voluto questo...». Disse lui con la bocca sulla mia. «E questo...». Scese sul mio collo lasciando dei piccoli morsi dalla clavicola alla spalla. «E questo...». Di colpo mi fece scendere e mi infilò le mani sotto la maglietta, afferrandomi la pelle nuda dei fianchi. Poi mi spinse, costringendomi a fare un passo indietro. «Sognavo di farlo, giorno e notte, ma non volevo correre. Volevo aspettare il momento giusto, non per fare bella figura, non perché mi sembrava più giusto. Volevo rispettarti e rispettare i tuoi tempi». Ad ogni frase che pronunciò fece un passo avanti ed io un passo indietro. Passo avanti. Passo indietro. E così continuammo, fino a che non mi ritrovai a sbattere contro il muro del corridoio dove si trovavano il bagno e le camere da letto.
«E adesso cosa vuoi?». Chiesi in un sussurro mentre Kade ricopriva gli ultimi metri per raggiungermi e posizionarsi di fronte a me. Senza ancora proferir parola, mi prese le braccia e me le sollevò. Con una mano mi tenne i polsi uniti e bloccati al muro mentre con l'altra cominciò a scendere in una lunga carezza, partendo dal polso e andando giù, sempre più giù, così lentamente da mandarmi fuori di testa. Una carezza che mi diede i brividi e mi eccitò al tempo stesso.
«Adesso vorrei fare tante di quelle cose...». Mormorò. Il suo respiro caldo mi sbatté sulla guancia ed io chiusi gli occhi, aspettando che le sue labbra si posassero sulle mie, ma così non fu.
«Quali cose?». Domandai e lui sorrise. Un sorriso quasi malvagio. Un sorriso che poteva significare tutto o niente.
«Non hai idea di quello che ho provato quando ti ho vista lì in palestra, l'altro giorno. Mezza nuda, che mi salutavi sfacciata». Ribatté Kade, ignorando palesemente la mia domanda. «Mentre ti muovevi e ti abbassavi con quei fottuti leggins addosso che poco lasciavano all'immaginazione». Si avvicinò alla mia bocca e la sfiorò con la sua, senza toccarla o baciarla. Un semplice sfioramento che mi torturò e non mi soddisfò minimamente. «Tu non hai idea di quello che avrei voluto farti in quel ripostiglio mentre mi urlavi addosso, incazzata, eccitata, gelosa».
«Non ero gelosa». Lo interruppi subito e lo vidi nuovamente sorridere, questa volta più sfacciato di prima.
«Eri incredibilmente gelosa, ed io ero completamente pazzo di te».
«Quindi?». Gli chiesi, in attesa che smettesse di parlare e agisse. Tentai di muovere i polsi e tirarli fuori dalla sua presa ma Kade non me lo permise e strinse più forte.
«Quindi, cosa?».
«Quindi cosa hai intenzione di fare, ora?». Trattenni il fiato mentre aspettavo una sua risposta. Lo vidi riflettere a lungo guardandomi dritto negli occhi, come se stesse cercando le parole giuste per non scandalizzarmi.
«Non basterà una volta, Aria. Ti prenderò più e più volte. Come e dove voglio io. Quando e quanto voglio io. Hai capito?». Inizialmente esitai, non perché non lo volessi, ma perché mi ci volle un attimo ad interiorizzare ciò che aveva appena detto. Dio...
«Sì». Risposi poi, secca e decisa.
«Ci vorrà del tempo, sai?».
«Per tua fortuna, sono libera stasera». Ironizzai, giusto per sdrammatizzare un po' quella situazione a dir poco eccitante.
«In caso contrario, non ti avrei lasciata andare. Sei in trappola, Aria Green».
«Felice di esserlo, Kade Acker».

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